LICENZIAMENTI NELLE P.A.: UN’ALTRA CONFERMA DELL’APPLICABILITÀ DELLA NUOVA DISCIPLINA

DOPO LA CASSAZIONE, ANCHE UN GIUDICE DI MERITO CONFERMA QUANTO DISPOSTO IN MODO CHIARISSIMO DALL’ARTICOLO 51 DEL D.LGS. 165/2001: “LA LEGGE 20 MAGGIO 1970, N. 300, E SUCCESSIVE MODIFICAZIONI E INTEGRAZIONI, SI APPLICA ALLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI A PRESCINDERE DAL NUMERO DEI DIPENDENTI”

Brano estratto dalla motivazione del decreto del Tribunale di Rimini, 7 gennaio 2016, n. 11/2016, estensore il Giudice del Lavoro Luigi Ardigò, nella causa promossa da un dipendente contro l’ente pubblico suo datore di lavoro – In argomento v. anche la sentenza della Corte di Cassazione n. 24157/2015 e l’articolo di Luigi Olivieri del 10 dicembre 2015, con la mia nota di commento, che richiamo qui anche in riferimento a quest’ultima sentenza..

 

[…] si ritiene che, allo stato, non possa negarsi l’applicazione ai rapporti di lavoro pubblico della disciplina attualmente vigente in materia di licenziamenti dal punto di vista sia sostanziale che processuale.

Depone in tal senso l’art. 51 del d.lgs. 165/2001 (T.U.P.I.) che stabilisce che “Il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche è disciplinato secondo le disposizioni degli articoli 2, commi 2 e 3, e 3, comma 1. La legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti.”

Il rinvio allo statuto dei lavoratori, per quel che interessa in materia di licenziamento, è operato, infatti, con l’utilizzo della tecnica del rinvio mobile che recepisce il contenuto di norme collocate in altre fonti adeguandosi automaticamente all’evoluzione delle medesime, dal che consegue l’applicazione del nuovo art. 18 St. lav. (e del rito speciale che il predetto articolo richiama) anche al pubblico impiego privatizzato.

La tesi contraria non chiarisce come sia possibile, a fronte di una lettera così chiara che la riforma non ha corretto né intaccato, dettando disposizioni transitorie, considerare il rinvio di tipo recettizio – e, per l’effetto, porre a base delle decisioni sui licenziamenti pubblici – il vecchio art. 18 St. lav. abrogato dalla legge 92/12, determinandone una sopravvivenza a tempo indeterminato che la norma sopra riportata e la carenza di una espressa salvezza delle disposizioni precedenti paiono inequivocabilmente escludere.

La legittimità del recesso dal rapporto di lavoro oggetto di causa, intimato con provvedimento in data 15\12\2014 nella piena vigenza della riforma dovrà, dunque, essere vagliata alla luce del nuovo art. 18 St. lav. e la presente controversia, nella fase di merito, andrà trattata con il rito speciale imposto dall’art. 1, commi 47 e ss. della legge 92/2012 a tutela dell’interesse di entrambe le parti alla celere definizione del giudizio.

Detto rito, infatti, a differenza di quello disegnato dagli artt. 702 – bis e ss. c.p.c. non ha carattere opzionale e non è, perciò, a disposizione della parte che, sull’assunto di una prognosi di sommarietà dell’istruttoria, abbia interesse a velocizzare la causa, ma è funzionale all’interesse pubblico ad una risposta rapida che la Giustizia deve dare in ordine alla prosecuzione del rapporto.

Sotto altro aspetto va detto che l’articolo 42 della legge di riforma n. 92\2012 ha modificato il testo dell’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 prevedendo in particolare ai commi quarto e quinto che : “ 4) Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione…..5) Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo …”.

La riforma in sostanza ha quindi mantenuto ferme le vecchie causali di licenziamento delineate dalla legge 604/1966 (giusta causa e giustificato motivo soggettivo), ma ha diversificato le tutele in caso di illegittimità del licenziamento per il caso in cui “non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore” ; ed ha ammesso la reintegrazione nel posto di lavoro (associata ad una indennità massima di 12 mensilità di retribuzione) soltanto in due ipotesi: la prima, nel caso in cui “il fatto contestato non sussiste”; e la seconda, allorché “il fatto rientra tra le condotte punibili solo con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti o dei codici disciplinari applicabili”.

In tutte le “altre ipotesi” , secondo la nuova versione dell’art.18, non opera più la reintegrazione nel posto di lavoro ed il giudice, dichiarando risolto il rapporto di lavoro, deve riconoscere soltanto un’indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale.

[…]

Sulla base di questa enunciazione del principio di diritto, il Tribunale di Rimini ha rigettato – nella fase del giudizio sommario di natura cautelare previsto dalla legge Fornero del 2012 – il ricorso del dipendente contro il licenziamento disciplinare intimatogli dall’ente pubblico datore di lavoro.

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