SEDUTA DI AUTOCOSCIENZA AL SENATO SUI COSTI DELLA POLITICA

ALCUNE VOCI NEL DIBATTITO IN AULA IN TEMA DI BILANCIO INTERNO E PIÙ IN GENERALE IN TEMA DI PRIVILEGI VERI DELLA “CASTA E DI LEGGENDE METROPOLITANE IN PROPOSITO

Oltre al mio, gli nterventi dei senatori Paolo Giaretta (Pd), Giuseppe Astore (Gruppo misto), Lucio Malan (PdL), che si segnala – oltre che per l’aggressività nei confronti dell’opposizione – soprattutto per la comparazione internazionale ivi proposta sul trattamento dei parlamentari, Maria Leddi (Pd)Enrico Morando (Pd), estratti dal resoconto stenografico della seduta pomeridiana del Senato del 1° agosto 2011 – In argomento v. anche il mio intervento del 22 giugno e gli Appunti per l’Assemblea del Gruppo Pd del 1° agosto 2011

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Giaretta, il quale nel corso del suo intervento illustrerà anche gli ordini del giorno G6 e G7. Ne ha facoltà.

GIARETTA (PD). Signor Presidente, per usare parole semplici, ritengo che il bilancio sia del tutto inadeguato alle aspettative dell’opinione pubblica e alle necessità inerenti allo stato della finanza pubblica.
Così com’è, non può essere da me accettato, ravvisando in esso per mancanza di coraggio, e mi auguro perciò che con l’approvazione di qualche ordine del giorno sia possibile dare un indirizzo correttivo all’impostazione del bilancio preventivo di quest’anno e, soprattutto, ai bilanci futuri.
È l’entità della riduzione che non può essere accettata: 0,34 per cento. Vede, senatore Franco, agli italiani e ai nostri sindaci è stato tagliato ben altro che lo 0,34 per cento. Per i Comuni, in particolare, non si parla di decimali, ma di tagli a due cifre. E allora, come possiamo imporre agli altri ciò che non siamo capaci di applicare a noi stessi?
Quest’anno il bilancio non è un mero aspetto tecnico, non rientra semplicemente tra gli interna corporis; è infatti una questione squisitamente politica la capacità delle istituzioni di restare in contatto con il proprio popolo.
Il segretario del mio partito ha parlato di una «Maastricht della politica» – che credo sia un’espressione giusta – ed ha richiamato il concetto di sobrietà, che dobbiamo recuperare.
Penso che sia stato un grave errore non aver inserito nella manovra, come noi avevamo proposto, delle misure più rigorose sui costi della politica, per una questione di equità, ma anche di autorevolezza, per affrontare le tante altre sacche di privilegio che ci sono nella società italiana. Ricordo per memoria, ad esempio, che il sistema camerale italiano prevede la partecipazione in oltre 1.800 società, ognuna con il suo consiglio di amministrazione; e ricordo – sempre per memoria – che recentemente due soli banchieri hanno ricevuto tra buonuscite, liquidazioni e altro, la cifra di 60 milioni di euro, cioè più del costo dell’intero Senato.
Sappiamo che dietro la questione dei costi si nasconde una questione molto più ampia: una politica che viene avvertita come lenta e lontana e una rappresentanza indebolita dall’ignobile legge elettorale che avete imposto al Paese. Penso che con il bilancio si possa cogliere l’occasione di ridare reputazione alla funzione parlamentare e maggiore efficienza alla macchina del Senato.
Mi consentirà, signor Presidente, di rivolgere a lei una critica, che naturalmente potrà spartire con il presidente Fini. In questi mesi sono apparsi molti servizi giornalistici sul tema del trattamento economico dei parlamentari, talvolta con notizie vere, in altri casi con notizie imprecise o palesemente false. Ad esempio, nelle settimane scorse si è detto che noi godiamo di un trattamento sanitario talmente favorevole da costare alla comunità oltre 10 milioni di euro. Noi sappiamo che questa notizia è palesemente falsa, perché il sostegno sanitario è completamente alimentato dai versamenti obbligatori dei parlamentari. Da parte vostra c’è stato solo silenzio: mai un intervento di correzione a difesa della onorabilità dei parlamentari, non ricordando neppure le cose fatte, che ha ricordato da ultimo il senatore Franco.
Si tratta di ricostruire un rapporto con l’opinione pubblica, mantenendo ciò che va mantenuto. Va benissimo l’equiparazione a livello europeo, ma bisogna difendere nell’opinione pubblica con argomentazioni e non con silenzi corrucciati. Occorre cambiare ciò che va cambiato. Diaria e contributo di supporto devono essere legati alle presenze reali in Aula e in Commissione e alle spese effettivamente sostenute. (Applausi della senatrice Biondelli).A questo proposito, ho presentato l’ordine del giorno G6.
Signor Presidente, a volte ammiro la sua eroica determinazione nel consentire che in ogni settimana ci sia la seduta dell’Aula, ma fino a che punto è condivisibile che in Aula ci si occupi talvolta di mozioni che – come dire? – lasciano il tempo che trovano e che le Commissioni, dove potremmo approfondire gli argomenti, lavorino nei ritagli di tempo? Se le Commissioni non lavorano, neppure l’Aula ha un’alimentazione.
C’è poi la questione dei trasporti, legata alla condizione di libertà per il parlamentare, che non è in rappresentanza di un collegio, ma della Nazione. Però, anche in questo caso – forse – c’è da fare qualcosa. Nei giorni scorsi ho visto e ho apprezzato, signor Presidente, la sua decisione di rinunciare all’aereo di Stato. È una cosa importante, ma vorrei conoscere quanto uso si fa degli aerei di Stato da parte di parlamentari. Io sono qui dal 1996 e non so come sia fatto un aereo di Stato. Spero di non essere l’unico.
Dobbiamo cambiare il vitalizio. Così com’è, esso è espressione di un altro tipo di società. Certo, giuridicamente non è una pensione, ha un’altra natura, ma deve avere un meccanismo uguale a quello previsto per tutti gli altri cittadini italiani.
Bisogna poi eliminare delle cose. Il bilancio di quest’anno registra ancora 2,3 milioni di euro per servizi di ristorazione per senatori e dipendenti. Non è possibile, signor Presidente. Abbiamo semplicemente bisogno di un luogo – una mensa, possibilmente un self-service – in cui sia possibile consumare un pasto rapido; e non deve essere a carico dei cittadini, ma interamente a carico dei senatori e dei dipendenti del Senato, che in larga parte se lo possono permettere.
Il secondo punto attiene al recupero di efficienza. Signor Presidente, la seconda istituzione dello Stato – chiamiamo così il nostro Senato – approva il bilancio preventivo ai primi di agosto, quando sette dodicesimi dell’esercizio sono trascorsi. (Applausi del senatore Perduca). Possiamo essere di esempio? Di esempio a tutte le Istituzioni italiane? Non siamo di esempio. Non c’è nessun motivo per cui ciò avvenga.
È difficile ridurre? Penso di no. I colleghi che mi seguiranno credo faranno molte proposte. Io mi soffermo su tre punti.
In primo luogo, la spesa per il personale addetto alle segreterie particolari cresce da 13,5 a 14,9 milioni, ossia 1,4 milioni in più: non è accettabile! Questa cifra significa più del 10 per cento delle spese del personale del Senato; vuol dire che oltre il 10 per cento delle persone che qui lavorano, sia pure transitoriamente, vi lavorano senza concorso e per scelta discrezionale.
Dove va a finire la terzietà della pubblica amministrazione, che è un grande valore del Senato e della Camera? C’è ovviamente una mancata trasparenza e anche – consentitemi – l’alimentazione della precarietà di un ceto che resta legato alle contingenze della politica, e quando cambiano i senatori Questori, quando cambiano i Presidenti, c’è il problema della ricollocazione. Quindi, si alimenta un ceto politico, c’è una maggiore richiesta di logistica, di attrezzature, e si realizza anche una inaccettabile disparità tra di noi: un numero ristretto di senatori gode di servizi profondamente diversi da quelli di tutti gli altri senatori.
Dal bilancio di quest’anno risulta che i risparmi dati dalle riduzioni delle nostre competenze vanno interamente ad alimentare l’aumento della disponibilità di risorse da parte delle segreterie particolari. Questo certamente non va bene. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Astore e Molinari).
C’è il capitolo del contributo dei Gruppi: benissimo, è una condizione di libertà, però insindacabilità non può vuol dire opacità. I soldi pubblici restano tali anche quando entrano nelle casse dei Gruppi. Per questo ho presentato un ordine del giorno che prevede la presentazione di un bilancio tipo e una rendicontazione.
Ci sono tante altre voci: comunicazione istituzionale, cerimoniale, rappresentanza. Si può fare molto di più. I Comuni non hanno più spese di comunicazione e di rappresentanza. Per quale motivo noi dobbiamo conservarne un livello così elevato? Si può fare molto di più. Si parla di antipolitica, ma guardate che l’antipolitica talvolta è nostalgia per la buona politica.
Concludo con un messaggio. Don Primo Mazzolari, nel 1948, scrisse una lettera ai parlamentari neoeletti dicendo: «Non potete fare molto perché non vi fu data, con il suffragio, l’onnipotenza. Sarà bene però che tutti vedano che tutto ciò che si poteva fare l’avete fatto con estrema buona volontà; dovete dar vita a un nuovo costume politico». È un messaggio di grande attualità: dobbiamo dar vita a un nuovo costume politico. Questo bilancio è troppo timido rispetto a tale impegno. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Belisario e Molinari. Congratulazioni).

