ANCORA SULLA FINANZA CATTIVA E QUELLA BUONA

UN LETTORE DIFENDE L’INVETTIVA DI BERSANI – MA LA LOTTA POLITICA NON GIUSTIFICA CHE SI INSULTINO DELLE TERZE PERSONE PERBENE, AL SOLO FINE DI COLPIRE L’AVVERSARIO

Messaggio pervenuto il 22 ottobre 2012, a seguito della mia dichiarazione al Foglio di due giorni primaSeguono una mia risposta e un interessante commento di Leonardo Padovan, matematico dell’Università di Padova, del 23 ottobre

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Caro Senatore Ichino,
sono sempre stato sostanzialmente d’accordo con lei in materia giuslavoristica (e ho sostenuto le sue tesi nella sezione PD in cui sono iscritto). Non riesco però a capire il suo atteggiamento critico, sulla questione della finanza, con quanto recentemente detto dall’0n. Bersani in polemica con Renzi.  Non mi sembra affatto che dalle dichiarazioni del Segretario PD emerga una considerazione della finanza “come in sé cattiva, come responsabile della crisi economica globale”. Bersani si è limitato a contestare la scelta, come organizzatore della cena di finanziamento di Renzi, di un finanziere che sceglie un paradiso fiscale come sede principale dei suoi affari; né mi sembra che abbia definito “bandito”, o qualcosa di simile, il rampante Dr. Guerra [rectius: Davide Serra]. Ma non occorre certo essere veterocomunisti [poi io sono di tradizione liberal] per constatare che la crisi globale dipende in larga misura (seppur non esclusivamente: va pure considerata la globalizzazione senza adeguate regole) da un uso abnorme degli strumenti finanziari: basta fare riferimento agli accurati e obiettivi studi di economisti USA come i  Nobel J. Stiglitz e P. Krugman. La finanza è indubbiamente uno strumento non utile ma indispensabile per la crescita e il benessere generale, compreso quello delle classi subalterne. Di questo Bersani (di cui io non sono peraltro un difensore d’ufficio, talvolta dissentendo dalle sue posizioni) è il primo ad essere consapevole. Ma per fare un esempio, riprendendo la sua affermazione secondo cui la crisi del 2008 è nata dai mutui immobiliari in sofferenza, non le sarà certamente sfuggito che il contagio mondiale è stato causato dalla cartolarizzazione di tali mutui e dalla diffusione globale dei relativi titoli, inseriti in prodotti derivati cui le famose istituzioni di rating hanno sciaguratamente attribuito la tripla “A”, pur trattandosi di titoli spazzatura. E’ questo, appunto, un esempio fra i tanti di “cattiva finanza”. Non dimentichiamo che, in un contesto di impoverimento generalizzato delle  classi medie, i grandi  finanzieri e i gestori di hedge funds appartengono allo 0,1% della popolazione più ricca in USA, con redditi più che faraonici e addirittura con una tassazione estremamente agevolata. E ancora oggi l’ammontare complessivo del valore nominale dei titoli derivati supera di oltre 10 volte l’ammontare della ricchezza reale. allora mi chiedo come possa un partito rogressista approvare o rimanere silente di fronte a una situazione simile, osì come di fronte all’uso di esotici paradisi fiscali come comodo rifugio per vitare un’equa tassazione (fra l’altro, nel nostro caso, con la sottrazione ei prelievi fiscali in Italia). Termino con una domanda: un liberale rogressista italiano deve sperare che alle prossime elezioni USA vinca Romney,fautore della completa liberalizzazione dei mercati finanziari) o Obama (favorevole a una maggiore disciplina)? Mi scuso per la lungaggine e le porgo i migliori saluti.
Giuseppe Daino
P.S. Spero proprio che lei venga candidato alle prossime elezioni. Il Parlamento non può fare a meno dei suoi uomini migliori.

