LE DISAVVENTURE DI UN COLLOCATORE

Perché la funzione della mediazione fra domanda e offerta di lavoro non può essere svolta efficacemente dall0 stesso organo amministrativo che gestisce la disoccupazione sul piano burocratico


Articolo pubblicato sul quotidiano
Il Riformista il 26 ottobre 2021 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 4 novembre 2019, Quegli 82,4 posti scoperti ogni 100 disoccupati: ivi i link a ulteriori interventi in argomento; inoltre la lettera del 16 dicembre 2019 di un addetto ai Centri per l’Impiego toscani e la mia risposta, Sulla problematica condizionalità del reddito di cittadinanza
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Tra i molti ostacoli al buon funzionamento dei servizi per l’impiego, nel Centro-Nord pesano molto questi due: non si conoscono i veri disoccupati, e i giovani, privi di orientamento professionale, non accettano di svolgere i lavori che richiedano una attività manuale. Per mettere a fuoco meglio i due problemi, vediamo le difficoltà che incontra un addetto a un Centro per l’Impiego lombardo che vuol fare bene e fino in fondo il proprio mestiere di collocatore. Chiamiamolo Roberto.

Gli si è rivolta un’azienda artigiana che cerca un elettricista senza trovarlo. Roberto sfoglia le liste dei disoccupati per trovare una persona residente vicino all’azienda, che abbia un diploma di elettricista o abbia fatto questo mestiere in passato; ne trova alcune e cerca di convocarle. Senonché una è irreperibile nel luogo di residenza; di un’altra l’indirizzo e il numero di telefono sono sbagliati; altre due rispondono che nell’orario di apertura del CpI, dalle 8 alle 14, sono impegnate: potrebbero venire solo nella seconda metà del pomeriggio; un’altra ancora purtroppo è malata.

Finalmente uno dei convocati si presenta. Sta godendo del trattamento di disoccupazione. A Roberto, che gli prospetta l’occasione di lavoro, obietta di non essere sicuro di saper fare proprio ciò che l’azienda chiede: “Lo conosco quell’artigiano, so che cosa fa; ma io ho fatto l’elettricista in una grande impresa dove si facevano cose diverse”. Roberto insiste per indurlo ad accettare l’offerta. La risposta è: “Senta, parliamoci chiaro, ho ancora otto mesi di assegno da godere; ne riparliamo al termine del periodo”.

Roberto prova, allora, a cercare nella lista dei giovani in cerca di prima occupazione, formata in funzione del programma “Youth Guarantee” finanziato dall’UE. Dei ragazzi che risiedono vicino all’impresa, nessuno ha un diploma di elettricista. E soprattutto nessuno è disposto a impegnarsi a imparare questo mestiere. Hanno quasi tutti almeno un diploma di scuola media superiore, se non una laurea, e puntano a mansioni di tipo impiegatizio: non li hanno mai informati che metà delle assunzioni, in Italia oggi, riguardano lavori con un qualche contenuto manuale. Nessuno di loro, comunque, gradisce di andare a lavorare in un’impresa artigiana, che non garantisce “una vera stabilità”: non gli hanno mai spiegato che entrare in un’impresa artigiana può voler dire domani, quando il titolare andrà in pensione, ereditarne anche l’avviamento.

A questo punto, Roberto riconvoca quello che sta godendo dell’indennità di disoccupazione e gli fa un discorso molto serio: “o vai a fare l’elettricista, o ti faccio decadere dal trattamento di disoccupazione, per rifiuto ingiustificato di un’offerta di lavoro”. Quello ascolta, impassibile, poi capitola: “Se la mette così…”. E il giorno dopo si presenta all’artigiano. Il quale gli chiede:
– Che cosa sai fare?
– Mah, sì, ho fatto anche l’elettricista per qualche mese tempo fa, però in realtà non è proprio il mio mestiere.
– Veramente, dal Centro per l’Impiego mi hanno detto che hai fatto l’elettricista per tre anni.
– Sì, ma il mio vero mestiere è il magazziniere.
– Beh, proviamo…
– Se proprio vuoi perdere del tempo…
– No, guarda, perdere del tempo proprio no. Se non ti interessa questo lavoro, cerco qualcun altro.
– Credo che sia meglio. Però ti chiedo di dire al collocatore che l’esito del colloquio preliminare non è stato positivo. Perché se risulta che sono stato io a rifiutare, mi tolgono l’indennità di disoccupazione.

L’artigiano fra sé pensa: “è l’ultima volta che mi rivolgo a un Centro per l’Impiego per cercare un dipendente”.

Quanto a Roberto, però, lui non si rassegna: vuol dimostrare all’artigiano che il Centro per l’Impiego può rendergli un servizio utile. Mette dunque un avviso sulla bacheca, lo porta in tutte le sedi sindacali e le parrocchie della zona chiedendo che venga affisso, lo mette su Facebook. E due giorni dopo gli si presenta una tipa, che ha già lavorato in un’impresa di apparecchi elettrici di Imola, ma si è dimessa quando si è sposata e ha dovuto spostare qui in zona la residenza col marito. Si dice sicura di essere in grado, con un po’ di addestramento, di imparare il nuovo lavoro.
– È da molto che cerchi? – Le chiede Roberto.
– Da qualche mese.
– E perché non sei venuta a iscriverti qui come disoccupata?
– Perché, essendomi dimessa dall’azienda dove lavoravo, non potevo fruire dell’indennità di disoccupazione.

Post-scriptum – Anpal e Unioncamere avvertono che oggi in Italia le imprese in cerca di personale incontrano gravi difficoltà a trovarlo in un terzo dei casi, con la conseguenza che molte centinaia di migliaia di posti di lavoro restano permanentemente scoperti. E la cosa più impressionante è che questa difficoltà si registra in tutte le fasce di professionalità, dalle più basse alle più elevate, e più o meno in tutti i settori produttivi (anche se alcuni sono più colpiti di altri). La difficoltà di reperimento del personale adatto alle esigenze produttive costituisce anche un disincentivo rilevante all’insediamento nel nostro Paese di nuove aziende e al corrispondente all’afflusso di investimenti esteri.

 

 

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