QUELLO CHE MANCA NEL DECALOGO DEL PD PER LA RIFORMA DELL’UNIVERSITA’

ANCORA TROPPO GENERICHE LE PROPOSTE SULLA MISURAZIONE E VALUTAZIONE DELLA DIDATTICA E DELLA RICERCA; E TROPPA RILUTTANZA AD APPLICARE SUBITO GLI INDICI DI EFFICIENZA E PRODUTTIVITA’ GIA’ DISPONIBILI
Articolo di Andrea Ichino pubblicato su Il Sole 24 Ore del 31 ottobre 2008


Finalmente il PD ha reso noto che cosa avrebbe fatto per l’università italiana al posto del Ministro Gelmini. È un bene che queste proposte siano arrivate mentre le piazze si riempivano ieri della protesta popolare, per dimostrare che questa protesta non è fatta solo di slogan “contro”. Però, purtroppo, la montagna ha partorito poco più che un topolino. Non ci sono, infatti, rivoluzioni copernicane nelle affermazioni generali di principio e nelle proposte specifiche del Governo ombra (http://www.partitodemocratico.it/gw/producer/dettaglio.aspx?ID_DOC=62702), soprattutto in quelle che parlano retoricamente di valutazione del merito senza dirci concretamente come farla.

Il PD si dichiara contro i tagli ai bilanci degli atenei, ma non spiega dove reperire i fondi necessari per coprire la spesa attuale e, tanto meno, come aumentarla. Avrebbe potuto affermare la necessità di tagliare risorse almeno a chi nel passato ha sperperato denaro pubblico, ad esempio assumendo troppo e male, soprattutto visti i numerosi richiami a premiare il merito. Nulla invece viene detto riguardo al fatto che i problemi di bilancio degli atenei derivano in gran parte dalle esorbitanti spese per le retribuzioni, che crescono solo in base all’anzianità senza alcuna differenziazione legata ai risultati. Cosicché i giovani fanno la fame, mentre gli anziani sono pagati tanto e, spesso, immeritatamente. Il PD su questo non prende posizione, mentre è improrogabile la necessità di ridurre il monte salari degli atenei, aumentando al tempo stesso le retribuzioni di chi merita stipendi maggiori.
Ma ancor più sorprende, il fatto che il PD non consideri, tra le opzioni percorribili per il finanziamento dell’istruzione terziaria, un aumento delle tasse universitarie a coloro che possono permettersi di pagarle. Trattandosi di un partito di sinistra ci deve spiegare il perché di questa posizione, dato che sono in molti a ripetere fino alla nausea che un’università gratuita per tutti implica che i poveri paghino l’università ai ricchi.

Chi si oppone ai tagli ha almeno l’onere di indicare in modo concreto e preciso come spendere meglio le poche risorse disponibili, ma la concretezza, almeno in questo documento, non è una virtù del governo ombra. Il Ministro Gelmini ha, ad esempio, proposto di utilizzare il 30% dei risparmi sui costi per premiare gli insegnanti meritevoli. Non è chiaro se nelle sue intenzioni questo debba valere solo per le scuole o anche per le università e con quali criteri ella intenda distribuire i premi. Ma il Governo ombra avrebbe potuto rilanciare su questa proposta del Governo ufficiale dando indicazioni concrete su come passare da un sistema di distribuzione a pioggia delle risorse (e dei tagli) ad un sistema che premi i comportamenti virtuosi e punisca gli sprechi. Si limita invece a proporre genericamente di “incentivare i migliori” e di attivare rapidamente l’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR). Ma proprio riguardo a questa agenzia ci voleva poco per dare un messaggio meno generico. Bastava ad esempio indicare come modello il sistema di valutazione del pre-esistente Comitato di Indirizzo per la Valutazione della Ricerca (CIVR), che ha operato benissimo senza che al suo lavoro, fondato sulla peer review di esperti anonimi internazionali, sia stato dato alcun seguito reale in termini di distribuzione delle risorse. Perchè il Ministro ombra Garavaglia non dichiara esplicitamente che l’ex Ministro Mussi ha sbagliato nel non proseguire l’esperienza del CIVR?

