RELAZIONE ALLA COMMISSIONE LAVORO DEL SENATO SUL DISEGNO DI LEGGE-DELEGA

IL PASSAGGIO A UN NUOVO ORDINAMENTO DEL LAVORO TENDENTE ALL’UNIVERSALITÀ, FONDATO SUI PRINCIPI DELLA FLEXSECURITY – LE PRECISAZIONI DEL DISEGNO DI RIFORMA RISULTANTI DALLE MODIFICHE APPORTATE AL TESTO DI LEGGE DALLA CAMERA

Testo della relazione svolta davanti alla Commissione Lavoro del Senato il 26 novembre 2014, per l’avvio dell’esame in terza lettura del disegno di legge n. 1428-B/2014.

Relazione del senatore Pietro Ichino alla Commissione 11a,
Lavoro e Politiche sociali, sul disegno di legge AS n. 1428B/214
recante Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro

Signor Presidente, Colleghi,

esigenze evidenti di economia dei nostri lavori mi inducono a omettere una nuova presentazione integrale del disegno di legge che torna dalla Camera dei Deputati al Senato per la terza lettura: faccio rinvio in proposito alle relazioni svolte dal Senatore Sacconi in sede di prima lettura, nonché a quella che io stesso ebbi occasione di svolgere in quella fase alla Commissione 10a. Basti, in questa sede, dar conto delle modifiche apportate al disegno di legge dall’altro ramo del Parlamento, ai fini del relativo esame da parte della Commissione. Con l’avvertenza che il disegno di legge stesso è ora qualificato come collegato alla legge di stabilità, con le conseguenze ai Colleghi ben note per ciò che riguarda la celerità che dovrà caratterizzare l’iter di questo provvedimento e in particolare la necessità che il suo esame sia il più possibile concentrato nei prossimi giorni.

Osservazioni di carattere generale

Le modifiche apportate dalla Camera non hanno mutato l’impianto del disegno di legge, bensì lo hanno confermato apportando alcune precisazioni circa il contenuto della delega e alcuni perfezionamenti formali. Non è dunque mutato, bensì confermato l’intendimento che muove l’intero disegno di legge:
– nel senso del passaggio da un ordinamento del lavoro caratterizzato da profonde disparità di protezione, generatore di quel dualismo delle tutele che negli ultimi anni ci è stato ripetutamente rimproverato dall’Unione Europea, a un nuovo ordinamento tendente invece all’universalità di applicazione delle misure necessarie per correggere le distorsioni del mercato del lavoro: un mercato tuttora caratterizzato in vaste sue parti da asimmetrie e squilibri di potere contrattuale tra le parti
– nel senso del passaggio dal vecchio sistema di protezione fondato su di un principio di tendenziale inamovibilità della persona che lavora, secondo il modello che ha tradizionalmente caratterizzato l’impiego pubblico, a un sistema di protezione fondato su di un forte sostegno e assistenza alla persona nel mercato del lavoro, in particolare nel passaggio dalla vecchia occupazione a una nuova;
– in estrema sintesi, nel senso del passaggio da un regime che per sua stessa natura è generatore di dualismo fra protetti e poco o per nulla protetti, a un regime fondato sulla coniugazione della massima possibile flessibilità delle strutture produttive con la massima possibile sicurezza economica e professionale delle persone che lavorano, basata sulla loro libertà effettiva di movimento nel mercato del lavoro.

