COME METTERE IN COMUNICAZIONE UNA GRANDE DOMANDA CON UNA GRANDE OFFERTA DI LAVORO

MANTENENDO UN DIRITTO DEL LAVORO OBSOLETO, L’ITALIA NON AFFRONTA COME DOVREBBE IL PROBLEMA DELLA RIDUZIONE DELLA DISOCCUPAZIONE E DEL DEFICIT PUBBLICO

Intervista a cura di Micaela Sposito pubblicato su l’Adige il 13 dicembre 2010

Nel Paese dove dai gazebo si levano alti i cori del «meno male che Silvio c’è!», mentre dalla piazza si urla il richiamo ad una «politica del fare», va consumandosi una recessione i cui effetti hanno ancora da rendersi evidenti. E con un grande paradosso: la crisi economica globale, in Europa come negli Stati Uniti, ha infierito soprattutto sulle giovani generazioni. Il rapporto «Employment outlook 2010» presentato lo scorso luglio dall’Ocse (l’Osservatorio per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) lo ha detto a chiare lettere: nel primo trimestre il tasso di disoccupazione nei Paesi aderenti è cresciuto dell’8,9%, la percentuale più alta dal 1945, e con una crescita esponenziale dal 2007 che rende allarmistica la previsione per il 2011. Ed è ancora l’Ocse a monitorare che il fenomeno riguarda con ampia sproporzione maggiormente i lavoratori a termine e quelli con competenze basse, i «giovani» e «precari». Nel 2009 l’Italia ha perso 261.000 posti di lavoro temporanei o con contratti atipici, inclusi i collaboratori coordinati e continuativi e quelli occasionali: il tasso di disoccupazione della fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni è arrivato al 26,3%.
Tenere alta la guardia e proporre continue occasioni per la divulgazione, la riflessione e il dibattito possono diventare strumenti per affrontare i tempi che verranno. Per questa ragione la Cassa Rurale di Aldeno e Cadine, nella ricorrenza dei 120 anni di vita della Cooperazione trentina, ha promosso un focus su «L’economia oltre la crisi: il valore aggiunto della reciprocità»; e per l’appuntamento di chiusura (questa sera a Trento presso per la Sala Falconetto di Palazzo Geremia, dalle ore 20.45), il tema sarà proprio «La crisi pagata dai giovani e le vie per uscirne», ospite Pietro Ichino, che sul Diritto del lavoro ha costruito una e più carriere. E’ordinario alla Statale di Milano, sindacalista della Fiom-Cigl sino al 1972, in Parlamento dal 1979 (sino al 1983 tra gli indipendenti di sinistra nelle fila dell’ex-PCI, dal 2008 tra i senatori del PD, che ha contribuito a fondare), editorialista per il Corriere della Sera. E non solo carriere: vive sotto scorta per le minacce delle Brigate Rosse, perché – docet l’assassinio di Massimo D’Antona e Marco Biagi – come lui stesso commenta, « in Italia chi tocca lo statuto dei lavoratori muore».

Partiamo dal principio. Quando si parla di «giovani» rispetto al «sistema-lavoro» che cosa intendiamo? Non è riduttivo fare riferimento a una fascia di età che si ferma ai venticinquenni?
Nella realtà non esiste una soglia di età al di sotto della quale si è “giovani” e al di sopra della quale si è “adulti”. Ogni soglia adottata a fini statistici serve a far luce su di una parte soltanto della realtà. Certo è che in Italia la fase di primo accesso al tessuto produttivo, nella vita delle persone, oggi è nettamente più lunga rispetto agli altri maggiori Paesi industrializzati.

Poi c’è anche chi, a quarant’anni e oltre, dopo uno ed anche due decenni di precariato, se non di lavoro nero, si trova a dover fare i conti con la difficoltà di entrare o rientrare in questo mercato.
È così. A ben vedere, i difetti più gravi del nostro sistema non colpiscono soltanto i ventenni o trentenni: colpiscono tutta la parte più debole della forza-lavoro, in tutte le fasce di età.

