LUIGI MARIUCCI: L’INGANNO DEL “CONTRATTO UNICO”

“PROMETTERE AI GIOVANI L’INTRODUZIONE DI UN ‘CONTRATTO UNICO’ COME PANACEA DELLA PRECARIETA’ E’ UN INGANNO E UNA COLPEVOLE MISTIFICAZIONE”, DICE IL RESPONSABILE LAVORO PD DELL’EMILIA ROMAGNA – MA NON AFFRONTA LA QUESTIONE CRUCIALE: QUALE DIRITTO DEL LAVORO DAVVERO UNIVERSALE, UGUALE PER TUTTI, PROPONIAMO ALLA NUOVA GENERAZIONE?

Articolo di Luigi Mariucci pubblicato su Europa del 26 maggio 2010 –  Segue una mia replica

            Promettere ai giovani e ai meno giovani l’introduzione di un c.d. “contratto unico”, come panacea della precarietà, che unico in realtà non è e non potrà essere, è un inganno e una colpevole mistificazione. Il diritto del lavoro è sempre stato e sempre sarà “plurale”. Sono sempre esistite le differenze tra grandi e piccole imprese, tra diversi settori produttivi e tra aree territoriali. Non si deve seminare l’illusione di azzerare le differenze in una impossibile “unicità”. Si tratta invece di convenire o meno sulla necessità di preservare l’asse di fondo del diritto del lavoro italiano nella sua concreta evoluzione storica. Questo asse è costituito dall’intreccio tra Costituzione e Statuto dei diritti dei lavoratori, tra diritti del lavoro e diritti di cittadinanza. L’art.18 dello Statuto è la norma-simbolo di questo assetto: è una norma in cui si realizza un principio fondamentale di civiltà giuridica, quello per cui il licenziamento illegittimo non può estinguere il rapporto di lavoro, non può essere monetizzato.
            Oggi vanno costruiti meccanismi efficaci di inclusione, di estensione dell’area dei diritti verso quanti ne sono esclusi (i precari, le finte partite Iva, i dipendenti mascherati  da collaboratori autonomi ecc.), spesso in nome di una strumentalizzazione delle esigenze oggettive di flessibilità dei processi produttivi. La misura in assoluto più efficace consiste nell’utilizzare meccanismi di incentivazione, rendendo conveniente, sul piano fiscale e contributivo, l’assunzione a tempo indeterminato, come prevedono le direttive della Unione Europea.
            L’idea invece di livellare le tutele verso il basso, spacciata attraverso l’ingannevole formula del contratto unico, è una indebita concessione alle ideologie della destra, fatta fuori tempo e fuori fase, dato che da ogni parte, a fronte della crisi finanziaria che ha investito l’economia globale, si invocano invece nuove regolazioni del mercato.  E’ una concessione a quella ideologia secondo cui lo Statuto dei lavoratori sarebbe un ferrovecchio, da sostituire con un c.d. Statuto dei lavori, fondato non più sui diritti delle persone ma sulle esigenze del mercato,  i contratti nazionali di lavoro andrebbero smantellati sostituendoli con le più varie contrattazioni derogatorie, a livello territoriale e aziendale, i licenziamenti andrebbero liberalizzati per favorire nuova occupazione. Tutti stereotipi tipici di una consunta impostazione liberista, rivelatasi in questi anni fallimentare, e che si vorrebbe contrabbandare come principi di non si sa quale “nuova sinistra”. Sono sirene ingannevoli a cui una sinistra seria e autenticamente riformista deve saper resistere. Sono misure tardive di una americanizzazione controtempo e fuori fase, da respingere nel modo più deciso, a cui contrapporre un’altra piattaforma, come quella, largamente condivisa nel partito al di là degli schieramenti congressuali, che il gruppo di lavoro coordinato da Stefano Fassina proporrà alla Assemblea nazionale del Partito Democratico.  

“Un inganno e una colpevole mistificazione”
“indebita concessione alle ideologie della destra, fatta fuori tempo e fuori fase”
“stereotipi tipici di una consunta impostazione liberista”
“misure tardive di una americanizzazione controtempo”
Queste non sono  critiche, sono invettive. Vogliamo stare al merito della questione senza questi nervosismi, che non aiutano a capirsi? Il mio progetto si propone di disegnare un diritto del lavoro per l’Italia del dopo crisi, per la nuova generazione, capace davvero di recuperare il carattere di universalità che dovrebbe essere proprio di qualsiasi ordinamento del lavoro in un Paese democratico, cioè di applicarsi davvero, in modo uguale, a tutti i lavoratori in posizione di dipendenza economica dall’azienda per cui lavorano (carattere che il nostro diritto del lavoro attuale ha perduto del tutto). A Luigi Mariucci – come a Cesare Damiano e a Stefano Fassina – non piacciono le soluzioni proposte nel mio progetto, e neanche quelle proposte nel progetto Nerozzi. Bene: ne propongano delle altre. Ma che siano davvero universali, cioè applicabili a tutti in modo uguale, in modo che non ci siano più i protetti e i paria. E’ la questione che posi quattordici anni fa con il libro
Il lavoro e il mercato: da allora la percentuale dei paria sul totale dei lavoratori dipendenti è aumentata e la loro condizione è mediamente peggiorata (per via dell’allargarsi del ricorso alla “partita Iva”). Forse è ora che la affrontiamo sul serio questa questione. Luigi Mariucci non la affronta, perché teme che affrontarla comporti mettere in discussione “l’asse di fondo del diritto del lavoro italiano … costituito dall’intreccio tra Costituzione e Statuto dei diritti dei lavoratori” del quale “l’art.18 dello Statuto è la norma-simbolo “. Fatto sta che questo “asse di fondo”  non è destinato ad applicarsi ai milioni di lavoratori che oggi ne sono esclusi. Per loro sono previsti soltanto “meccanismi di inclusione”, “meccanismi di incentivazione [che rendano] conveniente, sul piano fiscale e contributivo, l’assunzione a tempo indeterminato”. Meccanismi. Ma i paria del mercato del lavoro non vogliono “meccanismi”, vogliono parità di trattamento. Finché sarà consentito assumere nella stessa azienda per uno stesso lavoro un lavoratore dipendente regolare e uno “a progetto”, o”con partita Iva”, continueranno a esserci un lavoratore di serie A che gode del diritto del lavoro, e uno di serie B o di serie C che ne gode soltanto in parte o per nulla. E non si dica che i paria dovrebbero far causa alle aziende per ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro regolare: sappiamo bene perché  questo non avviene se non in pochissimi casi. Né si obietti che “basta mandare gli ispettori” per stanare le evasioni: di fronte a milioni di rapporti di lavoro sedicente autonomo, i duemila ispettori non basteranno mai, neanche se li raddoppiamo o li quadruplichiamo. Occorre una definizione, come quella delineata nel disegno di legge n. 1873/2009 all’articolo 2094, e nel progetto Nerozzi, che consenta di individuare il “lavoro  dipendente” direttamente attraverso i tabulati dell’Inps e dell’Erario. E occorre, come è ovvio, scrivere un diritto del lavoro – semplice, essenziale, incisivo – che sia davvero e realisticamente suscettibile di applicarsi d’ora in avanti davvero a tutti in questa area, senza togliere nulla ai vecchi lavoratori “di serie A” e senza aumenti del costo complessivo per le aziende, né della rigidità complessiva del sistema. Ripeto: un nuovo diritto del lavoro, non  soltanto “meccanismi di incentivazione”.  (p.i.)

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