NON E’ REATO SCRIVERE CHE QUALCHE VIGILE URBANO SOFFRE DI TORCICOLLO

E’ FATTO NOTORIO CHE NEL CORPO DEI VIGILI URBANI VI SIANO STATI CASI DI PERCEZIONE DI TANGENTI IN CAMBIO DI UNA CHIUSURA D’OCCHIO SELETTIVA SU IRREGOLARITA’ DI ESERCIZI COMMERCIALI – NON E’ DIFFAMATORIO IL RIFERIMENTO A QUESTO FATTO CONTENUTO IN UN ARTICOLO DI QUOTIDIANO, NEL QUADRO DELLA DENUNCIA DELL’ILLEGALITA’ DIFFUSA

Stralci dell’ordinanza con la quale il Tribunale di Milano il 10 giugno 2010 ha disposto l’archiviazione della querela per diffamazione presentata contro di me da una settantina di vigili urbani milanesi, a seguito di un mio articolo di fondo pubblicato sul Corriere della Sera il 29 gennaio 2008, nel quale sostenevo che gli agenti della polizia locale, in presenza di illegalità di vario tipo che vengono commesse diffusamente, hanno sistematicamente la testa voltata dall’altra parte: donde le due ipotesi alternative del torcicollo o della circolazione di bustarelle.

[…] L’articolo non appare oggettivamente diffamatorio, non essendovi contenute espressioni ingiuriose, ma al più sarcastiche (si allude al “torcicollo]; per contro esso appare espressione del diritto di critica giornalistica considerato che essa scade nella diffamazione solo laddove vi sia superamento dei limiti di continenza, pertinenza e verità, ciò che, nel caso in esame, non pare essere avvenuto. […]
Ciò a maggior ragione ove venga esercitato il diritto di critica che per sua natura non può che implicare l’accenno a fatti e giudizi anche sgraditi, purché espressi all’interno dei limiti sopra tracciati.
Ebbene […] è fatto notorio e più volte riportato dalla stampa nelle cronache anche recenti che all’interno della categoria dei vigili urbani, come all’interno di altre categorie, accanto a una maggioranza di persone perbene che lavorano onestamente, vi siano stati singoli casi di disonestà anche nelle forme citate dal prof. Ichino. Né dalle parole dell’articolo in questione si coglie una impropria e intenzionale generalizzazione rispetto ai comportamenti corruttivi. Del resto si legge nel testo “forse qualcuno perderà qualche bustarella”, dove il pronome qualcuno esprime con chiarezza che non è la categoria a essere posta sotto accusa ma al più dei singoli non individuati né individuabili.
Quanto poi all’accusa di non intervenire, di guardare dall’altra parte di fronte ai venditori abusivi di abiti usati, tale atteggiamento non viene stigmatizzato di per sé ma quale espressione di ipocrisia del sistema (e quindi con responsabilità politiche di vertice più che individuali), sistema che da un lato vieta il lavoro nero, dall’altro lo tollera, al mercatino di Porta Genova così come, con ben altre proporzioni, nel Sud del Paese, dove esso – secondo quanto affermato dal prof. Ichino, che prima ancora che articolista è riconosciuto studioso della materia del lavoro – arriva a costituire il 25% dell’economia nazionale, in tal modo lasciato nelle mani della criminalità organizzata.
Le denuncia del prof, Ichino dunque non pare voler colpire la categoria dei vigili, piuttosto che i singoli da lui visti voltare la testa di fronte alle merci esposte in vendita, ma questa situazione di ambiguità sulla quale facilmente si innestano piccole (le bustarelle) e grandi (la gestione del lavoro nero al Sud) situazioni di illegalità, come emerge anche dal titolo dell’articolo, che eloquentemente recita “Lavoro e criminalità”.
[…]

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