Flessibilità o stabilità, dobbiamo fare salvo il diritto di accedere al mondo del lavoro; lo stabiliscono gli articoli 1 e 4 della nostra Costituzione.
Quello che manca, in Italia, non è la domanda di lavoro: in ogni regione ci sono decine di migliaia di posti di lavoro qualificato che restano scoperti per mancanza di un’offerta di lavoro adeguata. Qui occorrerebbero servizi efficienti di orientamento scolastico e professionale, oltre che di formazione e riqualificazione mirata agli sbocchi effettivi, che ci sono in Trentino, ma altrove mancano quasi del tutto. Poi c’è un’immensa domanda di lavoro inespressa, latente.

A quale domanda si riferisce?
Domanda potenziale di servizi alla famiglia, agli anziani, alle persone non autosufficienti, alle comunità locali. Il problema è che il nostro ordinamento si frappone tra questa necessità diffusa e l’offerta diffusa di lavoro, impedendo l’incontro.

Il suo progetto di legge sulla «flexsecurity» sul nuovo regime di protezione del lavoro attribuisce un nuovo significato alla parola «lavoro», la ripensa in tutte le declinazioni possibili, anche in quelle anomalie che il sistema contemporaneo finisce per rendere strutturali. Proviamo a far capire i vantaggi della proposta, soprattutto per i lavoratori «giovani» e /o «atipici».
La precarietà di quello che lei chiama “lavoro atipico” non è che l’altra faccia della inamovibilità del lavoro stabile “regolare”. Ora, senza toccare l’assetto dei rapporti di lavoro stabili già esistenti, l’idea è di superare drasticamente questo regime di aparheid per il futuro. Quindi, per i nuovi rapporti di lavoro, si disegna un nuovo diritto adatto ai tempi, capace di applicarsi davvero a tutti. Per i dettagli devo rinviare al mio sito: www.pietroichino.it.

Quali sono i contenuti essenziali di questo nuovo diritto del lavoro?
I nuovi assunti in posizione di sostanziale dipendenza dall’azienda, tutti a tempo indeterminato e tutti protetti contro le discriminazioni, ma nessuno inamovibile. Le aziende saranno libere di licenziare per motivi economici od organizzativi, purché si accollino un buon trattamento complementare di disoccupazione per i lavoratori licenziati, collegato a un buon servizio di outplacement scelto e governato dalle aziende stesse.

Dall’altra parte i detrattori del progetto: sostengono che la sua proposta sia un «tentativo surrettizio di mantenere alta la domanda chiedendo allo Stato di farsene carico».
Chi muove questa critica non conosce il progetto: i miei due disegni di legge sulla flexsecurity (n. 1481 e 1873 del 2009 – n.d.r.) non prevedono un solo euro di spesa pubblica aggiuntiva.

Nel contesto recessivo attuale è possibile dare priorità ad un’azione politica che garantisca un reddito di sussistenza alle fasce più deboli della forza-lavoro e, in particolar modo, a quelle espulse dal processo produttivo?
Se il mio disegno di legge entrasse in vigore, avremmo un mercato del lavoro più fluido, nel quale le aziende assumerebbero molto più volentieri fin dall’inizio a tempo indeterminato. E una ragionevole garanzia di continuità del reddito per il lavoratore nel passaggio da un lavoro a un altro sarebbe la contropartita accettabilissima, a carico delle aziende, per la maggiore libertà di licenziare.

Il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, ha dichiarato che la priorità per i governi è «ridurre la disoccupazione e il deficit pubblico allo stesso tempo». Come si è attrezzata l’Italia per rispondere a questa sfida?
Non si è attrezzata affatto. In questi ultimi anni non è cambiato nulla né nel nostro diritto del lavoro né negli strumenti di governo del mercato del lavoro.

Guardando invece all’autonomia del Trentino, ritiene che abbia espresso delle misure esemplari?
Il Trentino è, ormai da un quarto di secolo, all’avanguardia in Italia per i servizi nel mercato del lavoro. Ora gli accordi ultimamente stipulati con il Governo nazionale gli consentirebbero di sperimentare proprio quel modello di flexsecurity di cui abbiamo parlato prima.

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