SUL PROBLEMA DELLA STABILIZZAZIONE DEI LAVORATORI A TERMINE DELLO SPETTACOLO

REPLICA AL QUOTIDIANO DIRETTO DA PADELLARO, CHE MALIZIOSAMENTE IPOTIZZA UN MIO RUOLO NELLA REDAZIONE O ANCHE SOLO IDEAZIONE DELLA NUOVA NORMA CHE VIETA LA STABILIZZAZIONE DI LAVORATORI GIA’ TITOLARI DI CONTRATTI A TERMINE NEL SETTORE DELLO SPETTACOLO

La lettera si riferisce al passaggio di un articolo pubblicato dal Fatto Quotidiano il 1° maggio – a proposito del decreto governativo per gli enti lirici firmato dal Capo dello Stato il giorno precedente – in cui si legge: “Il decreto è rivolto a tutte le fondazioni liriche italiane, ma le poche righe inserite nell’articolo 3 sembrano essere state pensate proprio per il teatro milanese, difeso legalmente dal professore di diritto del lavoro e senatore del Pd Pietro Ichino. […] Alla domanda del Fatto Quotidiano, l’avvocato della Scala e senatore del Pd, Pietro Ichino, ha tagliato corto: “Preferisco non dare un giudizio politico sulla questione perché sono coinvolto sul piano professionale”. Inviata al quotidiano il 2 maggio, poi di nuovo il 5 maggio, questa lettera di replica non è stata pubblicata.

Caro Direttore,
un passaggio dell’articolo pubblicato sabato scorso dal quotidiano da Lei diretto, a proposito del decreto per gli enti lirici entrato in vigore quello stesso giorno, può indurre i lettori a pensare che – in qualità di avvocato del Teatro Alla Scala e al tempo stesso di senatore – io abbia avuto qualche ruolo nella redazione o anche soltanto nel suggerimento al Governo della norma che vieta la stabilizzazione di lavoratori in precedenza assunti a tempo determinato da enti lirici. Al cronista del Fatto Quotidiano, che mi chiedeva un’intervista in proposito, non ho detto soltanto la frase riportata nell’articolo (“Preferisco non dare un giudizio politico sulla questione perché sono coinvolto sul piano professionale come difensore del Teatro”), bensì anche queste altre, che nell’articolo sono state indebitamente omesse:
   – non ho mai discusso dei contenuti del decreto governativo, né prima né dopo la sua emanazione, né con la Sovrintendenza o i dirigenti del Teatro, né tanto meno con alcun esponente del Governo;
   – non lo ha fatto neppure alcun altro membro dello Studio legale di cui sono contitolare;
   – né io né alcun altro membro dello Studio abbiamo avuto alcun ruolo né nell’ideazione della norma a cui l’articolo si riferisce, né tanto meno nella sua redazione;
   – al momento del colloquio con il giornalista non avevo avuto occasione di leggere, neppure in parte, il contenuto di quel decreto (ho infatti potuto leggerne il testo soltanto dopo la firma del Capo dello Stato).
Le sarò grato se vorrà pubblicare – sia pure in ritardo – questa parte ulteriore delle mie dichiarazioni. Alle quali aggiungo questa: anche dopo l’elezione al Senato mi onoro di mantenere, insieme ad altri colleghi del mio Studio, l’incarico di difensore del Teatro alla Scala; ma ho  sempre curato di tenere ben distinta la mia attività di avvocato da quella parlamentare. E proprio per questo, dopo l’elezione di due anni fa, essendo impegnato a tempo pieno nel lavoro parlamentare, ho dovuto ridurre la mia attività forense – anche quella svolta per il Teatro Alla Scala – al minimo indispensabile, cioè ai soli adempimenti che, per ragioni tecniche o di opportunità processuale, non possono essere affidati ad altri membri dello Studio.
Con i migliori saluti
Pietro Ichino
P.S. Quanto al merito della questione, per la massima trasparenza della mia posizione aggiungo soltanto questo: non mi sembra che il problema della continuità del lavoro e del reddito dei lavoratori del settore dello spettacolo possa essere risolto col garantire a tutti un rapporto di lavoro permanente alle dipendenze di un teatro, dal momento che la programmazione dell’attività dipende in larga parte, di anno in anno, da finanziamenti pubblici di entità molto variabile. L’alternativa non può essere quella tra una insicurezza inaccettabile e una inamovibilità insostenibile: occorre sperimentare forme di protezione della sicurezza economica e professionale dei lavoratori nuove e diverse rispetto a quelle proprie del vecchio diritto del lavoro. Ma questo ovviamente non c’entra nulla con il decreto del Governo.

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