QUOTIDIANO NAZIONALE: LE DIFFERENZE TRA IL PROGETTO BOERI-GARIBALDI E QUELLO DI SC

OCCORRE OFFRIRE ALLE IMPRESE E AI LAVORATORI UN RAPPORTO DI  LAVORO PIÙ SEMPLICE, MENO COSTOSO E MENO RIGIDO, CHE PREVEDA UNA PROTEZIONE CRESCENTE GRADUALMENTE SENZA SCATTI

Intervista a cura di Elena Comelli, pubblicata sul Quotidiano Nazionale (il Giorno, la Nazione, il Resto del Carlino) il 9 gennaio 2014

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Dai dati dell’Istat emerge il disastro del mercato del lavoro italiano, ancora una volta il peggiore d’Europa, tranne Grecia, Spagna e Portogallo. Cosa si può fare per affrontare l’emergenza lavoro?
«In estrema sintesi: tre S e una A. Semplificare la normativa, snellire il rapporto di lavoro rendendolo meno costoso, sperimentare il rapporto a tempo indeterminato a protezione crescente e la cooperazione tra servizi pubblici e privati con il contratto di ricollocazione, aprire il più possibile il Paese agli investimenti stranieri», risponde il giuslavorista Pietro Ichino, oggi senatore di Scelta Civica, dopo una lunga militanza nel Partito Democratico.

Cosa ne pensa del Jobs Act di Matteo Renzi?
«Che si muova nella direzione giusta, mi pare sicuro. Quanta strada faccia in questa direzione, è difficile dirlo prima di vedere il testo definitivo nero su bianco: in questa materia il diavolo sta sempre nei dettagli».

Se in un ipotetico governo Renzi le venisse offerto il dicastero del Lavoro, lo accetterebbe?
«Se mi venisse offerto per fare le quattro cose che ho indicato sopra, sicuramente sì».

Il contratto unico a cui si riferisce Renzi, con una sospensione dell’articolo 18 nel primo periodo, non riecheggia il progetto Boeri-Garibaldi?
«Sì: il modello è proprio quello».

Lei sarebbe favorevole?
«Sarebbe comunque un passo avanti nella direzione giusta. Quel modello ha però due difetti: un costo di separazione ancora un po’ troppo alto nel primo periodo; e la soglia del triennio, al temine del quale scatta l’applicazione dell’articolo 18. C’è il rischio che tutto questo costituisca un tributo ancora troppo alto al vecchio
modello del rapporto di lavoro ingessato e che, in un periodo come questo di gravissima incertezza circa il futuro anche a breve, il contratto a termine resti preferibile per le imprese, anche se non nella stessa misura in cui lo è oggi. Questo difetto viene evitato nel progetto che ho presentato, con gli altri senatori di Scelta Civica».

Qual è, invece, il progetto che lei considera migliore?
«Quello che offre a imprese e lavoratori la possibilità di sperimentare un rapporto di lavoro a protezione crescente gradualmente, senza la soglia del triennio: dal terzo anno in poi incomincia a maturare il diritto del lavoratore a un sostegno più robusto, sul piano economico e professionale, nel passaggio dal vecchio
posto al nuovo. Ma il costo di separazione per l’impresa resta prevedibile e cresce nel tempo gradualmente, senza strappi».

Resta il fatto che oggi un imprenditore che voglia assumere rimane impigliato in una ragnatela burocratica senza fine…
«È il problema della semplificazione. E il passaggio essenziale per incominciare a risolverlo è quel Codice
semplificato del lavoro, sul quale il Governo si già impegnato. Ora si tratta di passare dalle parole ai fatti. È solo questione di volerlo davvero. Qui aspetto il Jobs Act di Renzi alla prova».

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