A questi obiettivi tendono i tre pilastri della riforma, costituiti rispettivamente dalle nuove norme in tema di ammortizzatori sociali (articolo 1, nella formulazione originaria del disegno di legge, ora commi 1 e 2), di servizi nel mercato (articolo 2, ora commi 3 e 4) e disciplina dei contratti di lavoro e in particolare del loro scioglimento (articolo 4, ora comma 7). A proposito di quest’ultima, è necessario qui rispondere all’obiezione che è risuonata tante volte, dentro e fuori del Parlamento, nel dibattito suscitato dall’emendamento più controverso (quello al comma 7, lettera c): se il licenziamento è, per un qualsiasi motivo, contrario all’ordinamento, perché mai l’ordinamento stesso non dovrebbe privarlo dei suoi effetti giuridici? La risposta a questa domanda non sta soltanto nel confronto con gli altri ordinamenti dell’occidente industrializzato, la maggior parte dei quali non conosce neppure la sanzione della reintegrazione coattiva del prestatore nel vecchio posto di lavoro (anche in Germania, dove la reintegrazione rientra fra le sanzioni possibili nell’area delle imprese con più di 10 dipendenti, essa ha sempre avuto un’ampiezza di applicazione molto inferiore a quella registratasi nel nostro ordinamento, che le ha di fatto conferito carattere di eccezionalità). La risposta sta anche nella constatazione delle inevitabili distorsioni conseguenti all’impossibilità di tradurre compiutamente la complessa realtà delle esigenze di gestione aziendale in dati rilevanti di “verità giudiziale” risultanti da un’istruttoria testimoniale. Questo è il motivo per cui viene istituito per la generalità dei casi un limite alle conseguenze del possibile giudizio negativo sul motivo del licenziamento: quel limite del costo massimo di separazione, salvi casi eccezionali, che costituisce un dato comune alla generalità degli ordinamenti stranieri. La legge-delega affida al Governo di stabilirne l’entità in relazione e corrispondenza con l’anzianità di servizio della persona interessata.

Esame delle modifiche apportate al testo in seconda lettura

Passo quindi alla sola esposizione del contenuto degli emendamenti al disegno di legge approvati dalla Camera dei Deputati, esaminandoli nell’ordine in cui essi compaiono nell’articolo unico del disegno di legge.

1. In tema di ammortizzatori sociali

La prima modifica consiste nell’aggiunta, al comma 2, lettera a), n. 1, dell’aggettivo “definitiva” all’espressione “cessazione di attività aziendale”: si conferma, dunque, la limitazione dell’intervento della Cassa integrazione guadagni ai soli casi di cessazione temporanea, ovvero di sospensione dell’attività aziendale con ragionevole prospettiva di ripresa dell’attività stessa, quindi dell’attività lavorativa, entro il termine di durata dell’intervento. Si conferma, per converso, la necessità che in tutti gli altri casi lo stato di effettiva disoccupazione dei lavoratori non venga nascosto attraverso la sospensione fittizia dei rapporti di lavoro, come si è diffusamente fatto negli ultimi decenni, ma si proceda immediatamente all’attivazione delle misure tendenti al più rapido possibile reinserimento dei lavoratori interessati nel tessuto produttivo (misure che sono oggetto dell’articolo 2 del disegno di legge).

L’aggiunta delle parole “a livello nazionale” per qualificare i “meccanismi standardizzati di concessione” dei trattamenti di sostegno del reddito in costanza del rapporto di lavoro, nel n. 2 della lettera a) del comma 1, enfatizza la necessità di superare ogni differenziazione regionale nei criteri di concessione. E lo stesso vale per l’aggiunta al n. 7 contenuta in un ulteriore emendamento a questo comma.

Un poco più complesso è il discorso che riguarda l’emendamento alla lettera b) del comma 2 (sostanzialmente identico a quello relativo alla lettera g) del comma 7) che, in riferimento all’ampliamento dell’area di applicazione dell’assicurazione contro la disoccupazione a chi sia stato titolare di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, dispone l’aggiunta delle parole “fino al suo superamento”. Questo emendamento non allude evidentemente a un divieto attuale o futuro dei contratti di lavoro autonomo aventi per oggetto un’attività continuativa nel tempo (quali per esempio il contratto che lega ai rispettivi committenti un agente di commercio, un amministratore di condominio, un amministratore di società, un ragioniere che tiene continuativamente la contabilità di un’impresa, e gli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito): divieto che dovrebbe considerarsi incostituzionale per manifesta irragionevolezza; e infatti non è previsto, né per l’immediato né per il futuro, in alcuna altra parte del disegno di legge. L’aggiunta delle parole “fino al suo superamento” deve invece intendersi come richiamo al riordino e semplificazione della disciplina dei contratti e rapporti di lavoro, oggetto della delega contenuta nel comma 7, da compiersi nel nuovo testo unico della materia: in questa sede, nel quadro di una generale ridefinizione dei confini dell’area del lavoro dipendente, potrà essere disposto il “superamento”, appunto, del tipo contrattuale particolare della collaborazione coordinata e continuativa costituito dal contratto di lavoro a progetto.

