GIORGIO TONINI SALUTA, VALUTANDOLA, LA SUA QUARTA (E ULTIMA) LEGISLATURA

“In questi cinque anni è stato fatto tanto, si è riusciti a percorrere il ‘sentiero stretto’ senza cadere nel burrone della recessione o in quello dell’esplosione del debito pubblico”

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Intervista a cura di Donatello Baldo al sen. Giorgio Tonini, presidente della Commissione Bilancio del Senato, al quotidiano di Trento
Il Dolomiti, pubblicata il 5 gennaio 2018 Segue il commento, che condivido dalla prima parola all’ultima, di Stefano Ceccanti, che è stato senatore Pd nella scorsa legislatura ed è professore di diritto costituzionale nell’Università “La Sapienza” di Roma – Di Giorgio Tonini v. anche la relazione svolta nel febbraio scorso a un seminario di LibertàEguale, La società aperta e i suoi nemici    .
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Giorgio Tonini

Giorgio Tonini

L’INTERVISTA

TRENTO. Ha 59 anni, di professione giornalista e laureato in filosofia. E’ stato eletto in Parlamento per quattro volte nel 2001, nel 2006, nel 2008 e nel 2013. Con i Ds ai tempi di Veltroni, nel Pd dalla sua fondazione. Giorgio Tonini è presidente della Commissione Bilancio del Senato. Quest’ultima è la sua quarta legislatura.

Senatore, finisce la legislatura ma questo è stato anche il suo ultimo anno in Parlamento?
Direi proprio di sì. Ho fatto tre legislature più quella breve dal 2006 al 2008. Sulla base delle regole del Partito Democratico non posso più ricandidare.

Ma ci sono delle deroghe.
Ma non penso che sarà il mio caso.

Beh, saranno felici deputati e senatori trentini alla caccia del posto in un collegio.
Tranquilli che il problema di sistemare Tonini non ci sarà, ce ne sono ben altri di problemi. Questo lo togliamo subito di mezzo.

Di esperienza se n’è fatta in questi anni, come è cambiata secondo lei la politica?
Il cambiamento macroscopico è stato il passaggio dal bipolarismo al tripolarismo, con la presenza dei 5 Stelle. La rottura di questo schema porta con sé una caratteristica: diventa altamente probabile che nessuno vinca le elezioni.

Come in effetti è successo.
Infatti si è dovuto costruire un governo attraverso forme di compromesso. Con Letta assieme al Pd c’era tutto il centrodestra, tranne la Lega. Con Renzi, a causa della frantumazione del centrodestra stesso, si è formato un governo a netta guida Pd, che però doveva fare i conti con queste componenti.

Il rischio paralisi c’è anche per la prossima legislatura.
Il rischio è che si riproduca la stessa difficoltà a trovare una maggioranza omogenea. Le riforme che avevamo proposto avevano come obiettivo quello di garantire un vincitore attraverso il ballottaggio e attraverso il superamento del bicameralismo.

Però la riforma è stata bocciata.
E andremo a votare con un sistema elettorale che non riuscirà a garantire, su due Camere, la maggioranza a uno dei tre poli. E’ quindi possibile che si debba costruire un altro governo di coalizione.

Se al referendum costituzionale avesse vinto il sì… Le viene mai da dire ‘Io l’avevo detto?’
Ma non serve a niente, in democrazia se il popolo ti dà torto ti dà torto. Io penso che sia stata un’occasione persa per il Paese ma se abbiamo perso significa che non siamo stati capaci di convincere la maggioranza degli italiani.

Ed è stupido prendersela con gli elettori.
Non ha proprio senso prendersela con loro, gli elettori hanno sempre ragione anche quando hanno torto. In democrazia funziona così, se non riesci a convincere la maggioranza degli elettori, perdi.

Molti danno la colpa a Renzi per la sconfitta, dovuta anche a come ha condotto la campagna referendaria, anche al suo carattere.
È vero. Il carattere di Renzi – il suo coraggio, la sua determinazione, anche in qualche modo la decisione di portare avanti le sue idee a tutti i costi – è stato determinante per concludere l’iter parlamentare della riforma. Ma questa dote si è trasformata nel suo limite.