[…]

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Astore, il quale nel corso del suo intervento illustrerà anche gli ordini del giorno G43 e G44. Ne ha facoltà.

ASTORE (Misto-ParDem). Signora Presidente, colleghi, a me dispiace che il Presidente sia andato via, ma annunciare che non si voterà questa sera mi sembra quasi abbattere l’interesse intorno a questo dibattito, credo volutamente. Mi dispiace dirlo, ma è così.
Penso che siamo oggi in un momento in cui il sano trasversalismo tra le forze politiche deve avere la meglio su una lottizzazione stupida e ridicola che da qualche anno si porta avanti nella gestione del bilancio del Senato. E anch’io, che da tempo non prendo la parola, da semplice senatore voglio dare il mio contributo. Sapete per quale motivo, signori senatori Questori? Perché mi sento braccato, mi sento trattato da accattone: ma io non mi sento tale, non mi sento un parassita, mi sento un parlamentare che ha inteso lavorare, ha inteso partecipare al dibattito, e credo che questi parlamentari, che sono quasi tutti, andavano difesi dalla nostra dirigenza.
In questi giorni – qualcuno l’ha già sottolineato – riviste intere, con articoli per 40-50 pagine, sono state dedicate alcune a verità e altre a fesserie, e nessuno ci ha difeso, con una conferenza stampa, con una trasparenza, con un ufficio apposito, dicendo, senza paura, come si doveva, qual è la verità e qual è la bugia, perché nessuno si vergogna di prendere 12.000 euro al mese, nessuno si vergogna di determinate cose, ma ci vergogniamo certamente di determinati benefit, che possono essere assolutamente cancellati. Ecco perché oggi bisogna fare l’operazione di verità: tutti i senatori devono intervenire per fare chiarezza.
Il primo problema, signori Questori, riguarda la trasparenza. Ma la pubblicità degli atti, in questa istituzione, esiste o non esiste? Per avere una delibera di un Segretario o del Consiglio di Presidenza dichiaro che ci sono enormi difficoltà per un senatore. Chiedo, quindi, innanzitutto di pubblicare le delibere, notificarle ai Gruppi, in modo che ogni senatore tramite gli stessi possa prendere atto di determinate cose.

BELISARIO (IdV). Bravo!

VOCE DAL GRUPPO PdL. Bravo!

ASTORE (Misto-ParDem). Io non ho potuto prendere atto dei nomi dei collaboratori, per esempio, dei nostri Vice Presidenti e dei nostri Segretari. Credo che tenerli nascosti sia una cosa che non va. Ecco perché, senza demagogia (qualcuno potrebbe farvi ricorso) e senza fariseismo (perché non è questo il momento) bisogna andare avanti per portare un contributo alla nostra istituzione, che deve recuperare capacità e credibilità presso la nostra gente.
Al di là del tecnicismo, signori Questori del bilancio, sono vere le cose dette dal relatore, ma non noto nessun respiro programmatorio; cioè non noto in questo bilancio nessun afflato in rapporto ai tempi a cambiare, nessuna programmazione a lungo raggio in cui si dica che faremo una cosa o l’altra, che cambieremo una cosa o l’altra. Le cifre sono esatte e – mi dispiace dirlo – alcuni risparmi sono dovuti alla manovra finanziaria e non sono un merito di questa Amministrazione. Dato che oggi viviamo una crisi tremenda, non lo dobbiamo fare perché dobbiamo adeguarci ai sacrifici di tanta gente, ma perché va fatto un risparmio e va fatta dimagrire questa istituzione, che ha circa mille dipendenti e ci deve fare assolutamente riflettere il confronto con tutte le istituzioni europee.
È inutile illuderci: tra la gente, e spesso anche tra le famiglie, c’è indignazione. Ecco perché dobbiamo fare opera di trasparenza. Vi è indignazione perché le manovre che avete approvato in questi giorni vanno a danno soprattutto dei meno abbienti, di chi ha un reddito inferiore.
L’ha già detto il collega Gasparri, e l’onorevole Veltroni, qualche giorno fa, aveva annunciato cose grandi per ciò che riguarda il costo della politica. Vogliamo collaborare per farlo seriamente, questo intervento sul costo, al di là del tecnicismo dell’abbattimento del costo nel bilancio che ci presentate. Bisogna tagliare assolutamente le spese, con una programmazione a lungo termine. Oggi andava detto e andava data sicurezza agli italiani dicendo che nel giro di tre, quattro o cinque anni arriveremo a un certo livello di spesa per l’istituzione Senato.
Dispiace, ma dobbiamo dire anche una grande verità: siamo arrivati a questo punto per colpa di tutte le forze politiche.

VOCE DAL GRUPPO PdL. Bravo!

