MA CHI TE LO FA FARE DI DAR RETTA A TUTTI QUESTI PETULANTI?

DUE LETTORI MANIFESTANO SOLIDARIETA’ E CONSENSO ALLE MIE PROPOSTE E UNO MI CHIEDE PERCHE’ IO PERDA TEMPO A RISPONDERE AI MIEI DETRATTORI

Messaggi pervenutI il 9 e il 10 maggio 2011, a seguito dello scambio con Leonardo Caponi, ex-senatore di Rifondazione comunistaSegue una mia risposta

RISPONDERE A TUTTI E’ DOVERE DEL PARLAMENTARE
Caro Ichino, ho un’ammirazione sconfinata per la sua capacità di non lasciarsi offendere dalle ingiurie e contumelie che le vengono rivolte da questi interlocutori incivili. E per la sua pazienza nel rispondere anche a questa gente, oltre che a tutte le infinite interviste, anche ai giornalini parrocchiali. Ma dove lo trova il tempo per dar retta a tutti questi petulanti? E non sarebbe meglio dedicarlo a qualche cosa di più utile per il Paese?
Franco Restivo

Non si preoccupi per gli insulti e contumelie che mi arrivano da varie parti: sono cresciuto alla scuola di S. Giovanni Crisostomo, secondo il quale “nessuno può essere offeso se non da se stesso”. D’altra parte, anche nelle manifestazioni di dissenso più aggressive o scomposte c’è sempre almeno un seme di verità, un pezzo di umanità di cui non si può non tenere conto, con cui occorre mantenere i contatti. Quanto alle mie interviste, è vero, sono tantissime, forse troppe: tra l’archivio e il sito ce ne sono      on line  più di 350 pubblicate da giornali e riviste dall’inizio della legislatura, cui se ne aggiungono altre centinaia di quelle radiofoniche e televisive. D’altra parte, anche se volessi, mi sembra che non avrei il diritto di rifiutarle; così come mi sembra di non potermi sottrarre al dovere di rispondere a tutti coloro che mi scrivono. Lo ho sempre fatto anche con chi mi ha scritto contumelie; e qualche volta ne è nato un dialogo sorprendente, di straordinaria intensità. Quest’ultimo è un lavoro molto impegnativo, che mi occupa mediamente da una a due ore ogni giorno, feste comprese; lo considero parte integrante del mestiere e del dovere del parlamentare. Mi pagano per rappresentare i cittadini in Parlamento; e per rappresentarli devo sempre ascoltarli e rispondere loro quando mi chiedono conto di quel che faccio e quel che penso, o quando mi contestano. Anche quando lo fanno in modo un po’ brusco: la politica è fatta anche di passione. E di qualche conseguente spigolosità.   (p.i.)

“MI RICORDO ALCUNI SGUARDI E COMMENTI QUANDO PARLAI DI FLEXSECURITY”
Volevo esprimerle la più sentita solidarietà a fronte degli immeritati inviti ad andarsene dal PD e dalla CGIL.  Ammetto di essere un suo sincero estimatore e non nego che le sue proposte siano alcuni tra i più importanti motivi che mi spingono a continuare a credere nel progetto del PD. Me lo ero immaginato – quando aderii con entusiasmo nel 2007, allora appena ventunenne – come un grande e aperto partito riformista, innovatore, un luogo di scambio e di dibattito costruttivo. Lo vedo oggi come un partito chiuso, a tratti marcato da uno scuro conservatorismo, timoroso del domani, pauroso di dire ed agire, trascinato nell’oblio dalle paure dei pochi protetti, che non può che passare nell’indifferenza dei molti, la cui domanda di diritti resta inascoltata da quello che dovrebbe essere il loro principale interlocutore. Sarebbe più opportuno dire “i loro interlocutori”, considerando anche la CGIL, troppo spesso chiusa nel difendere i diritti degli affiliati rispetto invece di offrite protezione ai più.
Mi ricordo alcuni sguardi e commenti che ricevetti quando in una assemblea comunale del nostro partito pronunciai la parola flexsecurity: eliminare il dualismo nel mercato del lavoro ridistribuendo i diritti tra chi ne ha troppi e chi nessuno, una delle proposte di maggiore portata ugualitaria del centrosinistra moderno, troppo spesso attaccata e contestata (soprattutto nel partito e nel sindacato), al fine di proteggere le paranoie dei pochi a fronte delle sotto-uguaglianze dei molti. Non si esce dall’angolo dell’ opposzione se continuiamo a essere ciò che siamo adesso. Non si riconquista la legittimazione da parte dei lavoratori se non si torna, come sindacato, a proteggere il lavoro e non i protetti.
Vorrei infine rispondere ai deprecabili messaggi che le sono giunti ricordando che non si caccia chi la pensa diversamente da noi; lo si ascolta, si tenta di capire, si discute, si media, come dovrebbe essere in un partito democratico o in un sindacato.
S.B.

 

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