DECRETO STABILIZZAZIONI: PERCHÉ RISCHIA DI ESSERE UNA BEFFA PER I PRECARI

I DANNI DELL’ASSISTENZIALISMO, CHE CI INDUCE A PROMETTERE STABILIZZAZIONI INDISCRIMINATE (E IN LARGA PARTE IMPOSSIBILI) NEL SETTORE PUBBLICO, MENTRE NELLE AZIENDE DECINE DI MIGLIAIA DI POSIZIONI RESTANO SCOPERTE PER MANCANZA DI PERSONE DOTATE DELLA FORMAZIONE NECESSARIA

Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 264, 23 settembre 2013

I contratti a termine nelle amministrazioni pubbliche (scuola esclusa, che fa parte a sé) sono tra i 120 e i 130.000, cui si aggiungono alcune decine di migliaia di “idonei” in concorsi pubblici svolti negli anni passati, i quali su questo basano la propria aspirazione a essere immessi in ruolo. Assai pochi di tutti questi interessati al decreto-legge n. 101/2013 – si valuta intorno ai 12.000 – vedranno la propria aspirazione soddisfatta in forza di quel provvedimento, perché mancano le risorse. A tutti gli altri il decreto, in vario modo, sostanzialmente promette un’assunzione stabile in un futuro non prossimo. Il messaggio che esso lancia è: “oggi non possiamo; però riconosciamo il vostro diritto; pertanto autorizziamo il rinnovo dei vostri contratti a termine, proroghiamo la validità delle graduatorie nelle quali figurate come ‘idonei’, e fra qualche anno speriamo di poter stabilizzare anche voi”. Come dire: “sappiamo che le amministrazioni pubbliche a cui aspirate costituiscono le sole strutture che possano darvi una qualche speranza di lavoro; aspettate con pazienza e vedrete che prima o poi verrà anche il vostro turno di accedervi”.

Senonché in quest’ultimo periodo, mentre le amministrazioni pubbliche non hanno assunto quasi nessuno, nelle aziende italiane sono stati stipulati ogni anno 10 milioni di contratti di lavoro regolari, dei quali il 17 per cento a tempo indeterminato; e sono abbastanza ben distribuiti sul territorio nazionale in proporzione ai residenti: all’incirca il 40 per cento al nord, il 25 al centro e il 35 al sud e nelle isole (dati tratti dalle comunicazioni obbligatorie alle Direzioni provinciali per l’impiego). Inoltre in ogni regione, e in proporzione più al sud che al nord, c’è qualche decina di migliaia di skill shortages, cioè di posti per mansioni di ogni genere e livello, che rimangono permanentemente scoperti per mancanza di manodopera dotata della qualificazione necessaria. Se è così, non facciamo forse un danno alle persone che incoraggiamo a restare ancora per anni in attesa di un posto fisso nel settore pubblico, destinato per la maggior parte di esse a non arrivare mai? Stabilizziamo coloro di cui le amministrazioni hanno davvero bisogno (dopo aver verificato che non sia possibile coprire le carenze di organico spostando gli impiegati dagli uffici in situazione di overstaffing, ciò che non è mai stato fatto); ma tutti gli altri, ai quali il decreto vorrebbe prorogare il contratto a termine o la validità della vecchia graduatoria per motivi puramente assistenziali, non incoraggiamoli a cacciarsi in un vicolo cieco. Invece di lasciare che la loro professionalità si deteriori in altri anni di attesa, perché non offriamo loro un contratto di ricollocazione che preveda sostegno del reddito e assistenza intensiva svolta da un’impresa specializzata, capace di riqualificarli e avviarli a uno dei 1.700.000 contratti a tempo indeterminato che ogni anno, anche in questo periodo di crisi nera, si stipulano nelle nostre aziende? Non faremmo loro, in questo modo, un servizio infinitamente migliore?

 

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