ASTORE (Misto-ParDem). Attraverso gli anni tutte le forze politiche ci hanno messo qualche mattone. Oggi tutti insieme dobbiamo cercare di invertire la rotta, e non con l’acquiescenza a determinati benefici che si hanno.
Per esempio, avete mai pensato che era opportuno che oggi si annunciasse che vanno modificati i Regolamenti? Non si parla di trattamenti economici e di dimezzamento dei trattamenti economici, per esempio, dei Segretari, dei Vice Presidenti. Credo si tratti di cose che andavano trattate, perché non posso favorire la casta nella casta.
Si sta creando questo: noi, come senatori, siamo tutti uguali: ognuno ha un ruolo diverso dall’altro, ma non si possono favorire privilegi. Ecco perché bisogna fare delle riforme regolamentari. Vi sembra giusto che questo Senato abbia quattro Vice Presidenti e 12 senatori Segretari? Per quieto vivere e perché non voglio polemiche non ritorno sul discorso dei senatori Segretari, ma 12 senatori Segretari d’Assemblea credo sia una cosa che va oltre! Andava detto, andava attivata tutta la procedura regolamentare per poterli ridurre.
E non parliamo poi della formazione dei Gruppi. Amici, qua dobbiamo fare con serenità un esame di coscienza. Da quattro Gruppi usciti dalle elezioni siamo arrivati a otto. Vi sembra giusto? Va regolamentato; va proibita la formazione successiva di Gruppi. Non è mancanza di libertà quella di vietare che si possa dire:«Ci mettiamo noi dieci senatori e facciamo un Gruppo». Siamo in un sistema elettorale maggioritario, in un sistema bipolare, e credo che, ad eccazione del Gruppo Misto, avrebbero dovuto rimanere solo i Gruppi corrispondenti ai partiti usciti dalle elezioni.
Credo che queste siano delle idee che andavano illustrate stasera. Si sarebbe dovuto formare un comitato per procedere.
Per quanto riguarda poi il personale, sarebbe necessario anche rivedere alcuni stipendi troppo alti, perché no? Rivedere la pianta organica, da attivare nel giro di cinque, sei anni: siamo arrivati a 1.000 dipendenti (voglio sottolinearlo: 1000), solo in Senato!
Ci sarebbe da pensare ad una nuova organizzazione del lavoro, e sistemiamo una volta per tutte – abbiamo prodotto documenti, ne abbiamo parlato tanto – i famosi deliberati del 1993, certamente nell’intento di non danneggiare il dipendente e, al tempo stesso, di non favorire nessuna piccola casta che utilizza e mortifica anche il personale. Il personale a suo tempo deliberato nel 1993 deve lavorare, e deve farlo con dignità: non può essere al servizio di gruppi e gruppetti di potere.
Anche in merito ai collaboratori dei senatori, signora Presidente, è bene dire una cosa chiara. Una vergogna: abbiamo ricevuto delle lettere da parte dell’Ufficio del lavoro, noi, nel cuore dello Stato italiano, nel Senato della Repubblica (stranamente non tutti i senatori le hanno ricevute: alcuni sì e altri, chissà perché, no). Ma non c’è un’autorità interna, un ufficio interno, in grado di intervenire e chiedere ai senatori una regolarizzazione, come l’ha chiesta altre volte? Credo che questa vicenda meriti veramente un’indagine seria. Ognuno di noi ha risposto correttamente a un’autorità dello Stato e ha inviato copia dei contratti relativi ai propri collaboratori. Noi dobbiamo difenderli con il Consiglio di Presidenza, con gli organi appositi.
E non parliamo dei servizi. Credo che anche le cifre relative alla manutenzione ordinaria e straordinaria – io non me ne intendo – meritino un approfondimento, quando sarà opportuno. Certo, sono un po’ meravigliato che le spese di rappresentanza e per il cerimoniale ammontino a 2 milioni e 200.000 euro: mi sembrano eccessive. Così come l’abbonamento alle agenzie. Ha ragione il relatore: bisogna assolutamente mettersi d’accordo con la Camera dei deputati, anche in attesa di ciò che sarà il Senato, per poter affrontare congiuntamente alcune spese. Lo stesso dicasi per i servizi assicurativi (più di 4 milioni). Della ristorazione è già stato detto. Le spese per il trasporto e il noleggio ammontano a 760.000 euro. Non so, forse qualche senatore ha l’auto blu e io non lo so: io uso il taxi quando mi devo trasferire da un posto all’altro.
La cifra che poi mi fa riflettere, cari senatori Questori, e che credo vada approfondita, senza voler pensare male, è quella relativa ai traslochi: un milione e mezzo; dividendo per le giornate lavorative, si tratta di 7.000 euro al giorno. Noi spendiamo 7.000 euro al giorno lavorativo per il facchinaggio. Posso sbagliarmi, ma mi sembra che tutte queste cifre possano essere attaccate.
In ultimo, la nostra indennità. Chiaramente dichiariamo la massima disponibilità ad affrontare la questione, e bisogna farlo anche presto, con una programmazione, valutando magari il principio già proposto della media europea, abbattendo però anche tutti i benefit che sono rimasti, e che sono odiosi. Mia moglie mi ha accusato di non portarla al cinema pur avendo la tessera. Alcune cose non sono vere e per farle capire che non sono vere…

ADERENTI (LNP). Non è vero!

ASTORE (Misto-ParDem). Io ho sempre pagato: non si rivolga a me dicendo queste cose. Questo per dire che la comunicazione va fatta con la nostra comunità nazionale.
Credo che sia una richiesta di tutti i senatori che lavorano: non è possibile non legare una parte dell’indennità alla produttività del proprio lavoro. C’è gente, a parte i segretari di partito, i Presidenti di Gruppo e coloro che rivestono incarichi istituzionali, che non viene mai! Bisogna allora inventare qualche meccanismo per premiare il merito di chi frequenta le Commissioni. È inutile sorridere perché in alcuni Parlamenti europei si inventano parametri per premiare chi sta sempre in Commissione e lavora. Come tali parametri s’inventano per i dipendenti che lavorano, si possono inventare per i parlamentari. È infatti indegno che qualcuno che dalle statistiche risulta essere stato assente all’80 per cento delle votazioni, che riceva però lo stesso nostro stipendio. Credo che questo sia un tassello per recuperare tutti insieme la credibilità della politica. Un tassello sul quale noi senatori dobbiamo assolutamente impegnarci, in rapporto anche a tutte le altre riforme, ai finanziamenti dei partiti, al costo delle istituzioni, perché al Parlamento guardano anche le Regioni, che spesso lo scimmiottano. Per esempio, nella mia Regione vi sono 14 Gruppi; in Basilicata, 13 Gruppi con 30-40 consiglieri. Credo che ciò sia assurdo, perché si legano al Parlamento! Diamo quindi anche cattivi esempi.
Credo che facendo questo, andiamo a fare anche un’opera di recupero di credibilità della politica, che dobbiamo assolutamente portare avanti per poter riprendere il ruolo prestigioso del Parlamento italiano. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Mascitelli e Russo).

[…]

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Malan. Ne ha facoltà.

MALAN (PdL). Signora Presidente, signori Questori, colleghi, la dotazione del Senato per il 2011 è di 526 milioni e 950.000 euro. Non è una piccola somma ed è nostro dovere amministrarla nel modo più oculato, così come dobbiamo fare con tutto il denaro pubblico.
Bisogna però sapere di cosa stiamo parlando, poiché l’approccio di molti mezzi di informazione ai cosiddetti costi della politica non ci aiuta, in quanto diffonde costantemente dei veri e propri falsi accompagnati da mistificazioni e distorsioni che sfociano in una indignazione irta di insulti, la quale non può che essere in mala fede quando viene da chi fabbrica e propaga tali falsità.
Orbene, di questi quasi 527 milioni, sottratti i risparmi che verranno versati allo Stato e le somme che rientrano nelle casse pubbliche immediatamente sotto forma di imposte sul reddito, il vero costo di questa istituzione per i contribuenti è di 400 milioni, pur includendo parecchi milioni di IVA che il Senato paga. Si tratta dello 0,05 per cento della spesa pubblica, 56 centesimi al mese per ogni contribuente. Insomma, l’intero Senato costa a un singolo cittadino molto meno di un decimo, forse un ventesimo dell’iscrizione al sindacato. Con il costo di una copia del libro «La Casta» un cittadino si campa l’intero Senato per quasi tre anni.
Ma di questi 400 milioni solo 114 sono destinati ai senatori, inclusi i rimborsi, i vitalizi per gli ex, le spese di trasporto e di ristorazione: fa 16 centesimi al mese per italiano, lo 0,014 per cento della spesa pubblica, meno della metà dei contributi che vengono elargiti alla stampa.

SBARBATI (UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI). Bravo!

