CHE COSA DIVIDE SC DALL’UDC

I MOTIVI PER CUI LA SEPARAZIONE DELLE RAPPRESENTANZE PARLAMENTARI DEI DUE PARTITI È NECESSARIA

Terzo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 269, 28 ottobre 2013

Chiunque abbia seguito da vicino la vicenda parlamentare del decreto-legge n. 101 sulle cosiddette “stabilizzazioni” nelle amministrazioni pubbliche, elaborato e fortemente voluto dal ministro della Funzione pubblica D’Alia (UdC), ha potuto constatare come esso sia l’esatto contrario rispetto alle misure indicate nel programma di Scelta Civica in materia di spending review e politiche attive del lavoro. In quel decreto-legge, nella sua versione originaria, si esprimeva l’essenza di una filosofia e prassi politica che ha dominato per decenni nel nostro Paese e alla quale evidentemente l’UdC non ha rinunciato. Alla lettera del 4 settembre, nella quale il Presidente di SC Mario Monti rilevava cinque punti concreti di questa incompatibilità, Gianpiero D’Alia – che pure nel gennaio scorso aveva sottoscritto l’Agenda Monti, in funzione della propria candidatura nelle liste elettorali di SC – non si è sentito neppure in dovere di rispondere.

Chiunque abbia esaminato da vicino la proposta di Contratto di Coalizione presentata da SC al Presidente del Consiglio dei Ministri il 14 ottobre scorso ha potuto convincersi facilmente che essa non costituisce affatto un documento estremista volto a destabilizzare il Governo, ma al contrario un contributo molto concreto per il rafforzamento e la maggiore incisività dell’azione di Governo, oltre che una indicazione di metodo preziosa per il superamento della litigiosità tra PD e PdL. L’ostilità dell’UdC verso quella proposta e l’incompatibilità con essa dei suoi comportamenti pratici si spiega soltanto con una profonda divergenza della sua strategia politica rispetto a quella di SC.

Del resto, chiunque avesse letto l’intervista al Corriere della Sera della primavera scorsa nella quale Pierferdinando Casini definiva l’alleanza elettorale con Scelta Civica come un grave errore politico, e avesse poi sentito lo stesso leader dell’UdC ribadire lo stesso concetto in numerose altre occasioni, anche recentissime, aveva probabilmente già incominciato da tempo a chiedersi che cosa attendessero i parlamentari dell’UdC a lasciare i Gruppi parlamentari di SC alla Camera e al Senato.

Di fronte a chiusure così drastiche e a divergenze così profonde, la divisione delle rappresentanze parlamentari dei due partiti – decisa dal Consiglio Direttivo di SC il 22 ottobre scorso, pur con una delibera che dà opportunamente mandato al Presidente vicario di operare per una separazione consensuale, il meno possibile conflittuale – dovrebbe essere considerata un dovere di chiarezza per entrambe le formazioni politiche. Come si spiega la determinazione con cui l’UdC resta aggrappata a SC, se non con un inaccettabile opportunismo tattico?

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