IL POMPIERE RAPINATORE E IL GARANTISMO A SENSO UNICO

Ci sono anche giudici del lavoro convinti che una “rapinetta di differenziata pericolosità sociale” si può anche tollerare, per una volta sola s’intende, da un dipendente pubblico incensurato

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Brano estratto dal libro
Il lavoro ritrovato (Milano, 2015 pp. 14-16) – Per alcuni altri casi di sentenze anomale in tema di licenziamento, v. la raccolta proposta su questo sito..

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Il garantismo che anima molti giudici del lavoro è vistosamente a senso unico: è tutto rivolto a tutelare il lavoratore in quanto tale, anche al costo di sguarnire delle garanzie dovute l’utente, il cittadino al cui servizio quella persona è posta. Ma attenzione: l’una e l’altro sono poi, in concreto, nella stragrande maggior parte dei casi, la stessa persona che di volta in volta figura come lavoratore o come cittadino/utente/consumatore; e che in quest’ultima sua veste finisce col pagare a usura il beneficio goduto in veste di lavoratore.

Leggiamo insieme l’incredibile motivazione della sentenza con la quale, il 10 aprile 2003, il Tribunale di Siena ha riammesso al lavoro un vigile del fuoco colto in flagranza mentre compiva una rapina a mano armata nei confronti di una banca. Qui siamo nel settore pubblico, dove i contratti collettivi prevedono che nel caso in cui ci sia un procedimento penale in corso a carico del lavoratore, quando l’amministrazione ritenga l’accusa probabilmente fondata questi non venga licenziato subito, ma sospeso cautelarmente dal lavoro e dalla retribuzione, in attesa della sentenza.

Il nostro pompiere viene dunque preso nel corso di una rapina e quindi sospeso dal suo Corpo, in attesa della sentenza penale. Lui ricorre contro la sospensione, che costituisce di fatto un’anticipazione del licenziamento vero e proprio, e il giudice – ostentando del tutto a sproposito grande cultura cinematografica – gli dà ragione con la motivazione che segue:

“verosimilmente, la violenza o minaccia, costitutive della fattispecie, sono commesse con armi (forse giocattolo), con travisamento della persona, senza potersi escludere tuttavia la possibilità di concrete circostanze atipiche del fatto, tali da non ricondurre il delitto alla tipologia di quello ideato in Rapina a mano armata, di Stanley Kubrik, risalente al lontano 1956, anche nel quale, peraltro, il protagonista (Sterling Hayden) dice alla fidanzata: ‘vedi, nessuno di loro è un vero e proprio criminale, hanno tutti un lavoro e apparentemente conducono una vita normale, ma hanno i loro problemi’ (tematica ancor più esaltata dal recente film L’homme du train di Patrice Leconte, 2002). Non vuole essere questo l’‘elogio della rapina’” – e meno male! – “non potrebbe certo provenire, se non altro, da un giudice che voglia continuare a fare almeno per un poco il proprio mestiere, intendendosi solo richiamare l’attenzione sulla concreta, differenziata, pericolosità sociale che un delitto, al di là del suo nome, si presta a rivelare, e sempre insufficiente, senza conoscere la storia della persona”.

In altre parole: c’è rapina e rapina. E una rapinetta “di differenziata pericolosità sociale” si può anche tollerare, per una volta sola s’intende, da un dipendente pubblico incensurato; anche se svolge una funzione nella quale gli è affidata la sicurezza delle persone e delle cose altrui, per la quale normalmente si richiede una piena affidabilità personale. La motivazione della sentenza prosegue ammettendo che

“può apparire scandaloso riammettere almeno temporaneamente in servizio un vigile del fuoco rapinatore”;

ma avvertendo che questo scandalo cede di fronte allo scandalo peggiore della convalida di un licenziamento:

“dobbiamo tuttavia ritenere vergognoso rovinare prima di una condanna (la cui esecuzione pur dovrà tendere alla ‘rieducazione’ e al reinserimento sociale del condannato) una persona e la sua famiglia, la sua moglie e le sue figlie minorenni, per una sostanziale esigenza di immagine, di apparenza dell’istituzione [del Corpo dei vigili del Fuoco: si tenga il rapinatore e non faccia tante storie], in assenza di concreto pericolo in ambiente lavorativo e nella società per la riacquistata libertà personale e professionalità del lavoratore”.

Donde la reintegrazione nel posto di lavoro, con pagamento delle retribuzioni perse per effetto della sospensione cautelare.

In questa motivazione è molto significativo il riferimento esplicito alla moglie e alle figlie minorenni del lavoratore licenziato: il bravo avvocato difensore non avrà mancato di menzionare nel ricorso, se non addirittura fare venire all’udienza, questi membri del nucleo familiare del licenziato, per lanciare al giudice un messaggio cui questi è molto sensibile: “Vuoi davvero metterle alla fame, solo per una esigenza d’immagine del Corpo dei pompieri? Che colpa ne hanno queste povere creature? Perché dovrebbero essere punite anche loro per un errore del padre?” Argomenti che il giudice, come si è visto, coglie al volo.

Già, però in questo modo si banalizza persino la rapina a mano armata. Qualsiasi rapinato attuale o potenziale ha qualche motivo di insoddisfazione nei confronti di questo modo di intendere il garantismo.

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