MALAN (PdL). L’insieme di tutti i senatori, ex inclusi, costa in otto mesi, a ogni cittadino, quanto la copia di un quotidiano. A ogni italiano, il singolo senatore costa un centesimo ogni 20 mesi. È perciò degna di nota l’abilità di chi, facendo sensazionalismo su queste cifre, di solito truccate, riesce a guadagnare qualche milione di euro.
Detto questo, è nostro preciso dovere agire con la diligenza del buon padre di famiglia, come dice il codice civile, e, vorrei aggiungere, della buona madre di famiglia, per contenere le spese, per quanto siano una piccolissima frazione del bilancio dello Stato. Ecco perché le nostre indennità sono bloccate dal 2008, dopo che nel 2006 erano state ridotte del 10 per cento. La diaria e il contributo di supporto sono rimasti bloccati dal 2001 per poi essere decurtati di mille euro al mese proprio all’inizio di quest’anno. Nel complesso, il valore reale dell’indennità netta è sceso del 24 per cento rispetto al 1994. La diaria e il contributo di supporto sono scesi del 28 per cento in dieci anni.
Vale anche la pena di ricordare che la legge del 1965, che regola, sulla base della Costituzione, le nostre indennità, ci equiparava al presidente di sezione della Corte di cassazione. Nella realtà, oggi quel presidente prende oltre il 41 per cento più di noi, con il vantaggio peraltro di non ricevere insulti dalle prime pagine dei giornali. (Applausi dal Gruppo PdL e delle senatrici Boldi e Sbarbati). La stessa legge del 1965 prevedeva che gran parte dell’indennità fosse esente dalle imposte sul reddito, ma la legge finanziaria del primo Governo Berlusconi cancellò completamente ogni esenzione.
È curioso notare che negli anni in cui veniva creato l’immenso debito pubblico che affligge noi e le generazioni che ci seguono, i parlamentari avevano un trattamento economico assai più pingue, ma la stampa non si indignava: forse aveva le sue buone ragioni.
Dunque, il nostro costo è la duemillesima parte della spesa pubblica, e i nostri compensi sono scesi di un quarto negli ultimi 10-20 anni. Ma tanti ben pagati giornalisti, e a volte anche i loro benissimo pagati direttori continuano a ripetere che noi guadagniamo molto più dei nostri colleghi del resto d’Europa. Se così fosse, conterebbe poco che i nostri compensi siano scesi. Il fatto è che quegli stessi giornali che ci additano come i Paperoni d’Europa, quando il mese scorso abbiamo votato, nell’ambito della manovra finanziaria, l’adeguamento del nostro trattamento ai sei principali Paesi dell’area euro, ci hanno accusato di non aver fatto alcun taglio. È evidente che o mentono nel dire che guadagniamo più degli altri o mentono nel dire che adeguandoci agli altri non ci riduciamo i compensi. (Applausi dal Gruppo PdL e delle senatrici Boldi, Sbarbati e Serafini Anna Maria). In realtà, mentivano in entrambi i casi, perché non è vero, come vedremo, che abbiamo un trattamento economico più alto degli altri grandi Paesi. E non è neppure vero che non subiremo alcuna riduzione, visto che tra i sei principali Paesi dell’area euro, ce ne sono quattro con popolazione e prodotto interno lordo inferiori all’Italia, anche di cinque o sei volte, ed è normale che i parlamentari abbiano trattamenti economici più bassi. Ma molti giornalisti di valore – di valore nel senso che sono molto pagati (Applausi dal Gruppo PdL) – scrivono un giorno sì e l’altro pure che siamo i più pagati d’Europa, molto più pagati degli altri. Un messaggio semplice, che colpisce l’opinione pubblica.
Guardiamo allora al caso più vicino a casa nostra: la Francia. Stessa popolazione, 32 parlamentari in meno, ma tra questi i senatori sono 343, 28 più di noi. Vale la pena ricordare che i senatori francesi non sono votati dal popolo, ma dagli eletti del loro collegio. Dunque, niente costi di campagna elettorale. La loro indennità netta è circa 300 euro superiore a quella nostra. Se poi superano i 15 anni di mandato, fanno un balzo in avanti di 1.218 euro, perché non più soggetti a una certa ritenuta. A differenza di quanto accade in Italia, possono poi cumulare indennità derivanti da altre cariche pubbliche, sia pure con il limite di 2.757 euro al mese. In Francia moltissimi parlamentari, infatti, sono anche sindaci, anche perché, con la nostra stessa popolazione, hanno 36.000 Comuni contro i nostri 8.000.
Si dirà allora che c’è il trucco: i senatori italiani avranno trattamenti accessori maggiori. Vediamo: i nostri colleghi francesi hanno 6.412 euro netti al mese per spese di mandato; noi, sommando la diaria ed il contributo di supporto, li superiamo di 1.268 euro. Ma al posto di quei 1.268 euro i senatori transalpini hanno 7.548 euro per il personale alle loro dipendenze; in più, gli oneri del datore di lavoro restano a carico del Senato, cosa che noi non abbiamo, un vantaggio calcolabile in almeno 4.000 euro.
Per quanto riguarda le altre spese, il trattamento è equivalente. In più i membri del Senato francese si vedono rimborsare le spese d’albergo a Parigi nei giorni di seduta e godono di prestiti a tasso agevolato al 2 per cento, cose del tutto sconosciute per noi. Si dirà, chissà quanto lavorano a Parigi! Glielo chiederemo al più presto; però ci vuole un po’ di pazienza, perché la scorsa sessione si è chiusa il 13 luglio e la prossima inizierà l’11 ottobre! (Applausi dal Gruppo PdL e del senatore Musso. Ilarità). Tutte queste cose si possono molto facilmente trovare nel sito Internet del Senato francese, cosa probabilmente troppo faticosa per i nostri principi dell’informazione sensazionalistica. Per questo consegnerò i documenti che attestano questi ed altri dati, perché gli atti del Senato riportino la verità per tabulas.
Visto che si cita così spesso l’estero, vorrei ricordare che in altri Paesi, i giornalisti che diffondono scientemente (ma anche non scientemente) notizie false, specie sulle istituzioni, di solito perdono il posto, generalmente dimettendosi loro stessi per evitare l’umiliazione del licenziamento. Insomma, i senatori francesi, per sé e per il loro personale, hanno a disposizione circa 10.000 euro al mese più di quelli italiani, ma ci viene detto che noi siamo i più i pagati.
Vogliamo parlare dei deputati tedeschi? Basti dire che solo di diaria prendono 1.000 euro al mese più di noi e che per il personale hanno a disposizione 14.712 euro al mese, tre volte e mezzo il nostro contributo di supporto; hanno tutti l’auto pubblica a disposizione per servizio in Berlino, mentre da noi ce l’hanno solo una ventina di senatori e deputati con particolari cariche; hanno il vitalizio, cui hanno diritto anche dopo un solo anno di legislatura, senza pagare i contributi pensionistici. Ecco perché, come anche i francesi, hanno un’indennità lorda più bassa della nostra, ma un netto superiore.
Un ennesimo gioiello del giornalismo d’autore è stata l’affermazione secondo la quale Senato e Camera italiani costerebbero 100 milioni più dei loro corrispondenti di Washington. Chi ha letto questa presunta verità assoluta è trasalito: ma come, gli Stati Uniti, più grandi e più ricchi di noi, hanno un Parlamento che costa meno? C’è persino un po’ di verosimiglianza, visto che i parlamentari americani sono meno numerosi di noi. Ma anche questa è una balla, forse più spudorata delle altre. Di nuovo, basterebbe controllare su Internet: Senato e Camera degli Stati Uniti costano non 100 milioni in meno, ma 2,3 miliardi in più! Non è strano, dato che i deputati, oltre all’indennità, hanno a disposizione per le loro spese fino a l00.000 euro al mese e i senatori fino a 280.000 euro al mese. Sottolineo “euro” e sottolineo “al mese”. E va detto che, a differenza di quanto avviene nei nostri bilanci, il costo del Congresso americano non comprende i vitalizi dei parlamentari e le pensioni dei dipendenti, cosa che vale anche per i principali Parlamenti europei: ecco perché il nostro Parlamento sembra sempre più caro degli altri.
Messo in chiaro tutto questo, noi, come Gruppo del Popolo della Libertà, siamo impegnati a continuare sulla strada della riduzione della spesa, come dimostrano le cifre del bilancio approvato in Consiglio di Presidenza che, per il terzo anno consecutivo, non incrementa la spesa in termini nominali e dunque la riduce sensibilmente in termini reali, cosa mai avvenuta prima, neanche per un solo anno, e come dimostra l’ordine del giorno che presentiamo come Popolo delle Libertà con importanti proposte per proseguire la razionalizzazione.
Il Partito Democratico, invece, mostra di avere più di una faccia. I suoi autorevoli rappresentanti nel Consiglio di Presidenza hanno approvato con noi un bilancio virtuoso, con importanti misure di risparmio. Del resto, anche noi nella scorsa legislatura approvammo, sotto la Presidenza Marini, dei bilanci contenenti misure di risparmio. Poi, però, i vertici del Gruppo del Partito Democratico presentano un ordine del giorno che sconfessa completamente l’intero Consiglio di Presidenza, inclusi i membri appartenenti al loro stesso Gruppo, disegnando fantasiosi e demagogici scenari. Ora, va bene che questo “PD due” sa che verrà approvato il bilancio approvato anche dal “PD uno” e non questo strampalato ordine del giorno; però un po’ di pudore non guasterebbe.
Il senatore Morando, uno che conosce i bilanci come pochi e dunque sa molto bene di cosa parla, oggi scrive questo ordine del giorno che attacca frontalmente il terzo bilancio consecutivo in cui si riduce il peso del Senato sui contribuenti. Ma quando toccò a lui essere relatore dell’ultimo bilancio approvato nella scorsa legislatura, il 4 aprile 2007, nella lunga relazione e nella altrettanto lunga replica non pensò di dire una parola sul fatto che le spese del Senato aumentassero del 2,77 per cento, ben oltre il tasso di inflazione. Ieri la spesa saliva ed era tutto a posto; oggi la spesa scende e ci si oppone. Complimenti per la coerenza, ma non crediate di fare fessi gli elettori, che fessi non sono!
Il fatto è che i signori della sinistra sui costi della politica sono bravissimi a parlare, ma le cose concrete le abbiamo sempre fatte noi. Siamo noi, che nel primo Governo Berlusconi abbiamo abolito ogni esenzione dalle imposte per l’indennità parlamentare, non voi. Siamo noi che abbiamo ridotto del venti per cento i consiglieri provinciali e comunali in questa legislatura. Siete voi che avete fatto il Governo dei 101 Ministri e Sottosegretari, noi siamo scesi di 40: il 40 per cento in meno! (Commenti del senatore Perduca). Siamo noi che abbiamo approvato dopo un faticoso iter parlamentare la riduzione del numero dei parlamentari, che sarebbe già in atto da tre anni se non aveste condotto una feroce campagna contro la modifica della Costituzione, che portò alla bocciatura della riforma con il referendum del 25 giugno 2006. Oggi, per nascondere questa evidenza, vi agitate per calendarizzare lo stesso provvedimento.
Siamo noi che abbiamo approvato la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, per abolire il monopolio e il «magna-magna» delle municipalizzate, con le migliaia di assunzioni clientelari, le nomine dei dirigenti di stampo politico strapagati e lottizzati…

