LA GIORNATA DI UN ELETTORE (IN CODA)

CRONACA TRA IL POLITICO E IL PERSONALE DEL GIORNO DELLE PRIMARIE DAL PRIMO MATTINO A NOTTE FONDA

Note di colore – ma qualcuna anche politica – proposte on line ai frequentatori di questo sito nel corso della giornata del 25 novembre 2012.
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Era davvero necessaria tutta questa burocrazia? – Vado a votare alle nove e mezzo al mio seggio, nella sezione del Pd dietro la stazione di Porta Genova. Un unico “sportello” per i “pre-registrati on line“, con una coda abbastanza lunga. Nessuna coda, invece, ai quattro “sportelli” per i non registrati. La cosa si spiega molto semplicemente: anche per i “pre-registrati on line” la procedura prevede una registrazione manuale abbastanza laboriosa (circa un minuto e mezzo), anche se meno di quella ordinaria (quattro minuti). Dalla coda per la registrazione passo alla coda per votare: anche qui un’altra registrazione e un’altra firma! In coda qualcuno bofonchia: “e questi sarebbero quelli che promettono di semplificare la burocrazia statale?”. Avrei voluto dirgli: “No, guardi, qui non si tratta di insipienza: le lungaggini sono state volute”; ma mi sono trattenuto per carità di Patria.

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Non tutto il male vien per nuocere – Subito dopo vado a prendere mia madre, 91 anni, in carrozzella, per portarla al suo seggio, perché ci tiene moltissimo a votare. Ora che arriviamo al gazebo, nei giardini di piazza Giovanni XXIII, sono le undici. Fin da lontano si vedono le tre lunghe code di persone in paziente attesa. Incominciamo dalla registrazione: la lentezza è esasperante, Qualcuno gentilmente propone che alla vecchietta in carrozzella si consenta di saltare la coda; ma mia madre, fiera, rifiuta: “figurarsi, io almeno sono seduta, mentre voi state in piedi”. La gente è moderatamente seccata per queste lungaggini, ma determinatissima a non rinunciare. Qualcuno fa coraggio agli altri dicendo: “pensate ai volontari che stanno qui dodici ore al nostro servizio”. Si vede arrivare qualcuno che si spaventa per la coda, si consulta con il coniuge e decide di tornare all’ora di pranzo sperando così di ridurre l’attesa; mica di rinunciare. Eroici, questi elettori del centrosinistra! Se nonostanti tutti gli ostacoli che abbiamo imposto loro di superare l’afflusso supererà i tre milioni, questa partecipazione avrà un significato civile e politico doppio, proprio per questo sacrificio che il voto ha richiesto a tutti.

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Ma se fosse piovuto? – Qui al gazebo siamo tutti a cielo aperto da un’ora: 40 minuti per la registrazione, e ora sono già 20 minuti che siamo in coda per votare. Mi corre un brivido per la schiena pensando al rischio catastrofico che abbiamo corso: se invece di questa giornata tiepida, persino con un occhio di sole, fosse stata una giornata di pioggia, o anche soltanto una di quelle giornate di vento gelido che capitano ad autunno inoltrato, come avremmo fatto a tenere milioni di italiani in coda per tutto questo tempo senza un tetto? In quel caso anche l’eroismo di questi elettori avrebbe ceduto. E il Pd si sarebbe assunto la responsabilità di far fallire, per eccesso di burocrazia, un’iniziativa di straordinaria importanza come questa. Burocrazia – per così dire – almeno un po’ dolosa, non soltanto colposa; perché queste file esasperanti sono state volute, per impedire che venire a votare fosse “troppo facile”.

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La svolta pro-IdV di Bersani – Mentre attendiamo il faticoso turno per il voto di mia madre, uno in coda parla con un’amica al cellulare: “Mi sun chi al gasébo; nun [= noi: qui riferito presumibilmente a sostenitori dell’IdV – n.d.r.] votum per Bersani: ier l’à dit ch’el fa l’aliànsa cunt el Di Pietro a i elesiun”. Questa davvero non mi è piaciuta da parte del nostro segretario: annunciare un cambiamento di linea su di un punto così importante proprio il giorno prima del voto, in modo da tirare qualche dipietrista in più ai seggi, ma senza che di questa svolta ci sia il tempo di discutere, perché la discussione avrebbe potuto fargli perdere voti in favore di Renzi o di Tabacci. Il rischio di una nuova “gioiosa macchina da guerra” mi fa passare un altro brivido per la schiena, ma questa volta non per un rischio scampato: per un rischio che si profila all’orizzonte.

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All’una già un milione e mezzo di elettori ai seggi! – Il TG delle 13.30 dà questa notizia incredibile: la burocrazia non ha impedito l’assalto ai seggi da parte degli elettori. Qualcuno ipotizza che si possano raggiungere addirittura i quattro milioni di voti. In realtà, anche i tre milioni e mezzo costituirebbero un livello di partecipazione strepitoso, viste le difficoltà organizzative. E questo avrebbe l’effetto di svelenire il dopo-voto: perché nessuno domani potrebbe avere l’arrière pensée che il voto sia stato falsato dagli ostacoli a una partecipazine di massa. E anche Renzi non si rammaricherebbe più di essere stato conciliante con Bersani sulle regole per queste primarie. Certo che, se con queste regole siamo a tre o quattro milioni, senza barriere burocratiche forse avremmo potuto raggiungere i cinque e oltre. Davvero il Pd ha da guadagnare dal perdere tutti questi elettori potenziali?