Si spieghi.
Quell’energia – anche giovanile, possiamo dire – che Renzi ha messo nella cavalcata che ha portato alla vittoria in Parlamento della riforma, nella campagna elettorale è stata il difetto che ci ha tradito. Ci siamo trovati soli. Un 40%, che non è poco, contro il 60. Le doti di Renzi si sono rivelate anche il suo limite.

Non gli ha giovato nemmeno identificare il referendum con se stesso.
È vero anche questo. Aver identificato in maniera eccessiva la vittoria al referendum con il governo, con la stessa figura di Renzi, ha trasformato quel voto in una valutazione sul governo stesso. Così alla fine si sono coagulate tutte le forze contrarie a Renzi e si è perso.

Senatore, qual è stato il punto più alto e nobile del su lavoro da parlamentare?
Credo che la cosa più importante sia stata quella di essere riusciti a percorrere quello che il ministro Padoan chiama ‘il sentiero stretto’, quello che ha consentito di rimanere dentro le regole europee, di tenere sotto controllo i nostri conti e ridurre ogni anno il deficit, aumentando allo stesso tempo la crescita.

In effetti sembrava impossibile coniugare crescita e riduzione del debito. Un sentiero con il baratro su entrambi i lati.
Questi ultimi tre governi – Letta, Renzi, Gentiloni – hanno dimostrato che è possibile. Il lascito di questa legislatura, dal punto di vista economico, è positivo. Il percorso seguito dal pd è un percorso da continuare, è la cosa più importante per il futuro del Paese.

Dal punto di vista parlamentare? Quali obiettivi sono stati raggiunti in questi cinque anni?
Mai come in questa legislatura c’è stato un avanzamento così profondo su questioni che riguardano la vita delle persone. Mi riferisco alla partita sui diritti civili, il divorzio breve, il testamento biologico, il dopo di noi e soprattutto le unioni civili.

Obiettivi impossibili da raggiungere fino a qualche anno fa. Tutto merito di Renzi?
In effetti la contrapposizione tra Guelfi e Ghibellini che era emersa in altre stagioni della politica questa volta non è avvenuta. Lo si deve ad un orientamento diverso della Chiesa: quello di papa Francesco non è lo stesso del cardinale Ruini, per intenderci. Ma lo si deve anche al PD.

Che questa volta è riuscito a fare sintesi tra laici e cattolici.
Io ho sempre creduto nel Pd e non nei partitini mono-culturali proprio perché il PD si fonda sull’incontro tra le culture e sul superamento degli steccati. A questo non si dà mai grande evidenza, ma per la prima volta in Italia si è riusciti a costruire un partito fondato sul superamento di quelli che si chiamavano gli storici steccati tra laici e cattolici. C’è un partito in cui convivono e collaborano e alla fine si mescolano credenti e non credenti nella ricerca di soluzioni per i cittadini fondate sulla libertà e sul rispetto delle identità e delle coscienze.

Sullo ius soli, invece, non si è trovato nessun punto d’incontro. Possiamo dire che questo sia uno dei punti più bassi della legislatura?
Non sono del tutto d’accordo. In questo caso non c’è stato verso di trovare una maggioranza. C’è stato l’errore di alcuni miei colleghi, in gran parte in buona fede, di gettare la spugna attraverso l’assenza dall’Aula. Ma onestamente, anche se fossero stati tutti presenti, non c’erano i numeri per votare lo ius soli.

Se ne riparlerà? E’ un tema importante.
Lo ius soli rimane la grande incompiuta di questa legislatura. Un impegno da dover portare a casa nella prossima. Ma di insuccessi ce ne sono stati anche altri in questi cinque anni, uno ancor più macroscopico.

Dica pure.
Mi riferisco alla riforma sulla scuola. Abbiamo messo in campo tante risorse, 3 miliardi e mezzo sulla Buona Scuola, però non si è capito il senso dell’intervento fatto, e ci siamo ritrovati con  gran parte del mondo della scuola più ostile. Una riforma uscita male. In un contesto complessivo in cui il Paese ha fatto grandi passi avanti, è onestamente un insuccesso. Come sempre quando si fanno tante cose, non tutte le ciambelle riescono col buco.

