LA RIFORMA DEL WELFARE E IL POPULISMO DI SINISTRA

Nonostante la riforma del 2011, nel 2019 sono stati solo 33.123 i dipendenti che hanno lasciato il lavoro a 67 anni, mentre 126.107 sono andati in pensione anticipata – Invece di preoccuparsi di questo, la ministra del Lavoro si propone proseguire nell’opera di scardinamento della riforma

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Lettera di Giuliano Cazzola al quotidiano il Foglio, pubblicata il 1° febbraio 2020 – In argomento v. anche
La truffa di quota 100 voluta da Salvini e Di Maio e svelata da Tria; inoltre Pensioni: l’incredibile incoerenza del Governo: ivi i link a ulteriori articoli e interviste sul tema  .
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Al direttore – “La priorità è superare la legge Fornero rendendo il sistema pensionistico italiano più equo e flessibile’’, ha dichiarato il ministro Nunzia Catalfo annunciando di aver apparecchiato, insieme ai sindacati, tanti tavoli (tecnici) da fare invidia a una mensa della Caritas. Il negoziato verte sul “che fare” quando il sistema pensionistico dovrà rientrare, parecchio ammaccato, nelle regole predisposte nel 2011, determinando – dicono – un nuovo “scalone”, ovvero una brusca impennata dell’età di pensionamento. Visto che talune forze politiche della maggioranza continuano a criticare le misure adottate dal governo gialloverde in materia di pensioni, la logica vorrebbe che lo “scalone” si trasformasse in più comodi scalini tali da consentire un avvicinamento graduale. Si sta seguendo, invece, un’altra strada: quella di rendere strutturali le controriforme ereditate dal Conte 1. Ovvero, si andrebbe in pensione a partire da 62 anni con un’anzianità contributiva di almeno venti. Su questo punto sembrano già d’accordo tanto il governo quanto i sindacati, la cui piattaforma nel complesso intende superare la riforma Fornero, ma all’indietro, cestinando non solo la disciplina introdotta dal governo Monti, ma anche le misure più importanti (come l’aggancio automatico e periodico dell’età di quiescenza all’incremento dell’attesa di vita) adottate dall’ultimo esecutivo presieduto da Berlusconi. Prescindendo dalla questione, tuttora divisiva, del tipo di calcolo, viene allo scoperto che una particolare anomalia italiana (il prevalere sostanziale della tipologia del trattamento anticipato di anzianità rispetto a quella della pensione di vecchiaia) diventerebbe la nuova pietra d’angolo della ricostruzione del sistema pensionistico (senza badare alle spese). Del resto i dati parlano chiaro già ora. Sono stati solo 33.123 i dipendenti che nel 2019 hanno lasciato il lavoro a 67 anni mentre 126.107 sono andati in pensione anticipata. Corre voce, poi, che a sinistra del Pd, Leu insista per il ripristino dell’articolo 18 e per la modifica di altre misure contenute nel Jobs Act. Sorge legittimo un dubbio. Non sarà che il nuovo bipolarismo di cui si parla come un effetto dell’esito delle elezioni emiliano-romagnole, finisca per tradursi nel confronto tra due populismi, uno di sinistra e uno di destra?
Giuliano Cazzola

 

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