GIARETTA (PD). Pensa a Milano!

MALAN (PdL). …sulla gestione degli acquedotti, la raccolta rifiuti e i trasporti locali. Siete voi che con una campagna di menzogne avete convinto gli italiani a bocciare questa riforma, raccontando che avrebbero dovuto pagare per bere alla fontanella pubblica e che l’Italia sarebbe diventata come Cochabamba! Siete voi che nel 1995 lavoraste per bocciare il referendum che aboliva il doppio turno alle amministrative, e oggi volete addirittura introdurlo per le elezioni politiche, con un costo di qualche centinaio di milioni per legislatura.
E allora, anche oggi, noi ci assumiamo volentieri la responsabilità di fare i risparmi veri, votando un bilancio virtuoso che riduce le spese e votando il nostro ordine del giorno che traccia la strada per ulteriori risparmi ed efficienza per il futuro; e lasciamo volentieri a voi la cinica demagogia, il meschino chiacchiericcio e quell’atteggiamento di cui parla Dante nel XXIII canto dell’Inferno. (Applausi dai Gruppi PdL e delle senatrici Boldi, Castiglione e Sbarbati. Congratulazioni).
Chiedo infine l’autorizzazione ad allegare alcuni dati relativi alla situazione di altri Parlamenti.

PRESIDENTE. La Presidenza l’autorizza in tal senso.

[…]

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Leddi. Ne ha facoltà.

