FRANCO SCARPELLI INTERVIENE NEL DIBATTITO SUL “DECALOGO” DI FASSINA

“MI AUGURO CHE NELLA PROSSIMA ASSEMBLEA NAZIONALE LA PROPOSTA FASSINA VENGA AVANZATA NON COME ‘LA POSIZIONE DEL PARTITO’, MA COME UNA BASE PER AVVIARE UN GRANDE E ARTICOLATO CONFRONTO, CHE CONSENTA AL PD E ALLA SUA DIRIGENZA L’ELABORAZIONE DI UNA SINTESI”

Lettera pervenuta il 18 maggio 2010

Caro Ichino,
ti chiedo di intervenire in merito al documento sui temi del lavoro proposto da Stefano Fassina, a margine del quale hai pubblicato nel tuo sito una nota fortemente polemica.

Il documento di Fassina, per la complessità dei temi affrontati, presenta ovviamente aspetti più condivisibili e altri suscettibili di discussione. Ad esso tu opponi, in particolar modo, il fatto di segnare “un passo indietro” rispetto al dibattito svoltosi nell’ambito dei gruppi parlamentari del PD, che ha portato alla presentazione di progetti di legge importanti (trai quali alcuni a te principalmente attribuibili), elaborazione che a tuo dire costituirebbe un “punto di arrivo del dibattito interno al Pd”.

La tua critica si basa su argomentate ragioni di merito (relative al problema del ‘dualismo’ nelle regole del lavoro), ma a me pare che proprio la premessa di metodo, sullo ‘stato del dibattito’, meriti in primo luogo attenzione.

Sul punto, a me sembra che il principale merito del documento proposto da Fassina (che come te ho avuto modo di conoscere solo in questi giorni) sia proprio quello di proporre una base per una discussione ampia nel PD, da un lato, e di farlo ‘spostando il tiro’ dalla pura logica della riforma delle regole legislative (che in tante occasioni, in anni recenti, ha dato prova della sua debolezza).

Dobbiamo infatti muovere dal riconoscimento del fatto che a tutt’oggi, sui temi del lavoro, il maggior partito riformista è rimasto privo di una propria solida elaborazione progettuale, che fosse sia adeguata alle novità e ai cambiamenti in atto nel mercato del lavoro e nell’economia, sia sufficientemente condivisa dal corpo del partito (e, prima ancora, dai suoi dirigenti).

In poche parole: il PD non ha (non ha ancora, o non ha più rispetto alle forze che hanno concorso a costituirlo) una propria solida idea e cultura del lavoro, dei modelli di welfare, dei modelli di relazioni industriali.

Tale limite, purtroppo, ha pesato sulla capacità di porsi come protagonista attivo e innovativo del dibattito su questi temi, sulla capacità di porsi come interlocutore autorevole delle forze sindacali in un periodo di drammatiche fratture tra le stesse (non riuscendo, così, a svolgere un ruolo di adeguata  e ‘alta’ mediazione tra le diverse concezioni del sindacato), di interloquire con autorevolezza con forse importanti alla propria sinistra (anche per evidenziare i limiti delle loro posizioni).

In questo contesto, l’iniziativa di elaborazione dei parlamentari (certamente legittima, questo è fuori discussione) ha probabilmente svolto un ruolo di ‘supplenza’, riempiendo il vuoto lasciato dal Partito stesso, ma mi pare non abbia saputo uscire da una logica individualistica, preceduta da un confronto tra addetti ai lavori e spesso parziale. Inoltre, per la natura stessa della vostra funzione essa è apparsa muoversi interamente nella logica un po’ ingegneristica e tecnocratica della riforma delle leggi, come se ciò bastasse a risolvere problemi complessi che toccano meccanismi economici, culturali, di costume, ecc. (e lo dico da giuslavorista, che certamente non sottovaluta l’importanza delle regole, ma ne conosce anche il limite…).

