ANCHE GIOVANNI BACHELET INVITA LA CHIESA A RINUNCIARE AL CROCEFISSO NELLE AULE

“LA CHIESA NON PONE LA PROPRIA SPERANZA NEI PRIVILEGI CHE LE OFFRE L’AUTORITA’ CIVILE. ANZI, ESSA RINUNZIERA’ ALL’ESERCIZIO DI CERTI DIRITTI LEGITTIMAMENTE ACQUISITI, OVE CONSTATASSE CHE IL LORO USO PUO’ FAR DUBITARE DELLA SINCERITA’ DELLA SUA TESTIMONIANZA O NUOVE CIRCOSTANZE ESIGESSERO ALTRE DISPOSIZIONI” (Costituzione Gaudium et spes)

Articolo di Giovanni Bachelet pubblicato su Avvenire del 29 giugno 2010 – Segue una assai discutibile nota di replica del Direttore del quotidiano – In argomento v. anche la presa di posizione del gruppo “Noi siamo Chiesa” e il mio intervento al Senato del 4 novembre 2009

Dopo che il presidente dei miei Ve­scovi ha accostato mio padre – Vit­torio Bachelet – a Sturzo e De Ga­speri, e il presidente della mia Repubblica ha ripreso e ribadito questo accostamento nel suo recente intervento sul Crocifisso, al­la commossa gratitudine si accompagna il desiderio di capire se e come, in nuove cir­costanze, quell’esempio e quell’insegna­mento ci siano ancora d’aiuto. Anzitutto, l’Europa non è una creazione del diavolo ma un disegno al quale De Gasperi e i cat­tolici di tutto il continente hanno dato, nel­la seconda metà del XX secolo, un contri­buto decisivo. Il raffreddamento di questo entusiasmo ai vertici della Chiesa è uno dei tratti del XXI secolo che mio padre non po­teva prevedere. Anche la mutata composi­zione religiosa del nostro Paese per effetto d’imponenti migrazioni, o il crollo del mu­ro a Berlino, erano, ai suoi tempi, impreve­dibili.

Sono però ancora in piedi due pilastri del­la sua vita professionale, associativa e poli­tica: la Costituzione Italiana e il Concilio Va­ticano II. Questi pilastri, insieme alle paro­le del presidente della Repubblica, potreb­bero aiutare la mia Chiesa a fare la propria parte nel depotenziare i conflitti, anzitutto condividendo, alla vigilia della decisione di Strasburgo, il rispetto per «organi giudizia­ri, in questo caso sovranazionali, sulla cui saggezza è bene confidare e le cui decisioni definitive devono essere co­munque accettate»; e magari ricono­scendo anche, sul­la base della propria straordinaria espe­rienza di accoglien­za degli immigrati, l’odierna proble­maticità religiosa, prima che civile, dell’e­sposizione obbligatoria del Crocefisso da parte dello Stato.

Conosco non pochi preti e pastori che alle nobili parole del presidente della Repub­blica e alla sua generosa riproposizione sus­sidiaria del ‘cuius regio eius religio’ ri­sponderebbero ‘grazie, ma forse è meglio di no’, citando proprio il Concilio: «Certo, le cose terrene e quelle che, nella condizio­ne umana, superano questo mondo, sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si ser­ve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall’autorità civile. Anzi, essa ri­nunzierà all’eserci­zio di certi diritti le­gittimamente ac­quisiti, ove consta­tasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre di­sposizioni ».

Forse oggi sognare una simile gara di generosità e larghezza di vedute fra Stato e Chiesa appare ingenuo e lontano dalla realtà almeno quanto qual­che scena del film ‘Miracolo a Milano’ o il famoso parere di padre Cristoforo: «Quand’è così – riprese il frate – il mio de­bole parere sarebbe che non vi fossero né sfide, né portatori, né bastonate. I com­mensali si guardarono l’un con l’altro ma­ravigliati. – Oh questa è grossa!– disse il con­te Attilio. – Mi perdoni, padre, ma è grossa. Si vede che lei non conosce il mondo». E tuttavia, senza questa nobile gara, a me pa­re altissimo il rischio di creare guerre di re­ligione e di civiltà agli antipodi del messag­gio cristiano, senza alcun vantaggio né per la fede, né per la convivenza civile.

*deputato del Pd

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Il tuo parere, caro Giovanni, è suggestivo e appassionato, ma per me non centrato. Non stiamo parlando di privilegi incom­prensibili, ma di un Segno e di sentimenti colmi di significato. Non stiamo discuten­do della legittimità di una giustizia sovra­nazionale, ma del rispetto del principio di sussidiarietà (che è un equilibrato ed es­senziale cardine di legalità nell’Europa che si va unendo). Non stiamo discutendo di un rifiuto, ma di un abbraccio: quello di Cristo in croce. Incontrare e accogliere la diversità (poca o tanta che sia) non può si­gnificare la rinuncia alla nostra storia co­sì come non significa più da tempo, per noi cattolici, pretendere la rinuncia alla storia e alla cultura altrui. È vero, ci è stato anche chiesto di saperci «perdere», ma prenden­do su di noi la croce. E offrendola. (mt)

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