LE ISTANZE DELLA CHIESA E LA LAICITA’ DELLO STATO

LE RECENTI PRESE DI POSIZIONE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA IN MATERIA DI OMOSESSUALITA’ E DI FINANZIAMENTI ALLE SCUOLE PRIVATE SOLLECITANO UNA RIFLESSIONE SUL PRINCIPIO DEL “DARE A CESARE QUEL CHE E’ DI CESARE”

Messaggio pervenuto il 5 dicembre 2008. Segue la mia risposta.

 Caro Senatore, nella sezione “Temi diversi” del suo sito leggo un’intervista nella quale lei parla della sua fede cristiana. Per questo mi interessa sapere che cosa pensa delle recenti prese di posizione della Chiesa cattolica contro l’iniziativa francese per il riconoscimento dell’omosessualità come diritto civile e contro i tagli delle sovvenzioni pubbliche alla scuola privata.

            G.P.L.

           Incomincio con una risposta sintetica che vale per entrambe le questioni. Nella mia veste di parlamentare, di rappresentante delle istituzioni, ho grande rispetto per tutte le opinioni – siano esse da me condivise o no ‑ espresse dalla Conferenza episcopale italiana, la quale dà voce a una parte assai rilevante della nostra società civile; come cristiano – se posso considerarmi tale ‑ avrei molto preferito un silenzio del magistero ecclesiastico su ciascuna di quelle questioni, oppure una presa di posizione collocata su di un piano molto diverso.
          In altre parole, penso che la Chiesa italiana abbia, dal punto di vista del nostro ordinamento civile, lo stesso diritto che hanno tutte le altre “formazioni sociali”, le associazioni, i partiti, di esprimere la propria opinione sulle scelte legislative e di governo del Paese: non condivido la tesi laicista di chi vorrebbe che le fosse negato il diritto di intervenire direttamente nell’agone politico. È da cristiano che disapprovo questi suoi interventi: credo che la Chiesa dovrebbe riservare la propria voce all’annuncio del Vangelo, a educare le persone all’ascolto attento della parola di Dio, lasciando che ciascuna di esse maturi e compia secondo coscienza le proprie scelte politiche o professionali nelle sedi che sono loro proprie, insieme a tutti gli altri cittadini. “Rendere a Cesare quel che è di Cesare” – come ho cercato di dire nell’intervista da lei citata ‑ implica proprio che si rispetti la laicità di queste sedi, cioè che si rispetti un metodo di dialogo tra persone di diverse fedi religiose e opzioni ideologiche, la scelta di un confronto aperto cui i cristiani (al pari di tutti gli altri, beninteso) partecipano senza la pretesa di possedere una soluzione pratica a priori migliore, in quanto direttamente tratta dalla parola di Dio.
          Il Vangelo non dice nulla su come la materia dell’omosessualità debba essere trattata sul piano civile o su quello penale. Se la Chiesa si astenesse dallo sprecare la propria voce in questo campo, essa eviterebbe di mischiare indebitamente la parola di Dio con scelte politiche e legislative che devono poter maturare nelle sedi loro proprie, nel confronto fra tradizioni civili, culture giuridiche e filosofie morali diverse; eviterebbe, così, al tempo stesso, di “nominare il nome di Dio invano” e di invitare i propri fedeli a chiudersi a culture giuridiche, filosofie politiche, nozioni di libertà personale, che non sono nate nell’alveo della tradizione cattoliche ma dalle quali nondimeno possiamo avere molto da imparare (considero, in particolare, una conquista di civiltà il divieto di discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale di una persona, che l’ordinamento italiano, con il d.lgs. n. 216/2003, ha recepito da quello comunitario europeo).
          Allo stesso modo, il Vangelo non dice nulla sull’organizzazione migliore dell’istruzione pubblica, né sull’interpretazione più corretta del terzo comma dell’articolo 33 della Costituzione in materia di finanziamento delle scuole private. Tanto basta, a mio modo di vedere, per sconsigliare che il magistero ecclesiastico intervenga pro o contro determinate misure legislative su questa materia.
          Se lei chiede la mia personale posizione su questo tema, le rispondo che sarei favorevole a una scuola pubblica nella quale – fermi restando alcuni principi e contenuti essenziali – ci fossero ampi spazi di confronto e anche di concorrenza tra concezioni e metodi diversi di educazione; nella quale potessero dunque essere pienamente accreditate (e accedere al finanziamento pubblico) anche iniziative e istituzioni scolastiche diverse da quelle promosse dal ministero dell’Istruzione; ma questa mia opzione si basa su ragioni che hanno poco o nulla a che fare con il mio cercare di essere cristiano: essa nasce, invece, da una ricerca che mi accomuna a tante persone di buona volontà, che in gran parte si professano non credenti, e alle quali nondimeno devo la maggior parte di quel che so in questo campo.

          Non mi è parsa, comunque, ispirata a una genuina equità e laicità ‑ nel senso di questo termine sopra precisato ‑ l’immediatezza con cui il nostro Governo ha accolto la richiesta dei Vescovi, revocando i tagli al finanziamento delle scuole private, dal momento che una “comprensione” altrettanto pronta non è stata riservata ad altre istanze, non meno fondate, provenienti dalla società civile, sia in materia scolastica sia in altre materie di pari rilievo.   (p.i.)
 
 
 

 

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