SU VOUCHER E RIDERS DUE LOGICHE CONTRADDITTORIE

Da una parte il Governo si pone in contrasto frontale con la rivendicazione della Cgil, che nel 2017 promosse il referendum per sopprimere i buoni-lavoro, mentre dall’altra lo stesso Governo accoglie la rivendicazione della Cgil, che chiede l’applicazione integrale delle protezioni del lavoro ordinario ai riders della gig-economy

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Testo integrale dell’intervista a cura di Nicola Lillo, pubblicata con un taglio per motivi di spazio da
la Stampa il 18 giugno 2018 – In argomento v. anche La svolta indispensabile su voucher e appalti, e l’editoriale telegrafico Chi ha paura del lavoro marginale? .
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Professor Pietro Ichino, giuslavorista ed ex senatore, nel cosiddetto contratto di governo di Lega e Movimento 5 Stelle è prevista la reintroduzione dei voucher. Condivide l’ipotesi dei due partiti?
Sì: ho fortemente disapprovato la drastica restrizione disposta dal legislatore nella primavera dello scorso anno, sotto la pressione del referendum abrogativo promosso dalla Cgil. Osservo però che diversi parlamentari M5S in quell’occasione presero una posizione accesamente favorevole all’iniziativa della Cgil.

I detenuti del carcere di Bollate che con i voucher potevano svolgere una attività esterna di catering

Quali effetti negativi ha portato, a suo avviso, la stretta disposta dal governo Gentiloni?
Nel corso del 2016 erano stati pagati per mezzo dei buoni-lavoro 134 milioni di ore di lavoro. La Cgil lo considerava un numero eccessivo; ma rispetto agli oltre 40 miliardi di ore lavorate in quell’anno era soltanto lo 0,03 per cento: cioè una frazione di lavoro occasionale del tutto normale, che in quel modo era stato sottratto all’economia sommersa. Di quella frazione di lavoro occasionale, ora nel sistema del lavoro regolare oltre il 95 per cento sembra essersi perso o essere tornato al nero.

Come potrebbe essere disciplinato un nuovo meccanismo che preveda nuovamente l’uso dei buoni lavoro?
Il sistema del pagamento attraverso la nuova piattaforma Inps, introdotto nell’aprile scorso, funziona. Il problema è costituito dalla drastica limitazione dei datori di lavoro che possono accedervi: famiglie o imprenditori di dimensioni minime, comunque per un importo complessivo annuo massimo bassissimo. Basterebbe rimuovere quella limitazione. Inoltre la retribuzione minima oraria di 9 euro dovrebbe essere modulata in relazione al costo della vita in ciascuna regione o macro-regione: al nord può andar bene, ma certo non in Calabria o in Lucania, dove infatti l’utilizzazione si è azzerata.

L’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi propone inoltre di detassare il lavoro breve e non sottoporlo a contenzioso in quanto né subordinato né autonomo. E’ una via percorribile?
Sacconi fa riferimento all’esperienza tedesca dei “mini-jobs”, che non sono soltanto detassati, bensì anche esentati da contribuzione pensionistica. Questi lavori, nella RFT, sono a part-time con orario molto ridotto, retribuiti fino a un massimo di 450 euro al mese, ma sono una cosa diversa dal lavoro occasionale. L’idea è quella di favorire l’emersione della domanda del cosiddetto lavoro “interstiziale”: una attività che può anche essere continuativa, ma è offerta da giovani, pensionati, casalinghe, che hanno interesse a conciliare questa attività con altri impegni quotidiani preponderanti e che altrimenti si manterrebbero fuori del mercato del lavoro. Come in ogni altro caso, la questione dovrebbe essere risolta pragmaticamente, mediante un esperimento impostato in modo scientifico, che consenta di valutare con precisione i costi e i benefici di una misura di questo genere nel nostro Paese.

Una rider di Foodora

Ora il ministro del Lavoro Di Maio annuncia anche un decreto-legge per imporre il riconoscimento dei riders della gig-economy come lavoratori subordinati ed estendere loro tutte le protezioni.
Applicare pari pari il diritto del lavoro ordinario all’attività dei ciclo-fattorini collegati via cellulare alla centrale che smista le chiamate significherebbe impedire questa forma di organizzazione del lavoro: i lavoratori non sarebbero più liberi circa il se e quando presentarsi al lavoro, se e quando rispondere alle chiamate; e l’impresa perderebbe un fattore di flessibilità essenziale nell’organizzazione del servizio. Il risultato sarebbe una drastica contrazione di questo settore di attività e la perdita di qualche decina di migliaia di occasioni di lavoro marginali, ma di contenuto economico complessivo non irrilevante. Colpisce l’incongruenza con la preannunciata reintroduzione dei voucher.

Perché incongruenza?
Perché da una parte il Governo, facendo propria l’impostazione più pragmatica della questione, per consentire lo sviluppo di attività economiche marginali, si porrebbe in contrasto frontale con la rivendicazione della Cgil, che nel 2017 promosse il referendum per sopprimere i buoni-lavoro; mentre dall’altra lo stesso Governo accoglierebbe la rivendicazione della Cgil, che chiede l’applicazione integrale delle protezioni del lavoro ordinario ai riders della gig-economy, anche al costo di un drastico ridimensionamento di questo settore marginale di attività.

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