LO STATUTO DEI LAVORATORI E LA CRISI DEL CONTRATTUALISMO SINDACALE

QUESTA E’ STATA, NEI PRIMI ANNI DOPO L’ENTRATA IN VIGORE UNA DELLE LEGGI IN MATERIA DI LAVORO CON TASSO DI EFFETTIVITA’ PIU’ ALTO NELL’ULTIMO MEZZO SECOLO, ANCHE PER LA SUA CHIAREZZA, SEMPLICITA’ E ADERENZA AGLI EQUILIBRI DEL SISTEMA DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI – MA QUALITA’ SI SONO PERSE NELLA LEGISLAZIONE SUCCESSIVA IN QUESTO CAMPO

Intervento svolto nella seduta antimeridiana del 20 maggio 2010 del Senato, dedicata alla commemorazione della legge 20 maggio 1970 n. 300, nel quarantennale della sua emanazione. L’intervento è stato pubblicato dal quotidiano della CISL Conquiste del lavoro del 25 maggio 2010, in prima pagina – V. anche gli interventi di Paolo Nerozzi, Tiziano Treu, Maurizio Castro e Maurizio Sacconi, nella stessa seduta. Per un approfondimento sul tema della crisi del contrattualismo che ha coinciso con il periodo dell’elaborazione ed emanazione dello Statuto dei lavoratori, v. il mio intervento Appunti sulla catastrofe ideologica della Cisl negli anni ’60

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Ichino. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD) – Signora Presidente, il mio breve intervento è dedicato soltanto a sottolineare un aspetto della vicenda dello Statuto dei lavoratori del 1970 che è stato forse tenuto indebitamente in ombra nel dibattito di questi giorni.
            L’elaborazione e l’emanazione dello Statuto hanno coinciso con la crisi di una corrente di pensiero molto importante, quella che va sotto il nome di «contrattualismo sindacale» e che ha caratterizzato particolarmente l’elaborazione teorica e il comportamento pratico di una grande confederazione sindacale italiana, la CISL.
            Lo Statuto ha avuto il merito di recepire e generalizzare i contenuti fortemente innovativi della contrattazione collettiva della seconda metà degli anni ’60 e, in particolare, dell’autunno caldo del ’69. La sua emanazione, tuttavia ha segnato uno spartiacque tra una legislazione in materia di lavoro rispettosa del principio contrattualistico e del principio di sussidiarietà, e una legislazione, invece, fortemente invasiva, intrusiva e ipertrofica, quella che ha portato la raccolta delle leggi vigenti nel nostro Paese in questo campo a occupare quasi 3.000 pagine, caratterizzate oltretutto da grave disorganicità, ma, soprattutto, da un grave difetto di effettività: alla dilatazione del volume normativo ha corrisposto una imponente riduzione del campo di applicazione effettiva della legge.
            Lo Statuto – che pure nell’immediatezza della sua emanazione venne tacciato di essere una «legge malfatta» – è stato invece esemplare per semplicità, chiarezza e aderenza agli equilibri del sistema di relazioni industriali. Subito distribuito in milioni di esemplari in ogni luogo di lavoro, in ogni angolo del Paese, esso in pochi mesi ha saputo cambiare profondamente la nostra cultura del lavoro, perché è stato letto e capito direttamente dai milioni dei suoi destinatari, lavoratori e imprenditori, conseguendo uno straordinario grado di effettività. Questi beni inestimabili – semplicità, chiarezza, effettività, aderenza agli equilibri del sistema di relazioni industriali – sono però andati ben presto perduti nella nostra legislazione del lavoro.
            Nel momento in cui celebriamo i 40 anni di questa legge straordinaria, credo che tutti dobbiamo assumere l’impegno, un impegno possibilmente bipartisan, a recuperare questi beni e, in particolare, a ristabilire un corretto rapporto tra sistema delle relazioni industriali e legislazione del lavoro. Consapevoli che quando – come oggi diffusamente accade – la legge viene di fatto disapplicata, è la democrazia stessa a essere messa fuori gioco. (Applausi dal Gruppo PD).

 

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