UN’AGENDA PER IL NUOVO MINISTRO DEL LAVORO

Non mantenere in freezer i lavoratori la cui attività non potrà riprendere, ma aumentare il loro trattamento di disoccupazione e attivare subito i percorsi che possono condurli a rispondere alla domanda di lavoro insoddisfatta dei settori in crescita

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Intervista a cura di Franco Chiaramonte, pubblicata su
Strumenti Politici il 13 febbraio 2021 – In argomento v. anche Come si rafforza davvero il lavoro
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Nuvole nere sulle prospettive di occupazione, soprattutto di donne e giovani. E sta per scadere il blocco dei licenziamenti. Secondo lei che cosa deve fare il Governo Draghi su questo terreno?
Certo non prorogare il blocco: farebbe il danno dei lavoratori interessati.

Anche di quelli che così verranno licenziati?
Proprio di quelli. Gli altri, quelli per i quali si prevede una ripresa del lavoro, dal blocco non hanno né vantaggi né danni: con o senza, non rischiano comunque di esser licenziati. Quelli di cui dobbiamo preoccuparci sono gli addetti ad attività che non riprenderanno: ogni mese che passano in Cassa integrazione, senza interventi di riqualificazione e accompagnamento a un nuovo lavoro, diminuisce la loro possibilità di rioccuparsi.

Dunque che cosa dovrebbe fare il nuovo Governo?
Dovrebbe destinare il denaro che sta spendendo per una Cassa integrazione senza limiti e senza speranza ad aumentare semmai il trattamento di disoccupazione per chi verrà licenziato dopo il 31 marzo, assicurando l’80 per cento a tutti, senza tetto o con un tetto nettamente più alto rispetto all’attuale di circa 1.200 euro al mese; e ad attivare i percorsi di orientamento e formazione necessari per indirizzarli verso le aziende che cercano persone senza trovarle.

Lei nel suo ultimo libro (L’intelligenza del lavoro, Rizzoli) ha additato il milione di hard-to-fill-vacancies risultanti dall’indagine Unioncamere-Anpal come un insieme di “giacimenti occupazionali” che le politiche attive del lavoro dovrebbero incominciare a sfruttare. Ma Francesco Giubileo, su lavoce.info, riporta i dati risultanti dalle ricerche fatte dai navigator, dai quali risulterebbe che le hard-to-fill-vacancies siano molte di meno: 40.000 al massimo.
Se il dato dell’indagine Unioncamere-Anpal può essere sovrastimato, quello dell’indagine dei navigator a me sembra non possa proprio essere preso in considerazione: è noto, infatti, che un’impresa non comunica mai volentieri le proprie vacancies a un’agenzia che rappresenta una platea di possibili candidati pochissimo qualificati. E i navigator rappresentavano la platea dei fruitori di reddito di cittadinanza, ovvero persone… direi quasi per definizione molto lontane dal soddisfare le esigenze del tessuto produttivo. Ora ammettiamo pure che nella realtà le hard-to-fill- vacancies effettive siano la metà di quelle risultanti dall’indagine Unioncamere-Anpal: sarebbero comunque molte centinaia di migliaia di posti, distribuiti in tutti i settori di attività e in tutte le fasce di professionalità.

A proposito di navigator, lei rinnoverebbe il loro contratto di lavoro?
Li considero persone con una formazione di base mediamente adeguata; ma manca loro la formazione specialistica per la funzione che avrebbero dovuto svolgere. E, ancor più, manca il management che avrebbe dovuto organizzare il loro lavoro.

Che cosa occorrerebbe?
Un progetto complessivo di rilancio delle politiche attive su scala nazionale, in relazione al quale formare qualche centinaio di bravi dirigenti, attrezzati e responsabilizzati in relazione a obiettivi precisi. In quel progetto potrebbe rientrare anche la valorizzazione dell’esperienza svolta dai navigator, previa loro formazione specifica. Ma per questo occorrerebbe che l’ANPAL non fosse paralizzata da un presidente del quale a tutt’oggi, a due anni dall’assunzione della carica, non si capisce che cosa stia facendo.

Lei è stato un po’ l’ideatore dell’Assegno di Ricollocazione, quale strumento principale di politica attiva immediatamente accessibile nel momento in cui si perde il lavoro, o poco dopo. Finora ha funzionato poco o nulla. Ora di questo si torna a parlare nella legge di Bilancio e nel progetto per il Recovery Fund.  Che cosa si deve fare perché funzioni?
Per due anni, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2015, l’assegno di ricollocazione è stato letteralmente insabbiato dall’amministrazione statale. Poi, quando aveva appena incominciato a muovere i primi passi, è stato “dirottato” dal decreto-dignità, che lo ha tolto ai licenziati per darlo ai percettori di reddito di cittadinanza. Ma questi costituivano la platea meno adatta per questo strumento, avendo caratteristiche personali e professionali per lo più molto lontane dal tessuto produttivo. Ora dovremmo tornare ad affidare a questo strumento la funzione per cui era nato; ma anche per questo occorre un know-how che è tutto da sviluppare.

I Centri per l’Impiego riusciranno a scrollarsi di dosso l’immagine di uffici puramente burocratici, per accreditarsi come gestori di politiche attive efficaci?
Questa è la grande sfida, che a Milano stiamo cercando di vincere con il nuovo management di Afol Metropolitana, con l’ambizione di diventare un modello di riferimento sul piano nazionale. Anche in altre realtà qualche cosa si sta muovendo. Ma occorrerebbe un’iniziativa coordinata a livello nazionale, anche per far fruttare l’investimento che faremo su questo capitolo con il Next Generation Plan.

Come vede in questo ruolo Orlando ministro del Lavoro (foto qui a sinistra)? E Brunetta alla Funzione Pubblica?
Vedo in queste due nominr un messaggio politico abbastanza preciso: più apertura ai sindacati nel settore privato e più attenzione all’efficienza nel settore pubblico. Bene, purché l’apertura ai sindacati nel settore privato non significhi continuare a nascondere i disoccupati nel freezer della Cassa integrazione senza limiti.

Ora che il Governo Draghi è insediato, è ancora dell’idea che Renzi abbia sbagliato a innescare la crisi?
Quello che rimprovero a Matteo Renzi non è di aver aperto questa crisi, ma di non aver saputo e voluto porre la sua intelligenza politica al servizio dell’aggregazione dell’area liberal-democratica, con la quale anche il Pd ora avrebbe un gran bisogno di potersi confrontare.

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