L’emendamento alla lettera c) conferma l’obbligo del beneficiario di un trattamento di sostegno del reddito di attivarsi, spostando il riferimento alle attività socialmente utili per le comunità locali in una nuova lettera d) e raccordando invece la disposizione con quanto disposto a questo proposito nel comma 4, lettera v). La disposizione, così come risultante dall’emendamento, si presta a un equivoco che è bene chiarire in questa sede: soltanto la persona che beneficia di un trattamento di disoccupazione è tenuta ad attivarsi per la ricerca di una nuova occupazione, mentre questo obbligo non può evidentemente essere imposto al beneficiario del trattamento erogato dalla Cassa integrazione guadagni, trattamento la cui funzione è – al contrario – proprio quello di tenere legati i lavoratori all’impresa evitando dispersioni di professionalità. A chi beneficia dell’integrazione salariale può imporsi soltanto l’onere di partecipare a corsi di formazione o riqualificazione professionale.

2. In tema di servizi per l’impiego

L’emendamento alla lettera b) del comma 4 mira a consentire che gli incentivi economici previsti dalla disposizione siano indirizzati anche all'”acquisizione delle imprese in crisi da parte dei dipendenti”.

L’emendamento alla lettera g) del comma 4 sottolinea le finalità di “inclusione sociale” e di “valorizzazione delle competenze delle persone” cui devono tendere la razionalizzazione e la revisione delle procedure e degli adempimenti. L’emendamento alla lettera n) aggiunge alla finalità della valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati quella della valorizzazione delle sinergie con “operatori del terzo settore, dell’istruzione secondaria, professionale e universitaria, anche mediante lo scambio di informazioni sul profilo curriculare dei soggetti inoccupati o disoccupati”: aggiunta certamente apprezzabile, purché sia chiaro il ruolo specifico che la riforma intende attribuire, nel nuovo sistema dei servizi per l’impiego, alle imprese specializzate nella mediazione tra domanda e offerta di lavoro accreditate presso le Regioni. Nella convinzione che la funzione pubblica del collocamento ben può e deve valorizzare anche queste imprese; e che un meccanismo – quale quello che si riassume nello schema del contratto di ricollocazione, di cui al stesso comma 4, lettera p) – di libera scelta dell’agenzia specializzata accreditata presso la Regione da parte delle persone interessate, nonché di retribuzione del servizio a mezzo di voucher pagabile per la maggior parte a risultato positivo ottenuto, può assicurare ai disoccupati un servizio assai più efficace di quello di cui oggi essi godono, restituire ai Centri per l’Impiego centralità nel sistema affidando loro un ruolo insostituibile di cerniera tra utenti e fornitori, consentire l’attivazione effettiva della condizionalità del sostegno del reddito (già prevista dalla legge vigente ma oggi pressoché inesistente nei fatti) e realizzare una riqualificazione della spesa pubblica in questo settore, poiché l’operatore inefficiente finirà coll’essere automaticamente emarginato dal sistema.

L’emendamento alla lettera r) del comma 4 sottolinea opportunamente la necessità di “una maggiore integrazione delle politiche attive e delle politiche di sostegno del reddito“. Gli emendamenti alle lettere v) e z) vi aggiungono rispettivamente la menzione dell’istruzione e della formazione professionale, nonché della necessità di coordinamento tra il sistema informativo per la gestione del mercato del lavoro e le iniziative volte a far emergere il lavoro irregolare.

3. In tema di semplificazione burocratica

L’emendamento alla lettera a) del comma 6 altrettanto opportunamente sostituisce il “dimezzamento” degli adempimenti burocratici o procedimentali necessari per la costituzione e gestione del rapporto di lavoro con la loro “drastica riduzione”: che significa anche necessità di riduzione della complessità di procedimenti come quelli relativi alla sospensione del lavoro con ricorso alla Cassa integrazione, o alla riduzione del personale.

Non è dato invece davvero comprendere il significato della sostituzione, nella lettera b) del comma 6, in riferimento alle “norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi”, della parola “eliminazione” contenuta nel testo approvato dal Senato con la parola “abrogazione”. La portata giuridica e pratica della disposizione appare del tutto invariata.

