DAVVERO FRODARE L’AZIENDA, SE NON È ABITUALE, NON GIUSTIFICA IL LICENZIAMENTO?

UN ALTRO CASO CHE DIMOSTRA LA NECESSITÀ URGENTE DI UNA PROFONDA RIFORMA DELLA DISCIPLINA DELLA MATERIA, ANCHE DOPO LA PARZIALE RISCRITTURA DELL’ARTICOLO 18 DA PARTE DELLA LEGGE FORNERO DEL 2012

Primo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 318, 8 novembre 2014 – In argomento v. anche È “giusto” o no licenziare il centralinista monoglotta?, del 28 settembre scorso, e Il ragionevole dubbio sulla colpa del lavoratore e la ragionevole sfiducia che ne consegue, del 3 ottobre.

Una Banca scopre che il capo di una propria filiale invia abitualmente i propri dipendenti, in orario di lavoro, a fare la spesa e altre commissioni di suo interesse personale; gli contesta questa grave mancanza e, sulla base dei risultati dell’indagine ispettiva, lo licenzia. Il licenziato impugna, ma il Tribunale convalida il licenziamento. Senonché, in secondo grado, la Corte d’Appello si pronuncia in senso opposto: osserva che dall’istruttoria sono risultati compiutamente provati soltanto due casi in cui è stato tenuto il comportamento contestato, dunque non è provato il suo carattere abituale. Donde la reintegrazione del lavoratore nel suo posto con tutti gli onori, oltre che con un lauto risarcimento del danno e con la condanna della datrice di lavoro alle spese legali. Avete capito bene: secondo la Corte d’Appello di Venezia frodare l’impresa datrice di lavoro può giustificare il licenziamento solo se è comportamento abituale, non se accade una volta o due (non importa che a tenere questo comportamento sia il capo di una filiale con coinvolgimento plateale dei dipendenti della stessa). E il peggio è che la Corte di Cassazione conferma la sentenza d’appello, rendendola definitiva. Lo fa con una dotta motivazione, pubblicata nei giorni scorsi (sentenza 6 novembre 2014 n. 23669), che merita di essere letta. Con una argomentazione bizantina e incomprensibile per chiunque non appartenga a una ristretta frazione dei magistrati e degli avvocati,  essa afferma un principio di diritto effettivamente corrispondente al contenuto della legge Fornero del 2012: in caso di insussistenza del fatto contestato il lavoratore licenziato deve essere reintegrato. Ma il modo in cui questo principio viene applicato nel caso concreto mostra con evidenza drammatica la distanza siderale che separa il nostro diritto del lavoro attuale, come interpretato e applicato nelle aule di giustizia, dalle esigenze del normale funzionamento di una qualsiasi impresa in un Paese europeo. E spiega perché una profonda riforma della disciplina della materia sia necessaria anche dopo la parziale riscrittura dell’articolo 18 da parte della legge Fornero del 2012.

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