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Gli italiani all’estero meno previdenti tagliati fuori – A casa trovo l’email di mia figlia, che è da due anni a Nottingham: ha provato a registrarsi due giorni fa, ma ha scoperto che le registrazioni per gli italiani all’estero sono chiuse dal 20 novembre. La stessa cosa accade ad altri due conoscenti che mi scrivono protestando. Capisco le necessità di controllo delle registrazioni; ma mi sembra che il termine potesse essere fissato in un giorno più vicino a quello del voto, per non tagliar fuori i meno previdenti. Sono per riconoscere il diritto al voto anche a questi ultimi.

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Giuseppe, l’infiltrato perfetto – Un amico bersaniano – che da mesi cerca di convincermi che Renzi vuole snaturare il Pd – mi scrive un email per segnalarmi il caso riportato dal sito Corriere.it, del berlusconiano siciliano che vota Renzi e per di più fa il portoghese: «”Io avevo 20 euro, loro non avevano resto. Così ho votato gratis!”. Riassumendo: Giuseppe ha sempre votato Berlusconi, non ha mai votato Pd, […] vota Renzi, e non dà alcun aiuto economico per ripagare la macchina organizzativa. E’ lui, l’infiltrato perfetto!» Gli rispondo subito: «Ne ho versati dieci: autorizzo la Coalizione a considerarne due come compensazione dei due mancanti di Giuseppe. Ma se quest’ultimo si è fatto anche solo mezz’ora di coda per votare un candidato che propone sul serio la full disclosure nelle amministrazioni pubbliche e di partito, il Codice del lavoro semplificato ispirato alla flexsecurity e la prosecuzione per tutta la prossima legislatura della strategia europea dell’Italia disegnata da Mario Monti, ben vengano gli infiltrati: è la volta che il centrosinistra vince davvero senza lasciarsi mettere nell’angolo!»

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Il bersaniano scoraggiato – Già che sono sul sito Corriere.it, segnalo anche quest’altro caso curioso, questa volta romano: «[…] Poco più in là si sentono delle urla. È il signor Giorgio, 75 anni. Litiga con il presidente di seggio. “Sono un bersaniano di ferro arrabbiato”. Perché? “Mi hanno fatto firmare, poi mi hanno fatto pagare. Ecco i due euro, gli ho detto. Ora posso votare? E invece no, devo andare a vicolo degli Amatriciani. Sapete che vi dico? Che me ne torno a casa e non voto vi dico!”». Vuoi vedere che la gimkana burocratica messa in piedi per paura degli infiltrati di destra finisce per ritorcersi contro il segretario del Pd scoraggiando più i suoi sostenitori che gli altri?

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Cinque e mezza del pomeriggio: hanno votato  due milioni e mezzo! – Allora è davvero possibile che ci si avvicini alla soglia incredibile dei quattro milioni. Incredibile se si considerano le complicazioni che hanno reso la partecipazione a questo voto tanto faticosa per tutti.

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Otto di sera: Matteo Renzi, a Firenze, è in coda da due ore per votare – E dappertutto si ha notizia di seggi che dovranno restare aperti ancora a lungo per smaltire file lunghissime di elettori.

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Dieci di sera: su un quarto del totale dei voti, Bersani al 44%, Renzi al 37%, Vendola al 15% – Appare ormai evidente che si andrà al ballottaggio; che Bersani ha bisogno dei voti di Vendola per vincere, ma non può cercarli attivamente senza rischiare che gli errori commessi fin qui risaltino in modo ancora più evidente; e che nel Pd le cose non saranno mai più come sono state in questi ultimi tre anni, dopo il congresso del 2009.

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Mezzanotte: l’autogol di Rosy Bindi a Rai3 – Tesissima, incalzata impietosamente da Paolo Mieli (“vi rendete conto che queste elezioni segnano il fallimento di un apparato sclerotico, incapace di cogliere i segni dei tempi e di produrre candidati competitivi alle primarie?”), la presidente dell’Assemblea nazionale del Pd mantiene ferma la sua linea di delegittimazione totale nei confronti di Matteo Renzi, tornando a qualificare la sua linea politica come “di destra”. Avverte, a scanso di equivoci, che “i nostri rappresentanti ce li scegliamo noi, nell’Assemblea” che lei stessa presiede (come dire: non li facciamo mica scegliere agli elettori). Ma, quel che è peggio, alla fine cede alla tentazione di scaricare la colpa del successo di Renzi sulle radici comuniste cui il Pd è ancora troppo ancorato: “Certo, non porto io la responsabilità di quelle radici!”. E così sembra dire: il successo di Renzi è tutta colpa di chi da quelle radici, da quella tradizione, non ha saputo prendere abbastanza le distanze. C’è chi lo legge come un assist involontario al sindaco di Firenze, chi addirittura come un autogol proprio all’inizio dei tempi supplementari. Ma Rosy Bindi d0v’era mentre il Pd ometteva di emanciparsi da quelle radici comuniste?

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