Nella lettera g), un emendamento aggiunge la menzione della “lavoratrice” al “lavoratore”. Bene, anche se, coerenza stilistica avrebbe implicato che venisse operata la stessa aggiunta in tutti gli altri passaggi – per esempio il comma 2, lettera b), n. 1 e n. 2 – nei quali la legge fa riferimento al “lavoratore” o al “prestatore”. E – perché no? – che in tutti i passaggi in cui si parla di “datore” di lavoro si aggiungessero le parole “o datrice”.

L’emendamento alla lettera i) del comma 6 mira a precisare che, come è ovvio, il libretto formativo deve registrare anche tutto quanto la persona titolare acquisisce sul piano professionale e culturale anche nell’ambito del “sistema dell’apprendimento permanente“.

4. In tema di disciplina dei contratti di lavoro

Non ha subito alcuna modifica la parte iniziale del comma 7, nella quale si prevede l’emanazione di un testo unico semplificato delle norme legislative di fonte nazionale relative ai diversi tipi di contratto di lavoro e allo svolgimento dei relativi rapporti: quello che nel dibattito è comunemente indicato come il Codice semplificato.

Un significato di – non inopportuna – attenuazione del contenuto del testo della lettera b) di questo comma sembra assumere l’emendamento in virtù del quale il contratto a tempo indeterminato deve essere promosso come forma “comune” (invece che “privilegiata”) di contratto di lavoro. Questo emendamento offre l’occasione, oltre che il fondamento positivo, per un chiarimento necessario in risposta a interrogativi che si sono posti insistentemente nel dibattito delle ultime settimane. Il “contratto a tutele crescenti” non costituisce un tipo contrattuale diverso rispetto al contratto di lavoro subordinato ordinario a tempo indeterminato – la cui istituzione contraddirebbe l’intendimento della semplificazione, sotteso all’intero provvedimento -, bensì costituisce soltanto l’espressione con cui si indica sinteticamente l’insieme della nuova disciplina dei rapporti a tempo indeterminato che si costituiranno dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo attuativo di questa parte della delega. La parziale diversità di disciplina di questi nuovi rapporti rispetto ai vecchi – concretantesi essenzialmente nella diversa tecnica di protezione della sicurezza economica e professionale del soggetto che dal rapporto trae continuativamente la maggior parte del proprio reddito, trovandosi così esso in posizione di sostanziale dipendenza dal creditore della prestazione – si giustifica sul piano costituzionale non per la diversità del tipo contrattuale, ma essenzialmente per la necessità di compiere il passaggio dalla vecchia alla nuova tecnica di protezione garantendo a tutti coloro cui essa si applicherà i nuovi servizi nel mercato del lavoro. L’attuazione del nuovo sistema deputato ad assicurare l’assistenza intensiva cui chi perderà il posto d’ora in poi avrà diritto non potrà non avere una certa gradualità, che si concilia perfettamente con la gradualità dell’ampliamento della platea dei suoi beneficiari. Tutti sanno, del resto, che la giurisprudenza costituzionale, e non solo quella italiana, ha sempre legittimato il criterio della successione temporale come criterio costituzionalmente legittimo di differenziazione della diversità di trattamento tra fattispecie per il resto tra loro uguali, in funzione di un processo di riforma incisiva della materia.

Arriviamo così all’emendamento di gran lunga più rilevante, tra quelli apportati al disegno di legge dalla Camera in seconda lettura: quello che precisa il contenuto del nuovo “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti“, chiarendo che il legislatore delegato dovrà regolarlo “escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l’impugnazione del licenziamento”. Questo emendamento, come ho rilevato all’inizio di questa relazione, conferma e precisa in modo inequivocabile l’intendimento del legislatore di superare la peculiarità del nostro ordinamento nel panorama dell’intero occidente industrializzato, di fatto mantenutasi anche dopo la riforma parziale della materia del 2012, consistente in una ampia applicazione in questa materia della sanzione della reintegrazione. Questa sanzione dovrà ora essere esclusa per tutti i licenziamenti non sorretti da contestazione disciplinare (individuali per motivo economico-organizzativo o per scarso rendimento oggettivo, collettivi, temporaneamente inefficaci per mancato superamento del periodo di comporto di malattia) e per la generalità dei licenziamenti disciplinari. L’area in cui essa dovrà applicarsi è soltanto quella dei casi di nullità del licenziamento specificamente previsti dalla legge – matrimonio, maternità e discriminazione o rappresaglia – e in casi particolari di licenziamento disciplinare ingiustificato equiparabili per gravità al licenziamento discriminatorio, pur trattandosi ovviamente di una fattispecie diversa.

