IGNAZIO MARINO: IL PD E I NUOVI “PARIA” DEL LAVORO

NON E’ ACCETTABILE LA SQUALIFICA DEI PROGETTI DI RIFORMA DEL DIRITTO DEL LAVORO, PRESENTATI AL SENATO E ALLA CAMERA DA OLTRE 200 PARLAMENTARI DEL PD – PER SUPERARE L’APARTHEID TRA PROTETTI E NON PROTETTI OCCORRE RIDISEGNARE LA DISCIPLINA DI TUTTI I RAPPORTI DI LAVORO DIPENDENTE CHE SI COSTITUIRANNO D’ORA IN AVANTI

Articolo del senatore Ignazio Marino, membro della Direzione nazionale del PD, pubblicato su l’Unità del 27 maggio 2010

Il dialogo è fondamentale per la vita democratica e, come scrive Enzo Bianchi, priore di Bose, “non ha come fine il consenso, ma un reciproco progresso, un avanzare insieme”. Proprio perché credo nel dialogo, mi ha sorpreso l’intervento del 25 maggio di Stefano Fassina, responsabile del settore economico nella segreteria del PD. Il suo ruolo di titolare nazionale di un importante dipartimento non gli dovrebbe consentire di lanciare invettive contro esponenti dello stesso partito, tentando di squalificarne le posizioni con accuse gratuite (quale è quella che mi rivolge, di essere mosso nelle mie scelte politiche da “ansia di visibilità”). La mia unica e sincera ansia, su un tema socialmente così delicato come quello del documento sul lavoro approvato nel corso dell’Assemblea Nazionale del PD, è che il nostro partito appaia ancora una volta titubante, incerto,  dubbioso.

I “riformisti coraggiosi”, come ci chiama Fassina, si sono astenuti dal voto non perché siano radicalmente contrari al documento (in questo caso avremmo votato contro!) ma perché chiedono un ulteriore approfondimento ed alcuni chiarimenti. Innanzitutto, se siamo tutti d’accordo che si debba superare l’apartheid esistente oggi nel mercato del lavoro, perché ai paria, che svolgono esattamente lo stesso lavoro dei regolari, il PD propone di estendere soltanto alcuni diritti fondamentali e solo gradualmente? Se la spiegazione è che ciò comporterebbe un costo eccessivo per le imprese, questa come si concilia con la proposta di “far costare un’ora di lavoro precario un po’ più di un’ora di lavoro stabile”? Se, invece, la ragione è che l’estensione ai paria dell’intero diritto del lavoro priverebbe il sistema di un “polmone di flessibilità” indispensabile, come si giustifica che oggi tutto il peso della flessibilità sia posto sulle spalle dei soli paria? E perché il PD avanza con il freno a mano tirato sulla via del superamento di questa grave ingiustizia?
Se anche Stefano Fassina ritiene che l’attuale disciplina della stabilità dei rapporti regolari non sia suscettibile di applicazione universale, perché si irrita con chi si sforza di progettare un diritto che possa, invece, applicarsi davvero a tutti i nuovi rapporti di lavoro dipendente, senza inaccettabili eccezioni?
Per finire vorrei offrire io una opportunità di chiarimento. I progetti di riforma di questa materia presentati progressivamente in Parlamento da esponenti del PD (Ichino, Madia, Nerozzi, Bobba), sono stati sottoscritti al Senato da oltre due terzi ed alla Camera da quasi la metà dei parlamentari PD. Si tratta di oltre duecento dei nostri senatori e deputati – contro i quali ora Stefano Fassina lancia strali e invettive – che lasciano intatta la posizione di chi oggi ha già un posto di lavoro stabile, ma al tempo stesso si impegnano a ridisegnare la disciplina destinata ad applicarsi a tutti i rapporti che si costituiranno d’ora in avanti. Nessuno immagina, come interpreta Stefano Fassina, di “togliere ai padri per dare ai figli” o di mettere padri e figli in conflitto, bensì di fare in modo che l’attuale situazione di lavoratori senza diritti non continui ad essere inflitta anche alle nuove generazioni. Come l’area di Cambialitalia (www.cambialitalia.it) ha proposto all’Assemblea Nazionale del Pd lo scorso fine settimana, molti di noi si sforzeranno di condurre il dibattito sul tema del lavoro sul territorio, di circolo in circolo, per dare vita a quel vento democratico che serve disperatamente nel PD, per essere incisivo e assumere posizioni più chiare e nette.

 

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