PROSEGUE AL SENATO LA DISCUSSIONE SULLA RIFORMA FORENSE – 3

SUL DIVIETO DELLA PUBBLICITA’ E SUI LIMITI DELLA CIRCOLAZIONE DELLE INFORMAZIONI RIGUARDANTI L’ATTIVITA’ FORENSE, PREVISTI DAL DISEGNO DI LEGGE PER LA RIFORMA DELL’AVVOCATURA

Interventi tratti dal resoconto stenografico della seduta antimeridiana del Senato del 27 maggio 2010 – Seguito della discussione dei disegni di legge: (601) GIULIANO; (711) CASSON ed altri; (1171) BIANCHI e altri; (1198) MUGNAI – Gli interventi estratti dalle sedute precedenti sullo stesso tema sono agevolmente reperibili nella sezione Giustizia di questo sito: Il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense -1; il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense -2; iI dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense – 4. la questione dei minimi inderogabili; il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense – 5. le incompatibilità professionali; il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense – 6. il divieto della consulenza per chi non è iscritto

ICHINO (PD). Chiedo la parola.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Signora Presidente, la questione della pubblicità in materia di servizi legali è strettamente legata alla questione della specializzazione. In sostanza, si tratta di consentire che gli utenti ed i clienti possano sapere, capire e conoscere, anche in modo fine e puntuale, la qualità del servizio che viene offerto.
La maggior parte delle disfunzioni di un mercato di beni o di servizi è determinata da un difetto di informazione, di circolazione delle informazioni e da asimmetria informativa. Tutta la scienza economica moderna ci dice che perché i mercati funzionino meglio e garantiscano più adeguatamente la qualità del prodotto, del bene o servizio, occorre che si favorisca una piena circolazione delle informazioni. Ora, l’articolo 9 è ispirato invece fondamentalmente a diffidenza nei confronti della circolazione delle informazioni. Già usare il termine informazioni e non pubblicità indica che si vuole sottrarre questo particolare settore di produzione e offerta di servizi al principio generale, che è quello invece della libera circolazione delle informazioni.
È vero, c’è un problema di compatibilità con il decoro della professione, un problema di cui dobbiamo farci carico; ma occorre che ce ne facciamo carico non attribuendo al Consiglio nazionale forense o comunque ad un organo espresso dalla categoria il compito di mettere una cappa di piombo sulla circolazione delle informazioni. Il modo in cui si controlla il rispetto delle regole di deontologia professionale è quello di consentire che l’organo preposto al controllo veda anche preventivamente i termini in cui la pubblicità, l’informazione viene proposta e possa bloccarla se ci fosse una violazione del decoro professionale, ma il principio generale deve essere quello della libertà e quindi anche la regola procedurale deve essere quella del silenzio-assenso, non del divieto preventivo.
Per soddisfare questa esigenza, l’emendamento da noi presentato, dopo aver sancito il principio di libertà e consentito all’avvocato di diffondere informazioni anche mediante Internet inserzioni sui giornali e altre forme di pubblicità, prevede che ogni inserzione pubblicitaria deve essere preventivamente sottoposta al controllo del Consiglio dell’Ordine presso il quale l’avvocato è iscritto. Il Consiglio dell’Ordine può chiedere all’avvocato, con provvedimento motivato, di astenersi dall’inserzione priva di uno o più requisiti di cui al comma 1, o di correggerne il contenuto, oppure ordinarne la rimozione quando essa sia stata già pubblicata.
Questo è il modo con cui si controlla la compatibilità con il decoro della professione senza impedire la circolazione delle informazioni. Una cautela particolare per questo genere di attività si giustifica, ma deve essere ridotta al minimo indispensabile per evitare che il divieto di circolazione delle informazioni ancora una volta significhi privilegio per gli studi già affermati, privilegio per il vecchio avvocato che è già conosciuto rispetto al giovane che vuole farsi conoscere.
Bisogna rendere più contendibili le posizioni professionali perché questo è l’unico modo in cui in questo campo si può applicare e rendere effettiva una regola meritocratica. Altrimenti, il termine meritocrazia è puro flatus vocis. (Applausi dal Gruppo PD).
[…]

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell’emendamento 9.205.

LONGO (PdL). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LONGO (PdL). L’emendamento 9.205, brillantemente illustrato dal professor Ichino, trova a mio parere un grosso limite: non si può lasciare, a mio avviso, che il controllo sulla pubblicità, sull’informazione sia affidato ai singoli Consigli dell’Ordine, per evitare, evidentemente, una frammentazione. Infatti, un Consiglio dell’Ordine potrebbe operare in un senso e un altro in senso completamente diverso o significativamente diverso. Vi è bisogno di un controllo, di un regolamento che abbia possibilità di applicazione uniforme sul territorio nazionale. Questo mi pare il difetto fondamentale, ma non l’unico, dell’emendamento che ha come primo firmatario il professor Ichino.

ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Colgo l’occasione della dichiarazione di voto favorevole all’emendamento del mio Gruppo, per rispondere al collega Longo: il problema qui è essenzialmente deontologico. Se il Consiglio distrettuale dell’Ordine è competente a controllare che l’avvocato svolga la propria attività con correttezza e lealtà in relazione a tutti gli altri aspetti del codice deontologico non si vede il motivo per cui lo stesso Consiglio dell’Ordine che, oltretutto è più vicino ai fatti, non possa e non debba essere competente per il controllo sul decoro dell’informazione della pubblicità professionale.
Se il principio che regola la materia dovesse essere quello che lei ha qui enunciato, allora dovremmo sottrarre ai Consigli distrettuali dell’Ordine la competenza anche in materia disciplinare ordinaria e attribuirla interamente al Consiglio nazionale. Non si può fare altrimenti perché si tratta in entrambi i casi di materia disciplinare.

