SULL’ESITO DELLA VICENDA INNSE

OCCORRE CHIEDERSI SE PER I LAVORATORI COINVOLTI LA SOLUZIONE PIU’ VANTAGGIOSA SIA DAVVERO IL MANTENIMENTO IN VITA A TUTTI I COSTI DELLA VECCHIA STRUTTURA. A MILANO, ANCHE IN QUESTO PERIODO DI CRISI, LA DOMANDA DI OPERAI QUALIFICATI E SPECIALIZZATI SUPERA L’OFFERTA: SE CI SI FOSSE MOSSI PER TEMPO, IN TRE O SEI MESI TUTTI I 50 ULTIMI RIMASTI DELLA INNSE AVREBBERO PROBABILMENTE POTUTO ESSERE RIQUALIFICATI E RICOLLOCATI CON PROSPETTIVE PROFESSIONALI ED ECONOMICHE MIGLIORI
Testo integrale dell’intervista a cura di Paolo Bricco pubblicata (in formato ridotto, per ragioni di spazio) su Il Sole 24 Ore del 13 agosto 2009. Sull’esito della vicenda Innse v. anche la lettera sul lavoro pubblicata sul Corriere della Sera il 5 agosto 2009.

Ritiene che la risoluzione del caso Innse, con una mediatizzazione così spinta, sia un unicum, oppure ci sono degli elementi in questa vicenda che possono ripetersi nelle prossime crisi aziendali?
Non è un caso isolato. In molti altri casi analoghi alla fine si è trovato e anche in futuro si troverà l’imprenditore disposto a rilevare l’azienda; in molti altri casi no. Quello che occorre chiedersi, piuttosto, è un’altra cosa.
Quale?
Se sia questa la soluzione più vantaggiosa per i lavoratori coinvolti. A Milano, anche in questo periodo di crisi, la domanda di operai qualificati e specializzati supera l’offerta. Con interventi di riqualificazione mirata ben impostati, i 49 della Innse avrebbero potuto essere ricollocati molto prima, con guadagno professionale loro e con minore spesa pubblica.
Le relazioni industriali classiche hanno fallito in qualche modo?
Direi piuttosto che ha fallito il nostro modo di affrontare le crisi occupazionali. Paghiamo il costo molto alto di una schizofrenia del nostro sistema.
In che senso?
Nel senso che in linea teorica il nostro ordinamento lascerebbe libero l’imprenditore nella scelta di ridurre il personale o chiudere un’azienda, ma di fatto vige la regola che queste scelte, nelle imprese di dimensioni grandi o medie, si possono compiere soltanto con il consenso del sindacato. Sarebbe assai meglio tornare per davvero al principio della insindacabilità delle scelte imprenditoriali, responsabilizzando però l’imprenditore riguardo al costo sociale delle sue scelte. Libero di chiudere, ma sostenendo il costo di un servizio di outplacement efficiente.
Il coinvolgimento della prefettura è stato importante. Come giudica il ruolo del pubblico?
La Prefettura si è mossa molto bene, dato il contesto. Ma è sbagliato che una questione come questa debba essere affrontata come questione di ordine pubblico. Il ruolo del pubblico dovrebbe essere semmai tutt’altro: quello di fornire a lavoratori e imprese servizi efficienti di orientamento e riqualificazione professionale, ricerca intensiva della nuova occupazione, assistenza integrale alla mobilità. Poiché il pubblico non lo sa fare, dovrebbe incominciare a realizzarlo il sistema delle imprese.
Cosa succederà in autunno, se le crisi aziendali dovessero moltiplicarsi?
I problemi si acuiranno. Per questo è urgente che ci dotiamo di strumenti più moderni di governo delle crisi aziendali. Occorre garantire ai lavoratori che la crisi non costituirà per loro una catastrofe economica e professionale: al contrario, si garantirà loro un robusto e duraturo sostegno del reddito, e si investirà sulla loro professionalità, in modo da incrementare il loro patrimonio professionale e il loro appeal nel mercato.
Alla fine un imprenditore, Camozzi, ha rilevato l’azienda per un interesse economico. Al di là del tema delle relazioni industriali, esiste anche un problema di efficienza economica? Che cosa non ha funzionato nell’incontro fra domanda e offerta: mi spiego meglio, nelle crisi industriali perché si fa fatica a mettere in contatto le aziende in crisi ma ancora sane con gli imprenditori sani e liquidi?
Perché non siamo ancora capaci di attivare gli strumenti di cui si è detto prima: anche in una zona ricca come quella di Milano, dove il mercato del lavoro produce decine di migliaia di assunzioni ogni mese, anche in questo periodo di crisi grave, questo mercato del lavoro è visto dai lavoratori con terrore, come una trappola infernale. Il mercato del lavoro, invece, è e deve diventare sempre di più una grande risorsa, la vera garanzia di sicurezza per i lavoratori, in un sistema economico in continuo movimento.

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