LO SCIOPERO GENERALE E I SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI

Lo sciopero generale proclamato da Cgil e Uil contro la legge finanziaria è contestato dal Garante per la parte che concerne i trasporti e alcuni altri servizi pubblici essenziali; ma il nocciolo della questione è costituito da una degenerazione diffusa nell’esercizio di questo diritto costituzionale, che fa perdere peso e prestigio a questa forma di lotta

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Intervista a cura di Rita Querzé, pubblicata sul
Corriere della Sera il 13 novembre 2023 – In argomento v. anche Contro chi è rivolto lo sciopero degli insegnanti? 

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Professor Ichino, il Garante sostiene che lo sciopero indetto da Cgil, Cisl e Uil non sia uno sciopero generale ma plurisettoriale. E quindi debba sottostare a maggiori vincoli. Che idea si è fatto?
Il Garante, in realtà, eccepisce soprattutto lo stillicidio di scioperi in settori di servizi pubblici essenziali, come i trasporti, l’igiene ambientale e i vigili del fuoco, che contrasta con quanto prescritto dalla legge. E mette il dito nella piaga di un comportamento sindacale che sta svuotando di significato questo strumento di lotta.

A che cosa si riferisce?
Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della Cgil, alla Costituente disse che lo sciopero è un atto grave e solenne, da usare con grande parsimonia per difenderne il valore civile e morale. Lo sciopero perde questo carattere, e dunque la sua efficacia, se diventa una routine, come è diventato oggi in Italia lo sciopero dei trasporti del venerdì. Che è connotato anche da una certa dose di opportunismo.

In che senso?
Collocandosi al venerdì mira ad avvalersi dell’adesione opportunistica di chi vi partecipa soltanto per aggiungere un giorno di vacanza al fine-settimana. Lo sciopero avrebbe molto più valore, prestigio, peso politico, se fosse fatto nei giorni centrali della settimana; ma chi lo proclama sa che avrebbe molta meno partecipazione.

Il sindacato fa notare che Salvini ha già dato il via libera a scioperi generali di piccole sigle. Due pesi e due misure?
Più che dare il “via libera”, il ministro dei Trasporti in quegli altri casi non è intervenuto. Ma resta il fatto impressionante della serie pressoché continua degli scioperi dei trasporti del venerdì, che è diventata una caricatura dell’esercizio del diritto di sciopero.

La normativa attuale contempera in modo equilibrato il diritto di sciopero e quello del cittadino alla mobilità? Non occorrerebbe condizionare la proclamazione alla rappresentatività dei sindacati?
Lo sciopero deve poter essere proclamato anche da un sindacato minoritario. Nel settore dei servizi pubblici essenziali, però, si potrebbe introdurre la regola che si applica in molti grandi Paesi europei per cui la proclamazione deve essere approvata da una certa percentuale dei lavoratori interessati. Occorrerebbe inoltre applicare correttamente una regola che c’è già.

Quale?
Quella che obbliga tutte le parti, imprenditori, sindacati e lavoratori, a preavvertire gli utenti di ciò che funzionerà e ciò che non funzionerà durante lo sciopero. Oggi i lavoratori del settore vengono indebitamente esonerati dal dichiarare, con l’anticipo previsto dalla legge, la propria adesione o no allo sciopero.

L’obiezione è che in questo modo il lavoratore potrebbe essere intimidito dall’imprenditore, o subire rappresaglie.
Questa obiezione non sta in piedi. Il nostro diritto del lavoro è severissimo e predispone misure giudiziali rapide ed efficacissime contro l’imprenditore che discrimini le persone perché aderiscono a un sindacato o partecipano a uno sciopero. Per altro verso, l’adesione della persona allo sciopero alla fine è comunque palese. Viceversa, la conoscibilità preventiva dell’adesione delle singole persone consentirebbe di rispettare un diritto che la legge attribuisce ai cittadini, nel campo dei servizi pubblici essenziali.

Quale diritto?
Quello a conoscere almeno con cinque giorni di anticipo i treni che viaggeranno, le classi di una scuola i cui insegnanti saranno regolarmente al lavoro, e così via. Questa è la parte della legge che oggi non viene rispettata.

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