DIECI ANNI IN PARLAMENTO: LUCI E OMBRE

“Sono io che ho informato il partito, già da mesi, che non intendevo ricandidarmi: sono uno studioso prestato alla politica e non un politico di professione” – “Ho ancora qualche cosa da offrire alla politica italiana, ma in questa fase posso rendermi più utile tornando al mio mestiere di studioso e opinionista”

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Intervista a cura di Elisa Calessi, pubblicata su
Libero il 5 febbraio 2018 – In argomento v. anche l’intervista di Giorgio Tonini pubblicata sul quotidiano Il Dolomiti il 5 gennaio, e la lettera di Antonio Padoa Schioppa dell’8 gennaio con la mia risposta     .
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Il lavoro e il mercato

Il lavoro e il mercato, Mondadori, 1996

Pietro Ichino è il padre del Jobs Act. Fu lui il primo a proporre il contratto a tutele crescenti nel lontano 1996. Lo tradusse in disegno di  legge nel 2009, quando venne eletto senatore del Pd. Alle elezioni del 2013 si presentò con il partito di Monti. Poi, quando venne eletto segretario del Pd Matteo Renzi, che aveva fatto proprie le sue idee, rientrò nel Pd per collaborare alla loro traduzione nel Jobs Act. Non sarà ricandidato.

Professor Ichino, perché non si ricandida? È una sua decisione o non glielo hanno chiesto?
Un primo motivo è, diciamo così, di correttezza politica: il Pd ha fissato il limite delle tre legislature, e io ho fatto tre legislature.

Però la prima risale a trentacinque anni fa: fu l’ottava. E nelle file di un altro partito, il Pci.
È vero, ma anche quella contribuisce a riempire il mio curriculum. Ho sempre detto – e questo è il secondo motivo della mia scelta – che sono uno studioso prestato alla politica e sono convinto che sia così. Ho ancora qualche cosa da offrire alla politica italiana, ma posso rendermi più utile, in questa fase, tornando al mio mestiere di professore e di opinionista, che nelle vesti di parlamentare.

Paolo Gentiloni e Matteo Renzi

Paolo Gentiloni e Matteo Renzi

Renzi o qualcuno del Pd l’ha chiamata per informarlo?
Sono io che ho informato loro, già da mesi, che non intendevo ricandidarmi.

Nelle liste del prossimo Parlamento ci sono pochissimi professori o intellettuali. Secondo lei perché?
Forse perché tutti, sia i professori sia i dirigenti politici, si sono accorti che il mestiere dello studioso e quello del politico sono molto diversi. Lo studioso deve dire tutto ciò che emerge dai suoi studi senza alcuna preoccupazione circa l’impopolarità di quel che dice. Il politico, invece, ha il compito di raccogliere il consenso sulle idee giuste anche a breve termine, e quindi anche al costo di qualche compromesso. È un mestiere difficile, che per molti aspetti è incompatibile con quello dello studioso, ed è certamente sempre incompatibile con quello dell’opinionista.

Perché?
Perché il pubblico cui lo studioso e l’opinionista si rivolgono deve poter fare un affidamento totale sulla loro indipendenza rispetto alle forze politiche in campo. Né l’uno né l’altro possono essere soggetti a una disciplina di partito o di gruppo in quel che dicono o scrivono. Disciplina cui invece il buon politico deve assoggettarsi, se vuole che la sua azione sia efficace.

Il premio per il miglior parlamentare dell'anno - 2009

Il premio per il “miglior parlamentare dell’anno” 2009

Qual è il suo personale bilancio di questi anni da parlamentare?
Non spetta a me fare questo bilancio. Osservo solo che sono entrato in Senato nel 2008 con un progetto di riforma del lavoro che allora molti consideravano irrealizzabile, e ne esco dieci anni dopo con quel progetto per almeno tre quarti realizzato. E con due riconoscimenti della bontà del mio lavoro in Senato, a cui tengo molto: il premio del Riformista per il miglior parlamentare del 2009, e il titolo di “Parlamentare-Martello” assegnatomi ultimamente dal Foglio.

C’è qualcosa che l’ha delusa?
La cosa più deludente è stato constatare quanto poco le amministrazioni siano pronte a implementare le nuove leggi che il Parlamento vara; e, per altro verso, quanto esse siano più potenti del Parlamento. Poi, constatare quanto la nostra politica viva di improvvisazione. Nei Paesi più evoluti le riforme vengono progettate accuratamente e, ove possibile, partono da sperimentazioni limitate, perché possano esserne valutati pragmaticamente gli effetti. Nella nostra politica manca quasi del tutto il metodo sperimentale: e lo dico in riferimento a tutti i partiti, il mio compreso. Forse anche perché il metodo sperimentale richiederebbe governi stabili, che possano operare con l’orizzonte quinquennale di un’intera legislatura.

È meglio fare il professore o il senatore?
Dal punto di vista della qualità della vita, è molto migliore quella del professore. Certo, è meno ricca di emozioni.

Ritornerebbe in Parlamento se glielo chiedessero?
Ho 68 anni: se ho detto di no ora, è perché penso che il mio servizio civile in Parlamento sia terminato. Il mio impegno politico, ovviamente, continua in altre forme e in altre sedi.

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