SERGIO: L’AVVOCATO CHE PRENDEVA SU DI SÉ LE ANSIE DEI CLIENTI

Nel diritto del lavoro l’avvocato deve svolgere un ruolo di “cura d’anime”, aiutando la persona assistita a trovare la via d’uscita soddisfacente da una selva selvaggia nella quale i “rovi” dai quali è più difficile districarsi talora non sono quelli di natura giuridica, ma quelli nascenti da aspettative coltivate a lungo e da risentimenti personali


Articolo pubblicato sul
Corriere della Sera il 3 settembre 2018
.
.

Sergio Barozzi

Sergio Barozzi era uno di quegli avvocati – non tutti, ma fortunatamente abbastanza numerosi per tenere alta la bandiera della professione forense – che considerano come proprio compito prioritario ridurre al minimo l’ansia del cliente prendendola su di sé. Per intenderci, l’esatto contrario dell’Azzeccagarbugli, che per il proprio tornaconto complica le cose: Sergio era uno di quegli avvocati eccellenti che non seminano le proprie risposte di dubbi, di complicazioni, di oscurità, di “dipende”, di “decida lei”, ma valutano lucidamente le circostanze e si assumono la responsabilità di indicare la via da seguire, essendo davvero in grado di individuare la migliore. E sapendo che per lo più la migliore, per i clienti, non è quella giudiziale.

Quando lo ho incontrato come avversario ho sperimentato la grandezza della professione forense svolta come si deve. Ho avuto di fronte un avvocato dedito fino in fondo all’interesse del suo assistito, quindi senza alcuna tendenza più o meno palese a preferire le astrusità, o ad attivare qualche procedura giudiziale pur di impinguare la parcella; ma un avvocato proprio per questo impegnato a spogliare la controversia di ogni scoria di risentimento personale e andare al cuore della questione per trovare con il collega avversario, se anche questi intende la professione allo stesso modo, la soluzione più logica e meno costosa per entrambe le parti. “Se i due avvocati avversari sono competenti, e fanno entrambi il loro dovere – diceva –, lo spazio per l’accordo ci deve essere”. E con lui, quando le nostre strade si sono incontrate, lo ho sempre trovato.

Nel campo del diritto del lavoro, che era il suo, questo modo di intendere il mestiere dell’avvocato è particolarmente difficile da praticare, perché il coinvolgimento della persona del lavoratore nella controversia è molto maggiore che nella maggior parte degli altri casi: è pari soltanto al coinvolgimento personale delle parti nelle controversie di diritto familiare. Particolarmente importante, dunque, è il ruolo di “cura d’anime” che qui l’avvocato deve svolgere, aiutando la persona assistita a trovare la via d’uscita soddisfacente da una selva selvaggia nella quale i “rovi” dai quali è più difficile districarsi talora non sono quelli di natura giuridica, ma quelli nascenti da aspettative coltivate a lungo e da risentimenti personali. Sergio in questo era un maestro: capace di perseguire l’interesse del cliente – quando era ben convinto di quale esso fosse – anche a costo di qualche dissapore col cliente stesso. Era un po’ visionario: nelle questioni di interesse più generale, come in quelle particolari. Usava dire “La soluzione migliore c’è sempre; spetta al buon avvocato trovarla, ma talvolta la cosa più difficile è convincerne il cliente”.

Chi lo ha conosciuto meglio di me e più da vicino lo ricorderà anche per il suo attaccamento alla famiglia, la sua passione per lo sport – il rugby e il calcio in particolare – e per i viaggi. A me è dato ricordarlo per questa sua frase: “Una soluzione si deve trovare sempre”. E sento come un paradosso atroce che l’altro ieri non la si sia trovata per salvarlo dalla puntura di un insetto.

.

Stampa questa pagina Stampa questa pagina

 

 
 
 
 

WP Theme restyle by Id-Lab