LEDDI (PD). Signora Presidente, i bilanci, pubblici o privati, sono il documento con il quale ci si presenta all’esterno, si traccia la politica aziendale e si chiedono la fiducia e il consenso alle assemblee. Credo poi che i bilanci si leggano per ciò che dicono, ma molto di più si apprende da ciò che non dicono. Leggerò il bilancio interno del Senato facendo la seguente distinzione: le cose che ho trovato e che mi hanno detto molto, e le cose che non ho trovato, che confesso mi hanno detto di più.
Parto dai due punti fondamentali delle situazioni che ho trovato. Partiamo dall’incipit piuttosto impegnativo del bilancio che è stato richiamato anche dal Presidente della Commissione bilancio. Recita l’incipit della relazione del bilancio di quest’anno: «Nel contesto della severa manovra di risanamento per il triennio 2011-2013 tracciata dal decreto-legge n. 78 del 2010, … i documenti del bilancio interno … rappresentano una doverosa risposta di adesione e di partecipazione concreta da parte del Senato ai sacrifici e alle riduzioni di spesa che la difficile congiuntura economica impone al Paese … ». È ineccepibile. Che sacrifici imponeva il decreto-legge n. 78 che abbiamo testé ricordato dello scorso anno? Imponeva delle radicali riduzioni dei costi degli apparati amministrativi, delle pubbliche amministrazioni e del consolidato dello Stato. L’articolo 5, tra l’altro, imponeva a tutte le amministrazioni inserite nel conto economico della pubblica amministrazione tre cose fondamentali: in primo luogo, che i compensi degli organi fossero ridotti del 10 per cento; che le spese per consulenza, relazioni pubbliche, rappresentanza, promozione e comunicazione, convegni e mostre, venissero ridotte dell’80 per cento, nel senso cioè che non dovevano superare il 20 per cento del bilancio precedente; in terzo luogo, che non potessero essere erogati più contributi e sussidi.
Rapportato molto “spannometricamente”, e per difetto, alla nostra realtà, con esclusione della riduzione dei compensi, che effettivamente sono stati ridotti, nell’ordine del 9,7 per cento – con un piccolo sforzo ci saremmo, quindi, perfettamente adeguati a quanto abbiamo imposto agli altri – per quanto riguarda le altre spese che ho citato, dalle consulenze ai convegni, devo dire che, compresi i sussidi erogati per 1 milione e 350.000 euro direttamente dal Consiglio di Presidenza, ce ne facciamo per un pacchetto da 12 milioni di euro.
Se avessimo aderito e partecipato – come detto in premessa – ai sacrifici imposti a tutte le altre amministrazioni inserite nel conto economico della pubblica amministrazione dal decreto-legge che abbiamo prima richiamato, dette spese si sarebbero ridotte a 2 milioni di euro. In sostanza, cioè, più o meno 10 milioni di euro avremmo potuto restituirli nel capitolo che in tale momento ha, rispetto a questo, qualche carenza.
Quindi, ai tagli che ho richiamato di queste voci oggettivamente comprimibili, sono stati obbligati dall’Agenzia spaziale all’ENEA, dal CNR alla Lega tumori, dalla Triennale di Milano all’INPS: certo, obbligati sotto la mannaia della responsabilità disciplinare ed erariale. Perché non il Parlamento della Repubblica? Non l’ho capito e avevo presentato un emendamento in tal senso, che è stato ovviamente respinto, e credo di non essermi fatta neanche degli amici, ma si tratta di un dato irrilevante.
Ce ne sarebbe stato bisogno? Credo proprio di sì. È stato ricordato dai colleghi che mi hanno preceduto un dato che parla da solo: in dieci anni il costo del Senato è aumentato di 200 milioni di euro, cioè il 40 per cento in più in dieci anni. Direi che è un costo oggettivamente da monitorare. Ricordo, per inciso, che la spesa per le indennità, invece, è scesa, in questo stesso decennio, di 3.700.000 euro.
A questo riguardo, io apprezzo quanto ha detto il senatore Malan, che ha ricordato le riduzioni che vi sono state e poi ha ricordato anche qual è la nostra relazione, nel contesto sia europeo che internazionale di emolumenti di pubblici amministratori. Questo dato, che ha scatenato anche applausi, convince, ma soprattutto temo che convinca più noi che il resto del mondo. Quindi, siamo compiaciuti di essere in adeguata compagnia, e non troppo lontani dagli altri, ma questo non ci avvicina al resto del Paese, né ci fa superare il problema che tutti hanno prima rilevato, vale a dire la pesante cappa di incomprensione tra noi e il Paese. E la ragione è semplicemente quella che vale per noi come per tutte le aziende: gli amministratori si pagano sempre troppo, se l’azienda non funziona. E temo che non stia funzionando l’azienda Paese, e sono certa che non sta funzionando l’azienda Senato, per le ragioni che ho detto.
Un’altra voce che trovo scritta nel bilancio del Senato riguarda le spese di personale: altra voce assolutamente rilevante. Trovo scritto, tra le politiche del personale, che si raggiungono i seguenti impegnativi obiettivi: razionalizzazione, valorizzazione professionale, interventi sui costi della struttura amministrativa e, in particolare, contenimento delle spese e dell’organico.
Veniamo alla prima voce: razionalizzazione. Ho cercato riscontro nei numeri e all’interno del bilancio: io non trovo una traccia di riorganizzazione. Non trovo traccia di eliminazione di servizi obsoleti, e mi affanno a dire, quale disturbatore di Assemblea, tutte le volte che approviamo il bilancio, che non capisco perché in Senato si entri da cinque porte, di cui quattro ampiamente presidiate; che non capisco perché nel Senato della Repubblica debba esserci un guardaroba che, soprattutto nella stagione estiva, non ha ragione di esistere, perché non c’è niente da guardare, e il problema potrebbe benissimo essere diversamente risolto; non capisco perché debbono esserci guardianie con decine di persone ai piani, quando con un badge avremmo accesso agli uffici. E ripeto, come un disturbatore di Assemblea a ogni approvazione di bilancio, non ho avuto la grazia di una risposta e non trovo qui la traccia di un’iniziativa.
Quanto alla valorizzazione professionale, io faccio fatica a crederci quando vedo aumentare il costo delle consulenze professionali esterne per la cifra di 6.382.000 euro. Io credo che l’alto costo del personale del Senato sia legato al fatto oggettivo dell’alta qualificazione del personale del Senato, ad ogni livello. Di norma, in nessuna azienda si rende compatibile l’alta qualificazione con la consulenza, soprattutto a questi livelli. Può essere anche necessaria qualche consulenza specifica, ma spendere 140 milioni di euro per il personale dipendente e poi ricorrere a 6.300.000 euro per le consulenze, mi sembra un dato difficile da tener insieme.
Voglio poi sottolineare, in particolare rispetto ai tagli di spesa sul personale che si sarebbero fatti, un dato molto significativo su cui richiamo l’attenzione della Presidenza, dei signori Questori e dei colleghi senatori.
Noi abbiamo letto che sono contenuti i costi di personale. In verità, il costo del personale complessivo del Senato, costituito da personale dipendente, non dipendente e da personale dei Gruppi, ammonta oggi a 178.800.000 euro, 250.000 euro in più rispetto al 2010: si è ridotto il costo del personale dipendente da 143.300.000 euro a 141.000.000, mentre il costo del personale non dipendente è aumentato di un milione e mezzo di euro rispetto al 2010, passando da 22.300.000 a 23.800.000, e il costo del personale dei Gruppi è aumentato di un milione, passando da 13 milioni di euro a 14 milioni di euro. Complessivamente, siamo a 178.800.000 euro.
Questo vuole anche dire che, mentre sta diminuendo il personale dipendente del Senato, e può essere una logica politica di contenimento che porterà, insieme a tante ristrutturazioni che spero ci saranno, a un contenimento dei costi, abbiamo, contemporaneamente, una dilatazione considerevole del costo del personale che dipendente non è. Prima o poi potrebbe esserci, a mio avviso, qualche problema di distorsione dell’articolo 97 della Costituzione, che prevede: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo da assicurare il buon andamento e l’imparzialità della amministrazione”. I pubblici impiegati, infatti, sono esclusivamente al servizio della Nazione. Devo però dire che, quando il personale non è dipendente, viene scelto discrezionalmente e senza concorso, il principio della imparzialità sarà ugualmente rispettato, ma forse c’è il sospetto che possa anche non esserlo.
Inoltre, mentre noi stiamo dilatando, pur avendo detto che le comprimiamo, le spese per il personale, in giro per l’Italia i sindaci, che credo siano la trincea delle istituzioni, fanno fatica a sostituire il messo comunale.
Passiamo quindi, e molto rapidamente, a ciò che il bilancio non dice. Non dice cosa e come si intenda razionalizzare. Li ho ricordati prima e non sto certo a ripeterli adesso, ma alcuni costi, che vanno dai supporti informatici per il mandato dei senatori, che vedo riportati ogni anno in cifra considerevole e che poco giustifico, alle notevoli spese per l’ordinaria amministrazione, vanno segnalati. Confesso che non trovo alcun rapporto tra investimenti in straordinaria amministrazione e spese per l’ordinaria amministrazione. A fronte di un intervento in straordinaria così elevato, dovrei infatti avere un calo progressivo dell’ordinaria: invece non è così. Credo che su alcuni punti abbiamo dei problemi. Sulla tappezzeria, per esempio, su cui stendo un pietoso velo. Abbiamo una tappezzeria che costa, sia nell’amministrazione straordinaria che in quella ordinaria, più di quella di Buckingham Palace!
Chiudo dicendo le cose che non trovo e di cui molto mi dispiaccio. Non c’è la leggibilità reale del bilancio. Non c’è la distinzione tra il patrimonio del re e il patrimonio dello Stato. E se dovessi dire, scendendo di molto rispetto a ciò che non c’è, non c’è neanche chi rilegga le carte e dia qualche pietoso tratto di penna, sia sui refusi tecnici sia sui refusi d’immagine. Mi riferisco ai 40.000 euro di posate, che credo annualmente non sia il caso di spendere. (Applausi dai Gruppi PD, Per il Terzo Polo: ApI-FLI e del senatore Pardi. Congratulazioni).

[…]

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Ichino, il quale nel corso del suo intervento illustrerà anche l’ordine del giorno G5. Ne ha facoltà.