Che sollievo, ogni tanto, ricevere, tra i messaggi di dissenso, un messaggio pacato e ragionante come questo, invece di quelli consueti nei quali si sente fremere il desiderio di distruggere – almeno moralmente – l’interlocutore dissenziente! Cerco dunque di rispondere con altrettanta pacatezza e rispetto. Ciò che mi ha indotto a scrivere quello che ho scritto è stato un moto di ribellione di fronte all’invettiva (“banditi”) lanciata, in un primo tempo, da Pierluigi Bersani indistintamente contro tutti gli esponenti del mondo della finanza con cui Matteo Renzi aveva cenato qualche giorno prima. L’inserto Affari e Finanza del quotidiano la Repubblica del 22 ottobre descrive così quella riunione conviviale: “nella serata milanese la sala era gremita di 40-50enni, gente che lavora nelle società di gestione del risparmio e nelle banche d’affari, professionisti e imprenditori” (pag, 4). Mi è parso davvero inaudito che il segretario generale del Pd lanciasse l’epiteto di “banditi” a tutte queste persone. Il giorno dopo lo stesso Bersani ha precisato che aveva usato il termine “banditi” solo “tra virgolette” e che aveva inteso riferirsi soltanto al promotore della serata, Davide Serra. Meno male! Ma perché proprio lui? Perché titolare, nell’ambito della sua attività, di uno hedge fund con sede nelle isole Cayman. Ebbene no: neanche Davide Serra meritava di essere qualificato come un “bandito”: egli è infatti una persona molto perbene, della quale il ministro Corrado Passera ha dichiarato: “lo conosco come persona di grandissima qualità, non soltanto professionale, ma anche personale”. Lo stesso Serra ha poi chiarito di risiedere in Inghilterra e di pagare ivi imposte pari al 53 per cento del proprio reddito, ivi compresa la parte di esso prodotta dal fondo con sede alle Cayman: dislocazione scelta non per evadere le tasse (che lui paga nel Regno Unito fino all’ultima lira), ma per non farle pagare due volte ai clienti del fondo medesimo residenti in qualsiasi altro Paese del mondo. Né Pierluigi Bersani né alcun altro può permettersi di dare del bandito a una persona terza, soltanto per colpire l’avversario politico (che in questo caso era Matteo Renzi); e bene ha fatto Serra a reagire sporgendo querela. Se riteniamo – come anch’io lo ritengo: su questo come su molte altre cose sono dalla parte di Obama e non da quella di Romney – che la disciplina della finanza internazionale sia inadeguata, battiamoci per cambiarla. Ma prendersela in modo inconsulto con le singole persone che appartengono al mondo della finanza mi sembra frutto di un malcostume politico.  (p.i.)

IL COMMENTO DI LEONARDO PADOVAN
Gentile prof. Ichino,
ho letto le due risposte dei lettori nei suoi articoli “Renzi e la “finanza cattiva”: Bersani mette a nudo un luogo comune della vecchia sinistra” e “Ancora sulla finanza cattiva e quella buona“. Non entro nel merito della sua posizione, che peraltro condivido, ma di una argomentazione (non fondamentale ai fini della discussione, ma spiegherò perché è comunque importante) che ricorre in entrambe le risposte.
Si afferma nel primo “Quando il volume d’affari dei derivati è enormemente superiore al PIL di tutto il mondo di cosa stiamo parlando?“;  nel secondo “E ancora oggi l’ammontare complessivo del valore nominale dei titoli derivati supera di oltre 10 volte l’ammontare della ricchezza reale“.
Le dichiarazioni non sono molto precise, ma provo comunque ad interpretare: si confronta lo stock di titoli derivati con il PIL mondiale (che è un flusso). Ora, che valenza economica ha questa affermazione? Sarebbe come scandalizzarsi che un onesto lavoratore abbia al suo attivo un patrimonio (stock) diverse volte superiore al suo reddito (flusso); e non mi pare il caso di stigmatizzare, ad esempio, chi, a fronte di un reddito annuo netto attorno ai 20000 euro, riesca ad accantonare patrimoni 10-30 volte superiori al reddito stesso. Quindi perché invece si usa con ricorrenza questa argomentazione contro la finanza? E ancora, anche se fosse, secondo questi signori quale dovrebbe essere il rapporto derivati/PIL ideale? 10, 3, 1, 1/2? Perché se si accusa questo valore di essere troppo alto che almeno mi si dica quale dovrebbe essere quello giusto.
Concludo: non voglio accusare i due lettori, però è un indice di quanto l’informazione economica (e non solo quella) sia ancora molto confusa in Italia. E questo è molto sconfortante, soprattutto in vista delle prossime elezioni, dove lo strillatore di turno avrà vita facile facendosi forza di questa confusione per proporre le sue ricette spesso vuote se non dannose. E mi aspetto che un partito come il PD che voglia proporsi onestamente alla guida di questo paese debba far subito chiarezza tra i suoi sostenitori su tutti questi particolari, che se pur non programmatici sono fondamentali per avere coscienza della reale situazione economica e sociale, anche (anzi, soprattutto) a costo di rinunciare ad una facile leva ideologica.
Spero che comprenda la mia preoccupazione. Cordiali saluti.
Leonardo Padovan

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