CESARE RIMINI: CHI DIFENDE L’AVVOCATO DAL SUO CLIENTE?

IL GRANDE MATRIMONIALISTA INTERVIENE NEL DIBATTITO SUL POSSIBILE CONFLITTO DI INTERESSI TRA IL LEGALE E IL SUO ASSISTITO

Lettera dell’avvocato Cesare Rimini pubblicata dal Corriere della Sera il 5 maggio 2010, a seguito del mio articolo del 3 maggio – Segue una mia breve risposta

Caro direttore,
la lettera di Pietro Ichino in difesa dei clienti degli avvocati è ispirata a rigore e a severa autocritica per alcune devianze della nostra professione. Ichino parla degli avvocati in conflitto di interesse con il proprio cliente: consigliano la lite quando si dovrebbe consigliare la transazione, l¹accordo o l¹arbitrato.
In tutti i campi, in tutte le attività ci sono, per seguire la traccia in vecchio modo di dire, le mele marce e non c¹è dubbio che la forza di una categoria, di un Ordine è da sempre quella di mettere le mele marce in un angolo, e guai a creare una consorteria che protegga i colleghi, per principio, come fanno ad esempio i deputati o i senatori quando devono, o meglio dovrebbero, dare l¹autorizzazione a procedere contro i loro compagni di banco.
La la lettera di Pietro Ichino ha suscitato in me, perché ognuno ha i suoi vizi o forse anche i suoi vezzi, il desiderio di raccontare quello che mi è successo pochi giorni fa. Ho parlato a un congresso di quasi mille avvocati matrimonialisti a Bari e ho detto che, non solo come scrive Ichino, i clienti devono potersi difendere dai loro avvocati, ma che anche gli avvocati, e soprattutto gli avvocati matrimonialisti, devono a volte difendersi dai propri clienti, poter sanzionare, criticare, e se necessario, espellere i propri clienti.
Insomma il motto dei vecchi studi legali era “porta socchiusa per entrare, spalancata per uscire” e la deontologia dell¹avvocato, soprattutto di chi si occupa dei problemi che nascono nella famiglia in crisi, è proprio quella di dovere andare, se necessario, contro il proprio cliente, o meglio andare contro i desideri del proprio cliente. Laddove l¹avvocato vede che il cliente, nell¹ambito di una famiglia che si sfascia, ha atteggiamenti rancorosi, talora furenti, e che si riflettono sulla serenità dei figli, o peggio, quando vede che lui o lei vorrebbe rousare i figli come randelli per colpire l¹altro coniuge, quando vede che tutta la vita passata è calpestata, quando i ricordi buoni non ci sono più, quello è il momento in cui l¹avvocato deve avere tra i propri blasoni, non le cause “vinte”, ma le cause che si è rifiutato di fare.
Cesare Rimini 

Cesare Rimini ha pienamente ragione: accade sovente che il buon avvocato veda l’interesse del cliente meglio di quanto lo veda il cliente stesso. E in questo caso l’avvocato ha il dovere di adoperarsi per far cambiare rotta al proprio assistito. Ma, appunto, lo farà al fine di perseguire il vero suo interesse; e lo farà alla luce del sole, anche al costo di rischiare di perdere l’incarico. Esattamente il contrario dell’avvocato che sceglie la strada più lucrosa per sé, anche se è meno vantaggiosa per il cliente e comunque senza chiarire a quest’ultimo i veri termini della scelta. (p.i.)

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