*ICHINO (PD). Signora Presidente, il 22 giugno scorso ho già avuto occasione di attirare l’attenzione del Senato sulla anomalia originata da una delibera della Presidenza del Senato stesso del 1993 e da alcune altre delibere analoghe, che si sono succedute all’inizio di ciascuna legislatura, in materia di personale dipendente dai Gruppi. Credo sia necessario tornare su questo argomento per il rilievo che esso assume in sede di bilancio del Senato, per sottolineare l’ingiustizia che da questo assetto consegue quotidianamente tra queste mura tra i dipendenti dei Gruppi e, se possibile, per indicare un modo in cui – a mio avviso – questa ingiustizia e questa anomalia possono e debbono essere eliminate.
Da molti anni, analogamente a quanto avviene alla Camera dei deputati, in tutti i Gruppi parlamentari si è determinata una situazione di marcata differenza di trattamento tra i dipendenti assunti sulla base della delibera – cui accennavo – del 1993 o di altre successive, volte a favorire l’assorbimento dei dipendenti dei Gruppi estinti da parte dei Gruppi attivi, e i dipendenti non assunti sulla base di quei provvedimenti. I primi sono assunti a tempo indeterminato con un trattamento mediamente molto più alto rispetto ai secondi, i quali sono assunti a termine, talvolta addirittura con rapporto di lavoro a progetto, e si vedono riservare, anche a parità di mansioni o addirittura svolgendo mansioni professionalmente molto più qualificate, un trattamento mediamente molto più esiguo. Il progetto di bilancio che ci è stato presentato prevede a questo proposito due contributi del Senato ai Gruppi, che compaiono nel capitolo S.1.08: il primo, come contributo proporzionale alle dimensioni dei Gruppi; il secondo, consistente in rimborsi forfetari per i dipendenti assunti in base alle delibere che ho menzionato.
La prima questione che intendo proporre riguarda proprio questo capitolo del bilancio. Logica e rispetto del Regolamento del Senato vorrebbero che i due contributi in esso previsti venissero accorpati in un contributo unico, proporzionato alle dimensioni di ciascun Gruppo. Questo anche per ricondurre l’intero capitolo alla piena trasparenza che, con l’istituzione del contributo forfetario, è andata perduta, poiché nessuno sa né può leggere nel bilancio dove vadano quei 12 milioni: erano 11,9 nel 2010 e adesso addirittura sono aumentati a 14 milioni.
Oggi, il contributo forfetario basato su quelle delibere della Presidenza del Senato è di fatto mediamente utilizzato soltanto per due terzi per la copertura dei costi dei rapporti di lavoro costituiti in base a quelle delibere; il terzo mediamente restante costituisce una differenza che il Gruppo datore di lavoro incassa in aggiunta al contributo ordinario di cui alla prima voce del capitolo in esame. Ho verificato che, anche a spesa complessiva invariata per il Senato, l’operazione di accorpamento di questo contributo con l’altro e il riproporzionamento complessivo del nuovo contributo unico alle dimensioni dei Gruppi può avvenire incidendo soltanto sulla differenza incamerata dal Gruppo e senza che venga intaccata la parte del contributo che serve effettivamente a coprire il costo dei rapporti di lavoro, così come oggi sono distribuiti. Quindi, l’accorpamento dei due contributi e il riproporzionamento complessivo degli stessi può essere attuato anche senza cambiare di un euro il trattamento dei dipendenti assunti in base alle delibere, se è questo che si decide di fare.
Resta però una seconda questione (connessa a questa, ma concettualmente distinta) che concerne l’assetto giuridico ed economico dei rapporti tra i Gruppi e i rispettivi dipendenti. Menziono questo problema non perché esso possa essere risolto in sede di approvazione del bilancio del Senato, ma perché credo che nella decisione sulla prima questione la Presidenza del Senato debba anche porsi il problema di incentivare il superamento virtuoso della situazione attuale di intollerabile disparità di trattamento.
Sul piano giuridico tutti i rapporti di lavoro, sia quelli costituiti in base a delibera sia quelli non costituiti in base a delibera, sono rapporti di natura privatistica che non comportano alcun rapporto contrattuale o di altro genere tra il lavoratore e il Senato. Nulla impedirebbe dunque che ciascun Gruppo procedesse a un riordino generale dei trattamenti per parificare innanzi tutto il tipo di contratto; non c’è nessuna ragione al mondo per cui ci debbano essere alcuni lavoratori di serie A, a tempo indeterminato, e gli altri di serie B, precari: potrebbero benissimo essere assunti tutti a tempo indeterminato con previsione esplicita del recesso all’inizio della nuova legislatura in caso di riduzione degli organici o cessazione dell’esistenza del Gruppo, oppure, se questa fosse la scelta, come accade negli altri Parlamenti, si potrebbe prevedere che siano tutti assunti a tempo determinato, con riserva di rinnovo in caso di sopravvivenza del Gruppo e di non riduzione del personale.
Occorre poi istituire un sistema di inquadramento professionale degno di questo nome; e vorrei ricordare a questo proposito che l’obbligo dell’inquadramento professionale è posto da alcune norme europee, proprio perché senza di esso non si dà parità di trattamento. Non è possibile stabilire parità di trattamento a parità di mansioni se non c’è un criterio di valutazione delle mansioni. Occorre allora un sistema di inquadramento che consenta di individuare il trattamento riservato a ciascuna categoria e qualifica; questo consentirà di chiarire che c’è qualche dipendente fortunato, assunto in base a delibera, che gode di un superminimo ad personam, beneficio economico che quindi verrà individuato come tale e che potrà essere assorbito nelle dinamiche economiche successive. Ma se non cominciamo a compiere quest’opera, questo assorbimento progressivo non avverrà mai e la disparità di trattamento andrà aggravandosi, invece che ridursi, per effetto delle dinamiche di anzianità.
Tutto ciò secondo una prima soluzione possibile, che non toglie neanche un euro al lavoratore privilegiato. In realtà, poiché ciascun Gruppo è autonomo e sovrano nell’esercizio della propria autonomia negoziale, il riordino dei trattamenti potrebbe anche avvenire in modo un po’ più incisivo, comportando una almeno parziale redistribuzione dell’enorme differenza di retribuzione che oggi distingue tra loro anche persone che fanno esattamente lo stesso lavoro, o peggio, della differenza che privilegia assurdamente persone che svolgono un lavoro di livello nettamente inferiore rispetto a quello di altre che ne svolgono uno molto qualificato. Poiché le retribuzioni di cui godono gli assunti in base a delibera sono di molto superiori a qualsiasi possibile standard inderogabile di riferimento, nulla vieterebbe alle parti di rinegoziarle con previsione di una loro riduzione, magari di modesta entità, in funzione di un corrispondente aumento delle altre; una pattuizione di questo genere sarebbe perfettamente valida ed efficace.
Se questo è l’obiettivo che intendiamo raggiungere, credo che dobbiamo attivarci subito per realizzarlo e che la Presidenza del Senato debba adoperarsi per incentivare una razionalizzazione su questo terreno. Le delibere che ho menzionato all’inizio e che si sono succedute dal 1993 in poi non hanno più alcuna ragione d’essere e oggi servono soltanto come fonte dell’impegno per il Senato di corrispondere ai Gruppi il rimborso forfetario, che deve essere invece incorporato nel nuovo contributo unico proporzionato alle dimensioni dei Gruppi. Per questo motivo l’ordine del giorno G5, che reca la mia prima firma insieme a quella di altri colleghi, si propone di voltare pagina rispetto alla stagione di quelle delibere.
Da parte di diversi colleghi, anche investiti di responsabilità di gestione in questa istituzione, ci è stata rivolta la richiesta di ritirare quell’ordine del giorno, per consentire un approfondimento delle questioni, certo non semplici, implicate in questo disegno. Accogliamo questa richiesta, per dar modo a tutti gli organi del Senato, a cominciare dalla Presidenza e dal Collegio dei Questori, di studiare più attentamente le questioni proposte; molto più attentamente di quanto non risulti da questo progetto di bilancio, nonostante che le questioni stesse siano state già poste nel mio intervento in quest’Aula del 22 giugno scorso.
Mi auguro, anche per l’onorabilità sostanziale della nostra istituzione, che prima della fine di quest’anno sappiamo voltare pagina definitivamente rispetto alle opacità, alle rendite indebite e alle irragionevoli disparità di trattamento che dal 1993 in poi quelle delibere hanno generato. (Applausi dal Gruppo PD).

[…]

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Morando. Ne ha facoltà.

