IL GARANTE PER LA PRIVACY È RIMASTO A TACITO

UN PRIMO COMMENTO SULLA RISPOSTA NEGATIVA DELL’AUTORITÀ PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI ALLA RICHIESTA DI TRASPARENZA TOTALE SUI RISULTATI LA RICERCA UNIVERSITARIA E LE RELATIVE VALUTAZIONI

Articolo di Andrea Ichino pubblicato sul Corriere della Sera del 27 ottobre 2012 – Sono disponibili sul sito sia la risposta del Garante per la Protezione dei Dati personali del 19 settembre 2012 al nostro esposto del 4 maggio precedente, sia la risposta di segno opposto data allo stesso stesso esposto dalla Commissione per la Trasparenza, l’Integrità e la Valutazione delle amministrazioni-Civit, del 25 maggio 2012 – Segue la lettera al Corriere della Sera del prof. Alessandro Figà Talamanca pubblicata il 30 ottobre 2012, con una breve replica di A.I.

I dipendenti pubblici sono al servizio della collettività e sono pagati, con fatica, dalle tasse che gravano sui cittadini e sulle imprese. Tutti abbiamo bisogno dei dipendenti pubblici e per questo dovremmo essere contenti di pagare con le tasse il loro lavoro, purché utile e ben fatto. Ma solo la trasparenza totale sull’operato di questi “nostri” dipendenti, dai vertici dello Stato all’ultimo dipendente comunale, consente l’indispensabile controllo sul buon uso di quel che a loro diamo. Un controllo, quello esercitato direttamente dalla cittadinanza, molto più potente di quello consentito da qualsiasi controllore istituzionale; e ora reso ancora più efficace da Internet.
Proprio per questo l’articolo 19 del Codice della Privacy dice: “Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione sono rese accessibili dall’amministrazione di appartenenza”. E l’articolo 4, lettera h), della legge n.15/2009 impone alle amministrazioni di “assicurare la totale accessibilità dei dati relativi ai servizi resi dalla pubblica amministrazione tramite la pubblicità e la trasparenza degli indicatori e delle valutazioni operate da ciascuna pubblica amministrazione, anche attraverso: 1) la disponibilità immediata mediante la rete Internet di tutti i dati sui quali si basano le valutazioni, affinché essi possano essere oggetto di autonoma analisi ed elaborazione; 2) il confronto periodico tra valutazioni operate dall’interno delle amministrazioni e valutazioni operate dall’esterno, ad opera delle associazioni di consumatori o utenti, dei centri di ricerca e di ogni altro osservatore qualificato”.
Sebbene il contenuto di queste norme appaia insolitamente chiaro, il Garante per la Protezione dei Dati Personali, contraddicendo contraddicendo la Commissione per la Trasparenza, l’Integrità e la Valutazione delle amministrazioni-(Civit), ha affermato nei giorni scorsi che il principio di tutela della privacy impedisce la conoscibilità dei voti che l’ANVUR (Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca) darà alle tre migliori pubblicazioni che ciascun professore universitario ha sottoposto per la Valutazione della Qualità della Ricerca-VQR 2004-2010.
Dell’opportunità di assicurare questa forma di trasparenza per un’adeguata valutazione dell’efficienza del sistema universitario, abbiamo già parlato su queste pagine (Corriere, 14 giugno 2012). Il Garante pone invece una questione più grave: sostiene, cioè, che in questa materia il principio generale prevalente deve essere quello della non conoscibilità di qualsiasi dato attinente a una persona fisica, anche quando sia in gioco lo svolgimento di una funzione pubblica. Gli utenti possono saperne qualcosa solo se una norma legislativa esplicitamente lo prevede. Si obietterà che qui la norma legislativa, come si è appena visto, c’è eccome.  Vediamo gli argomenti – per noi davvero stupefacenti – con i quali il Garante supera questa obiezione.
Poiché il Codice della Privacy prevede che le informazioni siano rese accessibili dall’“amministrazione di appartenenza” – sostiene il Garante ‑, dovrebbe essere l’Università a farlo e non l’Anvur. Benissimo, direte voi: perché allora il Garante non autorizza senz’altro l’Università a farlo? Risposta: perché la legge non lo prevede specificamente. Ma non abbiamo appena visto che la legge n. 15/2009 lo prevede con disposizioni inequivocabili e di portata molto ampia? Niente da fare, risponde il Garante: queste disposizioni– ascoltate bene ‑ non “paiono costituire idonea base normativa, non applicandosi al ‘personale in regime di diritto pubblico’ che ricomprende, come noto, anche i professori e ricercatori universitari”, ovvero il personale “non contrattualizzato”. L’idea che si possa colmare questa lacuna con una facile estensione di quelle disposizioni in via analogica viene respinta proprio sul presupposto che la conoscibilità dovrebbe considerarsi come eccezione. Il risultato è che la prestazione dei professori, essendo “un po’ più pubblica”, paradossalmente invece di essere un po’ più conoscibile finisce coll’esserlo un po’ meno!
Gli arcana imperii et dominationis, scriveva Tacito, sono lo strumento con cui da sempre i governi, soprattutto quelli peggiori, hanno difeso il proprio potere nascondendo ai cittadini le informaizoni necessarie per poter giudicare e intervenire, spodestando i governanti malfattori, i loro ministri e le caste da loro dipendenti. Mentre nel resto del mondo democratico avanzato i Freedom of Information Acts sanciscono la trasparenza totale delle amministrazioni pubbliche, il nostro Garante sembra rimasto ai tempi di Tacito.