È positivo, nel programma del PD, il richiamo alla necessità di dare maggiore autonomia a scuole e università nella gestione delle risorse e nella predisposizione dei programmi formativi. La liberalizzazione dei concorsi locali per il reclutamento dei professori è una buona cosa purché sia introdotta insieme alla minaccia credibile di tagli drastici dei fondi pubblici in caso di assunzioni di scarso valore o peggio nepotistiche. Ma oltre a questo punto, l’invito a dare autonomia agli atenei resta generico e il documento del PD è invece pieno di altre prescrizioni ispirate al principio che sia necessario governare dal centro i comportamenti delle istituzioni scolastiche, ad esempio in tema di promozioni dei professori (chissà perché il PD vuole lasciare libertà locale di reclutamento, ma vincola centralmente gli scatti di carriera) e di governance. Preoccupa inoltre moltissimo la richiesta di confermare il reclutamento straordinario previsto dal Governo Prodi, che aveva tutti i caratteri dell’ennesima disastrosa promozione “ope legis” di chiunque sia precario solo per il fatto di esserlo.

Il documento del governo ombra lamenta poi che la privatizzazione delle università comporta “pericoli sociali e culturali senza garanzie di vero miglioramento”, ma non spiega cosa siano questi pericoli. Qui emerge l’atavica paura della sinistra per l’impresa, il privato e il mercato. Come se l’alternativa fosse soltanto tra la situazione attuale e un mercato selvaggio e hobbesiano. Forse, aprendosi ai privati, si percorre una strada in fondo alla quale c’è un precipizio potenzialmente pericoloso. Ma non si vede perché imboccare quella strada debba necessariamente implicare la caduta nel precipizio. Ci si può facilmente fermare prima con enormi benefici e gli esempi per farlo nel panorama internazionale sono infiniti anche senza scomodare il sistema americano tanto temuto dalla sinistra (ma una volta a Veltroni non piaceva l’America?).

Un’altrettanto atavica paura tradizionale della sinistra è quella della differenziazione tra atenei di serie A e di serie B. Questa paura emerge nella proposta del PD che richiede “Più finanziamenti pubblici al sistema universitario e par condicio tra le università”. Cosa si intende per par condicio, se dobbiamo valutare gli atenei e premiare quelli migliori? La pretesa demagogica di garantire a tutti un’istruzione universitaria identica impedisce alla scuola di annullare le differenze di origine familiare e non aiuta i meno abbienti. Né li aiuta un’astratta e burocratica certificazione del valore legale del titolo di studio, su cui il Governo ombra non si pronuncia (incomprensibili in proposito sono i timori di Marina Boscaino sull’Unità del 30 ottobre). L’ “outsider nero” Obama è diplomato alla Harvard Law School, il cui valore non deriva certo da una certificazione legale: perché Veltroni non lo chiama per chiedergli cosa pensa delle differenze di qualità tra le università americane?

Nei sistemi universitari che funzionano bene, gli atenei migliori attirano gli studenti migliori, selezionandoli attraverso test standardizzati per misurare la loro performance nella scuola superiore. E questo va soprattutto a vantaggio dei poveri che in questo modo possono competere con chi invece è protetto dai contatti familiari. Il Governo ombra propone borse di studio distribuite in base al merito e al reddito familiare, ma non indica in concreto come finanziarle (perché ad esempio non farlo con le tasse universitarie pagate dai ricchi?) e quali criteri usare per distribuirle. Soprattutto non si trova nel programma del PD nessuna critica della posizione ipocrita di chi crede che per realizzare il diritto allo studio si debba concedere a chiunque l’ammissione all’università e la possibilità di andare fuori corso, con il risultato di dare a tutti un’istruzione di pessima qualità invece che concentrare le risorse su chi veramente ha voglia di studiare e i meriti per farlo: stiamo parlando di università, non della Scuola di Barbiana!

andrea.ichino@unibo.it

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