L’ALIBI DELLA PRIVACY CHE VA SMASCHERATO

Troppo sovente la tutela della riservatezza viene utilizzata dalle amministrazioni come pretesto per non svolgere in modo appropriato il servizio cui esse sono preposte

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Editoriale telegrafico pubblicato il 23 aprile 2023 sulla Gazzetta di Parma – In argomento v. anche Far funzionare il mercato del lavoro

Nei giorni scorsi abbiamo appreso da un articolo di Gabriele Fava sul Sole 24 Ore che i Centri per l’Impiego, quando ricevono le richieste di manodopera dalle imprese, non rispondono con l’invio dei nomi e indirizzi dei disoccupati che potrebbero soddisfare quelle richieste, ma si limitano a pubblicarle sul proprio portale nella speranza che qualcuno si candidi. Questa prassi verrebbe seguita in ossequio alla disciplina della privacy, che impedirebbe al CpI di fornire all’impresa interessata il nome della persona da contattare per una possibile assunzione.

Va chiarito subito che questa lettura e applicazione della disciplina della privacy è vistosamente sbagliata. La riservatezza dei dati personali è un diritto fondamentale in quanto protegge la libertà di ciascuna persona di aprirsi o chiudersi al mondo esterno secondo le proprie insindacabili scelte; ma quando una persona si iscrive alla lista dei disoccupati presso un CpI essa inequivocabilmente acconsente a che il proprio nome venga comunicato alle imprese che potrebbero avere bisogno del suo lavoro. Proprio a questa sua disponibilità dovrebbe essere condizionato il godimento del trattamento di disoccupazione; se questa “condizionalità” è di fatto azzerata, ciò è dovuto proprio al comportamento dei CpI che nascondono i nomi degli iscritti nelle proprie liste.

Il riserbo sui propri dati personali è un diritto del quale possiamo liberamente disporre; cosa che facciamo, tra l’altro, ogni volta che ci impegniamo in un rapporto amministrativo o contrattuale. Se così non fosse, esso si trasformerebbe in una gabbia insopportabile, incompatibile con qualsiasi libertà del cittadino. Questo spiega perché, quando una persona abbia fornito a un CpI – come a qualsiasi Agenzia per l’Impiego privata – i propri dati per trovare un lavoro, il Centro stesso ha il dovere di fornirli all’impresa interessata. La realtà è che troppo sovente, soprattutto ma non soltanto dalle amministrazioni pubbliche, la tutela della privacy viene utilizzata come alibi per non svolgere in modo appropriato il servizio cui esse sono preposte. Il Garante della privacy farebbe bene a intervenire per sgombrare il campo da questo abuso.

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