LA DISCIPLINA DI PARTITO OBBLIGA I PARLAMENTARI ANCHE NEI REFERENDUM?

IL SENATORE DEMOCRATICO E COSTITUZIONALISTA CONTESTA CHE IL VINCOLO POLITICO-ORGANIZZATIVO SI ESTENDA AL VOTO REFERENDARIO

Lettera di Stefano Ceccanti, professore di diritto costituzionale presso la Sapienza Università di Roma e senatore del Pd, 7 giugno 2011, in riferimento al mio editoriale del giorno precedente, Referendum: le mie scelte su acqua, nucleare e legittimo impedimento

Caro Pietro,
ho letto e condiviso gran parte di quello che hai scritto nel tuo editoriale di lunedì scorso sui quattro quesiti referendari. Non condivido, però, la tua affermazione secondo la quale la disciplina di partito ci vincolerebbe a seguire le indicazioni del partito stesso circa il voto nel referendum. In proposito ti propongo le considerazioni che seguono.

1. il dovere di lealtà verso il nostro partito da un punto di vista strettamente guridico, secondo lo Statuto, comprende solo questi doveri di cui all’articolo 2 dello Statuto

“6. Tutti gli elettori e le elettrici del Partito Democratico hanno il dovere di:
a) favorire l’ampliamento dei consensi verso il partito negli ambienti sociali in cui sono inseriti;
b) sostenere lealmente i suoi candidati alle cariche istituzionali ai vari livelli;
c) aderire ai gruppi del Partito Democratico nelle assemblee elettive di cui facciano parte;

essere coerenti con la dichiarazione sottoscritta al momento della registrazione nell’Albo [per la partecipazione alle elezioni primarie – n.d.r.].

7. Gli iscritti e le iscritte al Partito Democratico hanno inoltre il dovere di:
a) partecipare attivamente alla vita democratica del partito;
b) contribuire al finanziamento del partito versando con regolarita la quota annuale di iscrizione;
c) favorire l’ampliamento delle adesioni al partito e della partecipazione ai momenti aperti a tutti gli elettori; rispettare lo Statuto, le cui violazioni possono dare luogo alle sanzioni previste.”

2. Ad essi si aggiungono quelli specifici derivanti dal Regolamento del nostro Gruppo dl Senato, che ci vincola in generale, con alcune limitate eccezioni, all’unità di voto (art. 2) e quelli derivanti dal Codice Etico, che però in questo caso non mi sembra rilevino.

3. Come si vede non è rintracciabile alcunché in relazione ai referendum.

Indubbiamente da tali normative si possono anche ricavare dei doveri impliciti sui referendum, che sintetizzerei così:
A- spiegare correttamente oltre alla propria anche la posizione ufficiale del Pd;
B- motivare in forma ragionata il proprio eventuale dissenso senza presentarlo rispetto alla posizione ufficiale del Pd come la verità rispetto all’errore;
C- chiarire perché tale dissenso sta comunque dentro ai princìpi ispiratori che guidano la propria scelta di adesione al Pd.
Considerato quanto sopra, mi sento pienamente libero di seguire soltanto in parte le indicazioni del Pd nel voto di domenica prossima (voterò due “sì”, ma “no” sul quesito relativo al nucleare e sul secondo quesito relativo ai servizi idrici: scheda gialla).
Stefano Ceccanti
senatore Pd

Sul dato statutario testuale ben può costruirsi anche la tesi più estensiva circa il contenuto della disciplina di partito nelle consultazioni referendarie. Mi inchino, però, al parere del collega Stefano Ceccanti, assai più competente di me. Giro comunque il quesito alla segreteria nazionale del Partito democratico, per conoscerne l’orientamento in proposito. (p.i.)

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