MORANDO (PD). Signora Presidente, negli ultimi 11 anni (come vede, senatore Malan, sto parlando di noi: anzi, se lei preferisce, potrei riferirmi specificatamente ai due anni in cui sono stato presidente della Commissione Bilancio e ho fatto la relazione ai documenti di bilancio del periodo di riferimento, svolta questa sera dal senatore Azzollini), la spesa totale del Senato ha conosciuto una evoluzione incompatibile con lo stato della finanza pubblica e, ancora di più, con l’esigenza di un salto di qualità nella capacità della politica di guidare il Paese in uno sforzo di crescita nella stabilità; crescita nella stabilità che ci manca ormai da venti anni.
Basta leggere, senatore Malan, la tabella di pagina 97 del fascicolo che contiene il bilancio. Nel 2000, la spesa totale dello Stato è ammontata a 521 miliardi, mentre quella del Senato a 368 milioni. Nel 2011 la spesa totale dello Stato è diventata di 742 miliardi, mentre quella del Senato di 603 milioni. Ecco l’andamento incompatibile della spesa del Senato rispetto all’andamento complessivo della spesa dello Stato. Una spesa dello Stato che noi – è vero presidente Azzollini? – semmai critichiamo per un’evoluzione troppo dinamica, soprattutto per la sua componente corrente, nella fase che ci sta alle spalle. E sono 10-11 gli anni cui si fa riferimento, quindi pro quota attribuiamoci tranquillamente la responsabilità, ma discutiamo tra di noi, seriamente, di quello che ci dicono i numeri e dell’esigenza di porre rimedio attraverso un’azione, anche in questo campo, di riforma.
Tornerò su questa tabella, perché testimonia, senatore Malan, che nell’anno in corso noi abbiamo un’evoluzione della componente della spesa del Senato incompatibile rispetto all’evoluzione della spesa dello Stato che abbiamo definito attraverso la manovra del decreto-legge n. 98 del 2011, che a sua volta accentua questo elemento di incompatibilità. Ma, seriamente, vi sembra che la spesa del Senato possa passare dallo 0,074 del 2010 allo 0,080 della componente della spesa totale dello Stato, quindi con un aumento significativo, in un contesto nel quale abbiamo, con il decreto-legge n. 98, sacrosantamente impostato una manovra che corregge nel tempo, per 47 miliardi di euro, l’andamento della finanza pubblica nel suo complesso? È chiaro che tra questi due andamenti c’è incompatibilità. Diciamocelo, perché questo è oggetto di una valutazione politica che non può non essere condivisa. Mi rifiuto di credere che non sia condivisa.
Lasciate perdere la campagna di stampa, le valutazioni malevole, le considerazioni false. Lasciate perdere tutto questo. Affrontiamo ciò che ci dicono i numeri. I numeri testimoniano di un andamento della spesa totale del Senato incompatibile con le esigenze di contenimento della finanza pubblica e soprattutto con gli obiettivi, per fortuna ambiziosissimi, che abbiamo per metà di questo decennio, cioè il pareggio strutturale di bilancio.
Ora, se questo è vero, allora noi abbiamo di fronte un imperativo categorico, che non riguarda il centrosinistra o il centrodestra, ma tutti noi: dobbiamo recuperare nei prossimi cinque anni (si tratta di un obiettivo realistico), attraverso un crescendo di azioni riformatrici, tutto ciò che nella spesa del Senato ha ecceduto il livello coerente con il ritmo di inflazione reale di questi ultimi dieci anni. Siccome abbiamo speso largamente di più di quello che sarebbe stato lecito negli anni passati, nei prossimi tre anni dobbiamo spendere molto di meno, formulando gli obiettivi in termini di spesa nominale.
Come dobbiamo fare – ecco la discussione che dobbiamo sviluppare tra di noi – per conseguire questi risultati? Sono forse essi impossibili? La discussione infatti potrebbe anche concludere che non possiamo farcela, date le rigidità, che conosco bene quando si affrontano temi che riguardano un bilancio di una pubblica amministrazione. Secondo me, se vogliamo discutere seriamente di come si fa, dobbiamo prendere esempio dalle soluzioni adottate dai Paesi che, nel corso di questa ultima fase della storia recente, hanno affrontato problemi di riduzione significativa della spesa pubblica.
Cosa hanno fatto questi Paesi? Una prima scelta fondamentale. Senatori Questori, se il Regolamento non lo consente cambiamolo tra cinque minuti, ma dobbiamo allungare risolutamente il periodo di programmazione vincolante. Non c’è nessuna possibilità di ridurre la spesa in modo significativo se decidiamo anno su anno e, addirittura, anno in corso su anno, cioè con sette dodicesimi del periodo già consumati; cioè se non introduciamo – costi quel che costi in termini di mutamento delle nostre abitudini – al primo punto di qualsiasi ordine del giorno che il Senato volesse approvare in termini di indirizzo il bilancio pluriennale vincolante, che ogni anno viene modificato in base all’andamento delle cose reali: ma l’obiettivo deve essere formulato in termini pluriennali e crescenti. Se ci sono almeno cinque anni di programmazione, allora i vincoli si allentano e tutto diventa più facile. Se non ci sono, tutto è impossibile. Questa è la prima indicazione metodologica.
La seconda nasce di conseguenza: bisogna avviare immediatamente una scientifica – sissignori: scientifica – revisione totale della spesa adottando il metodo del bilancio a base zero. Ogni euro deve essere giustificato dall’inizio. Nessuna spesa deve essere fatta domani per la sola ragione che l’abbiamo fatta sempre e in particolare ieri: nessuna spesa, nemmeno un euro. (Applausi del senatore Ichino). Naturalmente, questo implica una concentrazione – si direbbe se parlassimo di un’azienda – sul core business del Senato, che è legislazione e controllo. Quindi, nell’ambito di questa radicale revisione della spesa, feroce fino all’ultimo euro, che rigiustifica tutto, dal primo euro di spesa fino all’ultimo, è chiaro che bisogna scegliere di concentrarsi sul core business: legislazione e controllo.
Terzo: dato il tipo di situazione che abbiamo, una finanza interamente «derivata» dal bilancio dello Stato (le nostre entrate vengono appunto dal bilancio dello Stato) gli obiettivi di spesa in questo contesto devono essere espressi, cioè dobbiamo agire in termini nominali, assumendo come base di riferimento l’ultimo anno; spesa nominale: -1 per cento per il 2011, -3 per cento nel 2012, -5 per cento nel 2013, -7 per cento nel 2014. Se assumiamo questo insieme di obiettivi in termini nominali, recuperiamo quello che abbiamo speso per responsabilità di tutti (volete che dica prima di tutto la mia? Benissimo: prima di tutto la mia) negli anni scorsi più di quello che potevamo e dovevamo spendere.
Quarto: lungo quali indirizzi? L’indirizzo è chiaro: ci sono spese che si giustificano con la specificità del Senato, e quelle devono essere affrontate con specifiche appostazioni, che hanno una loro logica ed evoluzione. Poi c’è il resto della spesa. Per esempio, il trattamento previdenziale dei dipendenti. Qualcuno si è chiesto perché non diciamo quello che noi spendiamo per il trattamento previdenziale dei dipendenti? Ve lo dico io perché: perché se non avessimo un sistema interno dovremmo avere i dipendenti nell’ambito del sistema INPS o INPDAP; ma allora i contributi sarebbero diversi, il calcolo della prestazione sarebbe profondamente diverso. Io qui sono per adottare un criterio che dice che per i dipendenti il metodo di calcolo, il metodo di contribuzione, la dimensione della contribuzione, la dimensione delle prestazioni sono adottati secondo la logica del sistema previdenziale di tutti i comuni mortali, per il Senato, per la Camera, per la Presidenza della Repubblica e per la Corte costituzionale.
Naturalmente questo implica che anche per il nostro vitalizio si adotti il metodo di calcolo contributivo. È ampiamente possibile farlo. Già anni fa, persino quando feci la relazione io, senatore Malan, riuscii a proporre questo (se lei va a vedere gli atti controllerà la veridicità delle mie parole), ma naturalmente nessuno «mi si filò», come sempre in questi casi. Tuttavia, la proposta è ovvia: adottiamo per il nostro vitalizio il metodo di calcolo che si adotta per i comuni mortali.
Infine, la tabella di pagina 97 dice che l’obiettivo della riduzione dell’1 per cento della nostra spesa nel 2011 è facilmente raggiungibile. Certo, ci vuole un impegno specifico per i mesi che restano, ma è un obiettivo raggiungibile, che io considero di cruciale rilievo, non per andare in giro a dire che tagliamo dell’1 per cento invece dello 0,34 (perché chiaramente, posta in questi termini, la comunicazione è zero): tagliare dell’1 per cento la spesa 2011 è essenziale per rendere credibile l’obiettivo del taglio del 3 per cento del 2012, perché se arriviamo là con una mera operazione di trasposizione di quello che spendiamo nel permanente, evidentemente non andiamo da nessuna parte nel conseguire gli obiettivi che proponiamo che il Senato si dia.
Su questa base, è possibile un dialogo tra di noi? Non tra maggioranza e opposizione, ma tra senatori che vedono che c’è una crescente contestazione nel Paese, non solo sulla base degli articoli dei giornali o delle comunicazioni televisive, e così via (che hanno tutti i vizi che conosciamo), ma anche sulla base della considerazione di dati di fatto.
L’altro giorno alla Camera dei deputati – mi verrebbe voglia di predisporre un ordine del giorno per dire esplicitamente di non applicare quell’accordo – hanno giustificato l’aumento dell’indennità fissa dei dipendenti di oltre il 3 per cento (come se l’inflazione in Italia fosse di oltre il 3 per cento) con la sottoscrizione di uno straordinario accordo sull’assenteismo. Ma, signora Presidente, lei sa cosa prevede quell’accordo straordinario sull’assenteismo? Prevede che se per caso quest’anno vengo a lavorare sempre e non faccio assenze ingiustificate per malattie inesistenti, il prossimo anno sto a casa cinque giorni! Ma siamo matti? Ma vogliamo andare in giro a dire che noi stiamo facendo un’operazione di risanamento perché facciamo cose di questo tipo, o vogliamo dire che ci siamo resi conto dello stato di emergenza in cui operiamo e vogliamo cambiare totalmente aria?
La proposta contenuta nell’ordine del giorno del Partito Democratico è questa. Non è polemica verso nessuno; è critica verso noi stessi, quindi necessariamente autocritica, e impegnativa per tutti. (Applausi dal Gruppo PD e dei senatori Astore e Molinari).

[…]

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