LAVORO POVERO: LO STANDARD MINIMO NON BASTA, OCCORRE ANCHE LA TRASPARENZA DELLE RETRIBUZIONI

Uno salario minimo universale è molto più efficace se è una regola che chiunque può applicare immediatamente, facilmente, senza bisogno di un consulente – La proposta di direttiva UE sulla retribuzione oraria minima è l’occasione per un ripensamento della struttura delle retribuzioni, oggi nel nostro Paese indebitamente complicata

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Articolo pubblicato sul quotidiano
il Foglio il 5 ottobre 2021 – Sulla complicatissima e poco trasparente struttura delle retribuzioni italiane, nonché le difficoltà che ne derivano per il funzionamento efficace di uno standard minimo universale, v. la scheda tecnica predisposta per la Nwsl n. 501, 11 ottobre 2021; inoltre i due miei editoriali telegrafici, rispettivamente del  10 giugno 2019 e del 2 novembre 2020: ivi i link ad altri articoli in argomento – V. anche, ultimamente, quello di Andrea Garnero e Giulia Giupponi pubblicato su lavoce.info, Sul salario minimo occorre avere metodo

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Paesi UE in cui vige (o no) un minimum wage

Il minimum wage ha bisogno di retribuzioni trasparenti

In Gran Bretagna, se il salario minimo orario per una persona adulta è fissato a 8 sterline, e un’azienda paga un dipendente 7 sterline, tutti sanno immediatamente che quell’azienda sta violando la legge. Se la stessa norma si applicasse in Italia, invece, l’azienda potrebbe essere in regola oppure no. Perché la struttura delle paghe in Italia è, nella maggior parte dei casi, poco trasparente, per via delle numerose voci di “retribuzione differita”: così, quell’azienda potrebbe essere in regola, oppure no, a seconda che il contratto preveda o no la tredicesima e la quattordicesima mensilità, e preveda o no l’incorporazione nella paga diretta dell’accantonamento per il trattamento di fine rapporto. Poiché ciascuna di queste voci di retribuzione differita pesa intorno al 7 per cento della retribuzione diretta, il fatto che esse siano previste fa aumentare la retribuzione effettiva di un importo che può arrivare fino al 20 per cento. Le norme che si applicano, in un Paese, a decine di milioni di persone sono efficaci se sono semplici da capire e da applicare; sono molto meno efficaci se per applicarle occorre rivolgersi a un esperto. Nei Paesi anglosassoni e in quelli del Nord Europa la tecnica protettiva imperniata su uno standard retributivo minimo orario (hourly minimum wage) è efficace perché chiunque può capire da solo se la somma che paga o che percepisce rispetta lo standard minimo. In Italia, se questa tecnica protettiva verrà adottata dal legislatore, essa sarà meno efficace, almeno fino a che la struttura delle nostre retribuzioni continuerà a essere imbarocchita dalla previsione (talora, come nel caso della tredicesima mensilità, risalente a norme corporative) di svariate forme di retribuzione differita che impediscono la trasparenza e la comparabilità immediata dei trattamenti economici. È vero che queste complicazioni normative sono ormai tutte derogabili; ma, allora, perché non lasciare che sia la sola contrattazione collettiva a occuparsene?

La direttiva UE sul minimum wage e la trasparenza dei salari

La Commissione UE ha pubblicato una proposta di direttiva sui “salari minimi adeguati”, che mira a obbligare gli Stati membri a rendere effettivo un adeguato standard minimo retributivo orario universale. Se questa proposta si trasformerà in direttiva, per il nostro Paese sarà l’occasione per un ripensamento della struttura delle retribuzioni del lavoro dipendente. Il confronto tra le paghe italiane e quelle degli altri Paesi è reso particolarmente difficile non solo dalla ripartizione della retribuzione annua in tredici o quattordici mensilità, ma anche dalla diffusione dell’istituto vetusto degli scatti di anzianità e dall’obbligo dell’accantonamento per il t.f.r., che non esiste in alcun altro Paese. Quanto ne soffra la confrontabilità immediata dei nostri standard retributivi con quelli degli altri Paesi dell’Unione è dimostrato da questo grafico, tratto da un articolo di A. Garnero e G, Giupponi su lavoce.info di due anni fa.

Quando il minimum wage “morde”

Quota dei lavoratori dipendenti cui si applica il minimum wage nei Paesi UE – Gli istogrammi arancioni mostrano la percentuale di lavoratori italiani cui si applicherebbe una paga oraria minima di € 9, a seconda di come questa venga intesa

Se in Italia venisse istituito un minimo orario di 9 euro, l’impatto sarebbe diverso a seconda che esso fosse inteso come comprensivo delle mensilità aggiuntive e dell’accantonamento per il t.f.r. (meno del 5 per cento dei lavoratori oggi guadagnano di meno), oppure come non comprensivo di quelle voci di retribuzione differita, i cui ratei pertanto si dovrebbero aggiungere ai 9 euro: in questo caso la quota di lavoratori che oggi godono di un livello retributivo inferiore sale a oltre il 25 per cento. Forse è giunto il momento di interrogarci sull’opportunità di mantenere in vita questi residui di un antico paternalismo. Anche perché si va verso un mondo nel quale una quota sempre maggiore di lavoratori si collocheranno in una zona grigia tra quelle dell’autonomia e della subordinazione (si pensi per esempio al c.d. lavoro agile e al lavoro organizzato mediante le piattaforme digitali) e sarà sempre più necessario facilitare le transizioni, unificando strutture retributive e sistemi previdenziali. Una maggiore trasparenza e confrontabilità delle retribuzioni gioverà a tutti.

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