Ora, anche considerando il fatto che nell’attuale legislatura le proposte di legge dell’opposizione hanno ben poche possibilità di essere anche soltanto esaminate, non credi che sarebbe più utile che tali proposte seguissero (e non precedessero) una elaborazione progettuale minimamente seria del PD sui problemi del lavoro, che fossero sintesi di un confronto allargato alle sue varie componenti politiche e sociali (e territoriali), all’interlocuzione con soggetti sociali esterni di varia natura, a voci critiche esterne? (come ad es. quella di Cavallaro, che tu stesso ospiti nel tuo sito)

Questa discussione dovrebbe muovere, prima di tutto, da una analisi sufficientemente condivisa dei problemi, dello ‘stato di fatto’ del mercato e delle relazioni di lavoro nella loro crescente complessità: analisi dalla quale potrebbe emergere, ad esempio, che il presupposto dal quale muovono le tue critiche (l’idea di un diritto del lavoro diviso in due mondi) potrebbe rivelarsi una analisi fallace o insufficiente della realtà, caratterizzata invece da molteplici altri fattori di differenza (non necessariamente indotti da regole di legge): per fare un esempio, il ‘dualismo’ che cresce nel mondo stesso dei lavoratori a tempo indeterminato (quelli che tu qualifichi a priori come iper-protetti), anche nelle medie/grandi imprese sottoposte a tutela reale, tra le fasce più professionalizzate, più coinvolte nei processi manageriali, dotate di migliore condizione economica e sul mercato, e larghe fasce di lavoratori ‘comuni’, le cui condizioni (in termini economici, ma anche di controllo della propria condizione nei processi produttivi e organizzativi, nell’organizzazione dei tempi di lavoro, del rapporto tra vita familiare e lavorativa, ecc.) vanno peggiorando. E ancora: il dualismo tra imprese moderne, innovative e legali da un lato, e imprese arretrate e proto-capitalistiche dall’altro (differenze che vengono del tutto ignorate da proposte di nuove regole del lavoro uguali per tutte le imprese, incapaci dunque di sostenere le migliori energie imprenditoriali e penalizzare la cattiva impresa).

In questo senso, la proposta di Fassina ha il merito di muovere da questo terreno di analisi, e di provare a costruire (bozze di) risposte sul piano economico prima che giuridico, pur se poi articolate anche in proposte di aggiustamento e talvolta di vere e proprie riforme di importanti settori di governo delle relazioni di lavoro.

Di esse ed altre mi pare che meriti discutere a fondo, senza pretendere (come sembra fare la tua critica) di porre paletti ormai fermi.

E’ evidente che quella proposta chiama a una riflessione più complessa e più rischiosa, dovendo tra l’altro affrontare per molti aspetti il delicato problema della sostenibilità finanziaria. Ma la domanda è: se non ora, quando?

Possiamo davvero pensare che il maggiore partito d’opposizione e dello schieramento riformista possa proporsi come soggetto di governo del Paese, anche nell’interlocuzione con i possibili alleati alla sua sinistra e alla sua destra, e con le forze sociali, senza avere prima compiuto una riflessione a tutto campo e avere costruito un proprio serio progetto sul lavoro, sul ruolo del sindacato, sulle caratteristiche di una economia aperta ma socialmente protetta?. E davvero pensi che per far questo basti avere qualche (buona o meno buona non importa) proposta di legge?

Personalmente (senza volere e potere qui pronunciarmi sui singoli punti del decalogo contenuto nella proposta Fassina) mi auguro che la stessa, con le modifiche e integrazioni che verranno decise nella prossima assemblea nazionale, venga proposta non come “la posizione” del Partito, ma come una base per avviare un grande e articolato confronto (che dovrà svilupparsi tenendo conto anche delle differenze territoriali) per consentire poi al PD e alla sua dirigenza l’elaborazione di una sua sintesi (superando il desolante e disorientante fenomeno di dirigenti che individualmente ‘sposano’ questa o quell’altra iniziativa, senza che sia facile comprendere quale idea abbiano del futuro del lavoro).

Un caro saluto

Franco Scarpelli

Presidente di Forum Lavoro del PD Lombardia

Docente di diritto del lavoro nell’Università di Milano-Bicocca

 

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