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LA LETTERA DI ALESSANDRO FIGÀ TALAMANCA
Caro Direttore,
Non ho le competenze giuridiche per intervenire nella disputa sulla interpretazione delle leggi tra il prof. Andrea Ichino e il Garante della Privacy  (Corriere 27 ottobre 2012). Ma la proposta del prof. Ichino,  bocciata dal Garante, non è ragionevole per motivi  che vanno ben oltre gli aspetti legali. Ichino vorrebbe che i risultati intermedi di una valutazione della ricerca, impostata e condotta per valutare collettivamente le “strutture” pubbliche (dipartimenti universitari o istituti di ricerca) fossero ricondotti agli autori dei “prodotti” valutati, dando luogo ad una valutazione individuale della ricerca di ricercatori e docenti che verrebbe resa pubblica. Ci sono diverse ragioni che rendono questa proposta inaccettabile. La prima è che l’Agenzia per la Valutazione ha più volte assicurato che i dati comunicati dalle “strutture” non sarebbero stati utilizzati per valutazioni individuali, e le strutture hanno scelto e presentato i dati sulla base di queste assicurazioni. In secondo luogo la valutazione fatta dall’ANVUR utilizza strumenti rozzi, i cui errori si possono compensare in una valutazione collettiva, ma che non sono accettabili in una valutazione individuale. In particolare, in molti casi, i lavori scientifici sono valutati in base alla rivista dove sono pubblicati, senza alcuna considerazione del contenuto del lavoro.
Infine, quando la valutazione è affidata al parere di un “anonimous referee”, ogni autore valutato individualmente , proprio in nome dei principi di trasparenza invocati dal prof. Ichino, avrebbe diritto di conoscere il nome e le qualificazioni di chi ha giudicato il suo lavoro. L’ANVUR sarebbe quindi obbligata a rompere il patto implicito con il “referee” che ha emesso un giudizio nella convinzione che il suo nome non sarebbe stato reso pubblico.
C’è comunque un modo più semplice e del tutto accettabile di fornire al pubblico tutte le informazioni necessarie per valutare i docenti universitari, come sembra richiedere la legge citata da Ichino.
Basterebbe rendere accessibili le informazioni che i docenti inseriscono nel “sito docente” gestito dal CINECA. Queste informazioni includono riferimenti bibliografici precisi alle pubblicazioni scientifiche e consentono a chiunque sia scientificamente qualificato di esprimere un giudizio sulla ricerca scientifica del docente.
Naturalmente sarebbe difficile esprimere un giudizio da parte di chi non è competente a giudicare. Ma questo sarebbe vero comunque. E infatti quale vero  vantaggio conoscitivo potrebbe avere un cittadino non esperto dal sapere che un “anonimous referee” ha giudicato eccellente un lavoro sulle “equazioni ellittiche alle derivate parziali” ed un diverso “anonimous referee” ha giudicato solo buono un lavoro sulle “equazioni iperboliche alle derivate parziali”?
Alessandro Figà Talamanca
Sapienza Università di Roma
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Nel merito delle considerazioni rinvio all’articolo pubbicato sul Corriere del 14 giugno 2012. Resta il fatto che con questi argomenti la tutela della privacy non ha nulla a che fare, mentre il veto del Garante è posto esclusivamente in funzione di  quella tutela.  (a.i.)


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