HUFFINGTON POST: SULLA RIAPERTURA DEL PROCEDIMENTO PENALE PER IL RIFIUTO DELLA SCORTA A MARCO BIAGI

È BENE CHE SI FACCIA LUCE SULLA VICENDA A DIR POCO SCONCERTANTE DELLA PROTEZIONE TOLTA SENZA ALCUNA GIUSTIFICAZIONE AL GIUSLAVORISTA BOLOGNESE NEL MOMENTO DI MASSIMA TENSIONE SULLE QUESTIONI DI POLITICA DEL LAVORO, QUANDO GLI ASSASSINI DI MASSIMO D’ANTONA ERANO ANCORA IN CIRCOLAZIONE

Intervista a cura di Martina Cecchi De’ Rossi pubblicata sul sito Huffington Post, 21 maggio 2014.

Senatore la Procura di Bologna riapre l’inchiesta sulla morte di Marco Biagi ipotizzando omicidio per omissione. Si aspettava questa notizia?
Francamente, no. La Procura a suo tempo aveva aperto un procedimento per l’ipotesi di una responsabilità penale nel rifiuto di protezione a Marco Biagi, ma l’aveva poi archiviato. Certo, quell’archiviazione aveva lasciato un po’ di amaro in bocca.

Perché amaro in bocca?
Perché quel procedimento avrebbe potuto essere l’occasione per far luce su una vicenda molto sconcertante. Marco aveva avuto la scorta in tutte le città in cui si spostava per il suo lavoro; ma poi a poco a poco gliel’avevano tolta dappertutto. A Bologna e Modena l’ultimo giorno di scorta fu il 6 ottobre 2001. Questo, a due anni dall’assassinio di Massimo D’Antona; e allora nessuno degli assassini era stato ancora preso. E Marco riceveva minacce in continuazione, era molto preoccupato: quegli ultimi cinque mesi senza protezione sono stati per lui una passione.

Vuol dire che il ministro degli Interni ce l’aveva con lui?
Oggi tutta l’attenzione si appunta su Scajola. Ma l’ombra pesante che non è mai stata dissipata non riguarda soltanto lui, bensì tutto il vertice della Polizia e della Digos. E non riguarda soltanto la protezione tolta a Marco: in quel periodo torrido, giravano senza scorta anche il ministro del Lavoro Maroni e il sottosegretario al Lavoro Sacconi. Pierferdinando Casini, allora Presidente della Camera, amico personale e concittadino di Marco, segnalò le minacce che lui stava subendo al capo della Polizia De Gennaro, sentendosi rispondere che non c’era alcun pericolo. Questo, nonostante che la Digos sapesse benissimo che invece il pericolo c’era eccome. Nell’ipotesi meno grave, ci fu una sciatteria politico-amministrativa impressionante, una sottovalutazione incredibile del pericolo.

E nell’ipotesi più grave?
Nell’ipotesi più grave ci fu un abbassamento della guardia deliberato. Cioè fu messo in conto che, in quel momento di tensione altissima sulle questioni del lavoro, dopo la pubblicazione del Libro Bianco, i brigatisti potessero colpire di nuovo. Forse qualcuno pensò che questo avrebbe potuto giovare all’azione del Governo.

Il Corriere della Sera ipotizza che tra le carte dall’archivio dell’ex ministro Scajola figuri una lettera che un politico vicino a Biagi avrebbe indirizzato allo stesso Scajola, allertandolo del pericolo in cui si trovava Biagi. Non ci sono conferme ma ritiene verosimile che all’epoca il titolare del Viminale sia stato comunque informato in qualche modo? Insomma davvero poteva non sapere?
Se e quanto il ministro Scajola fosse consapevole e colpevole, lo stabiliranno i giudici. Ma, ripeto, la questione non riguarda solo lui. È molto opportuno, anche se sono passati dodici anni, che il reperimento di nuovi documenti faccia riaprire il procedimento: perché i punti di domanda di allora sono ancora tutti lì, irrisolti. E sono sale su ferite che sanguinano ancora.

Oggi che cosa resta del contributo sul lavoro di Marco Biagi?
Resta innanzitutto la sua legge: nonostante che sia stata demonizzata in modo furibondo, essa è ancora lì e costituisce tuttora uno dei pilastri del nostro diritto del lavoro, accettato nei suoi elementi essenziali dalla stessa sinistra politica e sindacale; anche se c’è ovviamente ancora molto da fare su questo terreno. Ma resta soprattutto lo spirito laico con cui Marco studiava i problemi e costruiva le soluzioni, la sua capacità di confrontare il nostro ordinamento con quello degli altri Paesi e di attingere alle esperienze migliori per far progredire il nostro mercato del lavoro.

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