Senta senatore, ora inizia la campagna elettorale, si iniziano già a sentire le urla dei comizi. Lei però non è un politico che arringa le folle. Lei che politico è?
Per me la politica è ragionamento, riflessione, mediazione: cercare assieme agli altri la via d’uscita. Don Milani diceva che sortirne tutti assieme è politica, sortirne da soli è egoismo. La politica è quindi solidarietà e dialogo, mettersi intorno a un tavolo e trovare soluzioni.

La propaganda non le piace, vero?
No, non mi piace. Poi è ovvio che la politica è anche conflitto, competizione, uno vince l’altro perde, la propaganda c’è, ma guai se la politica si limita alla propaganda. Giancarlo Pajetta, grande dirigente del PCI che di propaganda se ne intendeva eccome, spiegava ai suoi giovani dirigenti che ciò che rende diverso un politico da un cretino è che il cretino crede alla propria propaganda.

Chissà se Berlusconi e i 5 Stelle credono alla loro. Stanno promettendo di diminuire le tasse incredibilmente, di proporre un reddito di cittadinanza. Ma con che soldi?
Io spero che la maggioranza dei cittadini non si lasci accalappiare da facili slogan e da facili promesse. Il Paese altrimenti è nei guai. Ritorniamo alla metafora del sentiero stretto: se si cammina è un conto, se uno inizia a correre è facile che cada e scivoli nel burrone.

Senatore Tonini, cosa farà adesso, dopo la sua esperienza parlamentare? Si è parlato di lei come possibile presidente della Provincia.
Ora darò una mano in campagna elettorale, io ci sarò, non lascio la politica. Tutti devono dare il proprio contributo, ci sono fasi della vita in cui lo dai in un modo e altri in cui lo dai in un altro. Per il resto, vedremo in che mondo saremo da marzo in avanti.

Ha qualche timore?
Spero che la maggioranza degli italiani capisca che, con tutti i limiti, questi governi sono riusciti a tenere a galla il Paese su una rotta positiva. Spero non si voglia mettere a repentaglio tutto questo. Se si rincorrono emozioni più o meno primordiali si può finire in un guaio serio come è successo in altri Paesi d’Europa.

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Stefano Ceccanti

Stefano Ceccanti

IL COMMENTO DI STEFANO CECCANTI

Giorgio Tonini, senatore del Pd, non si ricandiderà: ha fatto già 4 legislature e non chiede deroghe allo statuto del Pd.

Ha rilasciato un’ampia e bella intervista al giornale di Trento, dove vive, e potete leggere qui ciò che pensa della situazione politica e dei timori per l’ingovernabilità del Paese. Ci sono giudizi molto sereni e onesti sul Pd e su Renzi. C’è molta lucidità politica.

Per parte nostra, conoscendo Giorgio Tonini dai tempi del liceo e avendolo seguito in tutti questi anni di direzione politica in prima fila prima come stretto collaboratore di Walter Veltroni ed importante parlamentare negli anni successivi, vorremmo dire due cose.

La prima è che Giorgio è una persona di stile come ahimè nel mondo politico se ne vedono pochi. Uno stile “antico”, intriso di alta cultura e profonda onestà intellettuale: Tonini è uno di quelli di cui è giusto dire che sa tutto. La forte formazione filosofica – al liceo spiegava a noi di sinistra chi fosse Emmanuel Mounier! – gli consente di padroneggiare altre discipline, come la politica economica (è un ottimo presidente della commissione Bilancio del Senato).

La seconda cosa riguarda ancora lo stile. Lo stile politico. Anche qui, è uno stile un po’ da altri tempi. È vero, ha fatto 4 legislature (3 più quella corta 2006-2008) ma non tutti sono disposti a lasciare lo scranno parlamentare con la stessa leggerezza di Giorgio Tonini. Sulla cui lealtà – crediamo proprio di non sbagliare – il suo partito potrà contare ancora, nelle forme che egli sceglierà.

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