POVERTÀ E “QUOTA 100”: I DUE TOPOLINI ZOPPI

I tre difetti di fondo che viziano la misura varata dal Governo per la lotta alla povertà – Quanto alle pensioni, per fortuna la misura varata non è una contro-riforma pensionistica, bensì soltanto uno schema di pre-pensionamento destinato a cessare nel 2021; ma che senso ha spendere quattro miliardi in questo modo?

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Intervista a cura di Fabio Paluccio per l’Agenzia di stampa
AdnKronos, 18 gennaio 2018 – In argomento v. anche la mia intervista del dicembre scorso, Lavoro e lotta alla povertà: a che punto siamo; e il mio editoriale telegrafico dell’ottobre scorso,  Che cosa aspettano i giovani a protestare contro questo furto del loro futuro?

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Mons parturiens murem

Professor Ichino, come giudica il provvedimento sul reddito di cittadinanza?
Il fatto che il Governo attuale si impegni a migliorare e ampliare l’efficacia delle misure contro la povertà messe in campo dai tre Governi precedenti va sicuramente salutato come un fatto in sé positivo. Le misure contenute in questo decreto, però, mi sembrano congegnate male. La montagna delle promesse elettorali ha prodotto due topolini, per di più molto zoppicanti.

Dove sta il difetto, secondo lei?
Per la misura contro la povertà il Governo ignora tre cose, tutte di importanza cruciale. La prima è che una misura come questa necessita, oltre che di una copertura finanziaria, anche di una copertura amministrativa: cioè di strutture pubbliche capaci di dare attuazione quello che la nuova legge prevede. È davvero impensabile che l’Inps e i Centri per l’Impiego siano in grado di compiere in tempi brevi tutti i molti nuovi e complessi adempimenti previsti nel decreto, in relazione a ciascuna delle centinaia di migliaia di domande che da marzo affluiranno.

Gli altri due difetti?
Il secondo sta nel fatto che circa per tre quarti dei poveri assoluti a cui viene offerto questo sostegno è impensabile un inserimento nel tessuto produttivo, per ragioni di età o di handicap psico-fisico. La misura varata dal Governo è stata strutturata essenzialmente come una misura di politica del lavoro; ma essendo diretta a una platea per tre quarti irrimediabilmente estranea al mercato del lavoro, nella maggior parte dei casi non potrà funzionare. Il terzo errore del Governo sta nel pensare che il mercato del lavoro funzioni ancora come negli anni ’50, quando accadeva che le imprese presentassero all’Ufficio di collocamento la richiesta di “un elettricista”, oppure “un fattorino”, oppure “un’impiegata d’ufficio”. Oggi per ciascun posto di lavoro ogni impresa cerca la persona specificamente adatta, scegliendo attentamente quella che, oltre alle caratteristiche personali necessarie, abbia anche la motivazione giusta. Nessuna impresa presenta al Centro per l’impiego un’offerta di lavoro impersonale, buona per qualsiasi sconosciuto. Viceversa, se una persona non vuole che l’offerta le venga rivolta, basta che si presenti al primo colloquio mostrandosi poco motivata: l’impresa si guarderà bene dall’insistere nella propria “offerta di lavoro”. Così il meccanismo di “condizionalità” previsto dal Governo si rivelerà subito del tutto inconsistente.

Parliamo di “quota 100”.
Il Governo era partito promettendo una contro-riforma delle pensioni; ma per “smontare la legge Fornero” occorrerebbe fare appunto una riforma di segno contrario, cioè introdurre un nuovo regime che abbassi stabilmente l’età del pensionamento. Per fortuna quello che è stato approvato è tutt’altra cosa: è un insieme di misure temporanee di pre-pensionamento, di cui soltanto due o trecentomila persone avranno la possibilità di approfittare nei prossimi tre anni; poi questa possibilità verrà meno e si tornerà per tutti al regime della legge Fornero. Che senso ha spendere quattro miliardi in questo modo?

Che cosa prevede circa il “tiraggio” della nuova norma, cioè la percentuale di aventi diritto che ne approfitteranno?
È molto difficile fare una previsione. Anche perché, contrariamente a quanto era stato promesso in campagna elettorale, qui il pensionamento anticipato viene consentito soltanto con una consistente riduzione della rendita, in proporzione all’anticipo: il pre-pensionamento potrà costare oltre un terzo della pensione.

A suo parere basteranno le risorse stanziate per le due misure?
Per il cosiddetto “reddito di cittadinanza”, e per i primi due anni, probabilmente sì: perché il difetto di copertura amministrativa produrrà un ritardo notevole nell’attivazione effettiva del sussidio. E forse anche per “quota 100”, se la perdita derivante dall’anticipo del pensionamento scoraggerà molti dall’approfittarne.

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