ANCORA SU DON MILANI E IL “DONMILANISMO”

Prosegue il dibattito sulla cattiva coscienza di una scuola media che copre le proprie inefficienze promuovendo tutti – Nuove riflessioni in riferimento al caso molto significativo di un allievo menomato dai postumi di una meningo-encefalite

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Lettera di Sergio Briguglio, mio ex-studente del Master Europeo in Scienze del Lavoro, pervenuta il 21 maggio 2018, in riferimento alla lettera di Giorgio Ragazzini del 13 maggio precedente – Segue una mia brevissima risposta
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Sergio Briguglio

Caro Pietro,

ho letto la lettera del Prof. Ragazzini, e vi ho trovato diversi punti in comune con una lettera che ti scrissi quattro anni fa.

Da allora, ho vissuto, nell’ambito dell’attività di sostegno scolastico per ragazzi stranieri, un’esperienza particolare, che mi ha fatto rivedere in parte le affermazioni contenute in quella lettera. Uno dei ragazzi che seguivo, arrivato in Italia per gravi ragioni di salute, è stato colpito, nel maggio del 2017, proprio mentre il suo rendimento scolastico stava raggiungendo un buon livello, da una meningo-encefalite. E’ riuscito a superarla, riportando però gravi danni neurologici (in particolare, una amnesia retrograda, poi superata, e una amnesia anterograda, che ancora ostacola fortemente la memorizzazione di ogni nuova informazione).

Uscito dalla fase acuta della malattia, a fine maggio 2017, gli insegnanti vollero fargli comunque sostenere l’esame finale di terza media. L’esame si svolse in modo facilitato. Il ragazzo fece uno sforzo enorme per prepararsi (aveva dimenticato l’italiano e perfino la scrittura in corsivo), e riusci’ a rispondere alle domande degli insegnanti sulla Crisi di Cuba del 1963. Alcune insegnanti avevano le lacrime agli occhi per la commozione. Fu promosso con 7.

Il suo sogno era diventare medico. Ha passato anni in ospedale e – come dice lui – sa cosa significhi soffrire. Aveva ottenuto, prima di essere colpito dalla meningite, una borsa di studio da un liceo salesiano. Aveva conservato, durante il ricovero, il depliant di quella scuola. Voleva frequentarla a tutti i costi.

Così, abbiamo accettato la sfida. All’inizio dell’anno scolastico l’impresa sembrava assolutamente sproporzionata alle sue forze. Bastava mezz’ora di studio (dopo le sei ore quotidiane a scuola) per fargli venire il mal di testa. Memorizzare nomi nuovi sembrava impossibile. Gli insegnanti, che conoscevano la situazione, hanno applicato proprio la linea del “chiedere poco”. Quanto a dare, invece, di piu’, non credo che fosse compatibile con il doversi curare del resto della classe e dei normali programmi.

Avevamo alternative? Credo di no, per diversi aspetti:

1) le scuole professionali sono qui (Castelli romani) nulla piu’ che un parcheggio di ragazzi con disagio sociale;

2) gli istituti tecnici somigliano ai licei quanto a impegno richiesto, e alle scuole professionali quanto ad ambiente;

3) il passaggio da un liceo a una scuola di livello inferiore e’ possibile; il viceversa, di fatto, no;

4) prendere un anno di “riposo attivo” non era pensabile, dato che il ragazzo aveva potuto riprendere gli studi, nel 2014, iscrivendosi in prima media all’eta’ di 13 anni. Accumulare un altro anno di assenza dalla scuola avrebbe significato allontanarlo ulteriormente dai coetanei, e rallentarne il recupero post-meningite.

Siamo andati avanti, cercando di spendere tutte le nostre energie (le sue e le mie), con quattro ore di doposcuola al giorno dal lunedi’ al venerdi’ e otto-dieci ore al giorno durante il fine-settimana. Siamo arrivati ora quasi alla fine dell’anno. Oggi il ragazzo ha ripreso la capacita’ di studiare e, in parte, quella di ricordare. Ha ritrovato anche una buona proprieta’ di linguaggio e, a mio parere, anche una adeguata capacita’ nel campo della matematica.

Da un punto di vista strettamente oggettivo e impersonale, il livello di preparazione non corrisponde certo alla sufficienza. Se, invece, si prende in esame il merito – inteso come impegno profuso e come miglioramento percentuale della preparazione -, il livello raggiunto e’ altissimo.

Quali conclusioni dovrebbero trarre gli insegnanti, al momento di definire il giudizio sul ragazzo? Fermarlo, indirizzandolo a una scuola di livello piu’ basso o costringendolo a ripetere l’anno, ci porterebbe a sbattere il naso contro i quattro problemi riportati sopra. Per di piu’, provocherebbe una delusione enorme nel ragazzo. D’altra parte, promuoverlo rischia di porlo in una situazione di difficolta’ accentuata il prossimo anno.

Sarei veramente felice di sapere in cosa possa consistere il suo bene, a condizione che questo appaia chiaro anche a lui (l’aspetto soggettivo essendo troppo importante, nel sostenere il suo sforzo, per poter essere trascurato). Di fronte a situazioni di questo genere, mi viene sempre da pensare che quei quattro problemi non sarebbero tali se
a) le scuole professionali e gli istituti tecnici diventassero il campo ambito da tutti i migliori insegnanti italiani (nello stesso modo in cui il bravo medico preferisce dedicarsi ai pazienti malati, piuttosto che ai grandi atleti)
b) nella scuola si progredisse, in base alle competenze, materia per materia (un po’ come si fa per gli esami universitari), e non per un giudizio complessivo. Questo permetterebbe allo studente di dedicare il tempo necessario alle materie ostiche, senza bloccare il progresso in quelle preferite;
c) la socializzazione tra coetanei fosse garantita da spazi di gioco, sport e attivita’ culturali e ricreative libere da programmi scolastici, voti ed esami.

Un cordialissimo saluto

Sergio Briguglio

A me sembra che Giorgio Ragazzini e Sergio Briguglio abbiano ragione entrambi. Più precisamente, che il primo abbia ragione sul piano generale: nei confronti dell’intera platea di una nuova generazione, una scuola media che promuova tutti – per sopire la propria cattiva coscienza coprendo le proprie carenze – causa il danno peggiore ai più poveri e più deboli, cioè a quelli cui la scuola stessa dovrebbe offrire la possibilità di colmare il difetto di dotazione di partenza, ma offre solo un pezzo di carta privo di valore. Mi sembra, però, che abbia ragione anche chi, come Sergio Briguglio, in una situazione particolare nella quale l’allievo soffre di un grave handicap psico-fisico – ma talvolta può trattarsi anche di un grave handicap sociale -, sostiene la necessità di adattare il criterio della valutazione di fine corso in relazione alle difficoltà particolari che l’allievo ha dovuto superare.     (p.i.)

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