Riguardo alla questione del licenziamento collettivo, i primi commentatori della legge-delega concordano circa la sua riconducibilità alla nozione di “licenziamento economico”, ma rilevano l’impossibilità di una riforma della materia delle procedure e dei criteri di scelta che abbia effetto limitato ai nuovi assunti, stante l’obiettiva improponibilità di procedure e criteri di scelta differenziati tra nuovi e vecchi. Concordano comunque nel ritenere praticabile la differenziazione della sanzione per violazione procedurale o dei criteri di scelta.

L’emendamento successivo innesta opportunamente nel comma 7 una nuova lettera d) mirata a rafforzare le iniziative per l’alternanza scuola-lavoro.

L’emendamento alla lettera f) del comma 7 si riferisce alla nuova disciplina degli strumenti di controllo a distanza – attualmente oggetto dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori – precisando che deve trattarsi di controlli aventi per oggetto gli impianti e gli strumenti di lavoro, non le persone. Si conferma comunque l’intendimento del legislatore delegante nel senso di adattare la disciplina vigente – dettata in un’epoca in cui non esistevano ancora né i personal computer, né Internet, né le reti informatiche aziendali, né i telefoni cellulari, né tantomeno i sistemi di localizzazione e controllo satellitare – agli sviluppi tecnologici che fanno sì che il collegamento a distanza sia diventata una funzione intrinsecamente propria di tutte le nuove strumentazioni informatiche e telematiche, normalmente utilizzate dalle imprese: funzione certo non suscettibile di essere assoggettata a una regola generale di necessaria contrattazione preventiva in sede sindacale (come invece previsto dalla norma vigente in riferimento ai sistemi televisivi a circuito chiuso e ai microfoni). Per altro verso, le stesse nuove tecnologie aprono nuovi fronti di possibile lesione del diritto delle persone alla riservatezza, che richiedono una nuova regolazione adeguata.

L’emendamento alla lettera h) mira al coordinamento della disposizione ivi contenuta con quella contenuta nella lettera a): esso dunque deve essere inteso come richiamo della necessità che la nuova disciplina dei buoni lavoro sia dettata “in coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale”.

5. Altre disposizioni

Due emendamenti sostituiscono l’espressione “cure parentali” a “genitorialità”, rispettivamente nel comma 8 e nella lettera f) del comma 9: la correzione si giustifica in considerazione della necessità di ricomprendere nel concetto anche le cure prestate da figli a genitori o nonni non autosufficienti.

Gli emendamenti aggiuntivi delle lettere h) ed l) al comma 9 mirano rispettivamente alla maggior protezione delle donne “inserite in percorsi di protezione relativi alla violenza di genere” e alla “semplificazione e razionalizzazione degli organismi delle competenze e dei fondi operanti in materia di parità e pari opportunità nel lavoro“.

L’emendamento al comma 13 prevede opportunamente la predisposizione distrumenti di “monitoraggio permanente degli effetti degli interventi di attuazione” della legge-delega: disposizione quanto mai opportuna, purché non faccia la fine che ha fatto la disposizione analoga contenuta nella legge n. 92/2012, rimasta sostanzialmente inattuata.

L’ultimo emendamento è mirato a ridurre a un solo giorno il periodo di vacatio legis, in funzione del collegamento di questo disegno di legge con quello recante la legge di stabilità.

Per concludere, gli aggiustamenti apportati dalla Camera dei Deputati al testo approvato dal Senato nell’ottobre scorso mi sembrano, per i loro intendimenti e la loro formulazione, meritevoli di essere approvati anche in questa sede. Per altro verso, il collegamento funzionale tra questo disegno di legge e quello della legge di stabilità consiglia di procedere a una discussione e approvazione rapida da parte del Senato.

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