ALBERTI CASELLATII, sottosegretario di Stato per la giustizia. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALBERTI CASELLATI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signora Presidente, vorrei fare soltanto una precisazione di carattere tecnico-giuridico al senatore Ichino, perché il controllo preventivo richiesto nell’emendamento è contrario alla normativa europea in materia di pubblicità. Ho voluto aggiungere questa considerazione poiché lei, senatore Ichino, è sempre molto attento ai profili tecnico-giuridici. Esiste una proibizione europea relativa alle autorizzazioni preventive nella pubblicità.

ICHINO (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). In sostanza, ci si dice che non è ammesso il controllo preventivo sulla pubblicità attivata dal singolo avvocato, perché l’Unione europea e i principi dell’Antitrust, che proteggono la libertà di informazione e di pubblicità, non lo tollerano; dunque, per rispettare meglio quei principi, si vieta interamente la pubblicità. Ma questo è paradossale! (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Astore).
Questo vorrebbe dire muoversi nella direzione esattamente opposta rispetto a quella indicata dall’Unione europea, a quella che deve essere la bussola della nostra azione sul piano normativo. Tra i mali oscuri che impediscono al sistema Italia di crescere, tutti gli organismi internazionali indicano anche il difetto di concorrenza nei settori dei servizi all’impresa. Noi oggi stiamo confermando e rafforzando i vincoli alla concorrenza nei servizi alle imprese: perché la pubblicità, l’informazione libera, sono requisiti indispensabili perché la concorrenza possa operare. (Applausi dal Gruppo PD).

MUGNAI (PdL). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MUGNAI (PdL). Signora Presidente, mi scuso con i colleghi per quello che potrebbe sembrare una sorta di botta e risposta, ma che non vuole esserlo. Credo tuttavia che sia opportuno fare chiarezza su questo punto.
Intanto, credo che il rilievo fatto con amabile ironia dal rappresentante del Governo fosse da ricondurre esattamente in una dimensione meramente ironica nel ragionamento che si stava sviluppando.
Per quanto riguarda il resto, faccio presente che una cosa è dettare norme di carattere generale sulle modalità dell’informazione, un’altra è articolarne l’applicazione sul territorio in forma distrettuale. Sono due cose totalmente diverse, come lo sono i regolamenti che emana il Ministro della giustizia, che chiaramente attengono al funzionamento della giustizia su tutto il territorio nazionale, e le articolazioni territoriali della stessa quali le corti d’appello, i tribunali e quant’altro. Quindi, quel tipo di ragionamento mi pare assolutamente inconferente.
Tutto si può applicare ad una professione come questa fuorché una logica meramente e, devo dire, anche un po’ beceramente “commerciale”. Vi era la necessità di dettare determinate regole, che però, ripeto, non possono essere certamente quelle che regolano l’attività imprenditoriale o commerciale.

[…]

PRESIDENTE. Sull’emendamento 9.209, identico agli emendamenti 9.210 e 9.211, c’è un invito al ritiro da parte del relatore. Senatore Caruso, intende accoglierlo?

CARUSO (PdL). Signora Presidente, sono disponibile a ritirare questo emendamento, non perché sia stato e sia convinto dell’utilità di farlo, ma perché non è certamente una questione di importanza capitale. Peraltro, in tutta presumibilità la mia decisione non sottrarrà il tema all’Aula, posto che altri colleghi hanno presentato proposte analoghe.
Intervengo, però, signora Presidente, perché vorrei chiedere al Governo e al relatore di riconsiderare la loro indicazione. Non sono un grande esperto di concorrenza, che pure viene evocata in quest’Aula, per quanto riguarda questo disegno di legge in particolare, in maniera ricorrente. Da cittadino, da osservatore, mi chiedo a volte se certe copertine di giornali, di periodici, di quotidiani che recano a tutto campo l’immagine di illustri avvocati lavoristi, per non parlare dei matrimonialisti (vi sono innumerevoli casi), così come le “ospitate” – per usare un brutto termine – nelle trasmissioni televisive (dai talk show alle trasmissioni sportive sono sempre presenti i soliti avvocati) non denotino una carenza di concorrenza o non siano forse un eccesso di concorrenza sleale. (Applausi dei senatori Perduca e Magistrelli). Francamente non l’ho mai capito appieno, e tuttavia me ne sto facendo una ragione.
Con riferimento però al problema della pubblicità, così come è riportato nella nicchia dell’articolo che lo prevede, io credo di dover fare una riflessione: nel momento in cui è stato affermato il principio del diritto – e non solo del diritto, ma anche dell’opportunità – alla pubblicità, ritengo che poi il tutto debba essere riportato al sistema, nel senso che, stabilito che si può e stabilito che si può avendo presenti alcuni limiti di carattere deontologico (come pure è stato opportunamente ricordato), saranno poi gli addetti ai lavori, cioè l’Authority che di pubblicità si occupa, a regolare il sistema. Con una particolare attenzione, onorevole relatore e rappresentante del Governo, ad un punto che è contenuto nel comma 3: la regolazione degli strumenti dell’informazione e della comunicazione.
Ritengo non opportuno affidare al Consiglio nazionale forense la regolazione di questo aspetto, quantomeno, perché rischia di determinare delle conseguenze e delle soluzioni totalmente asistemiche. E questo sì, richiamando la premessa che ho fatto sulla mia confessata incompetenza alla questione, a forte rischio di violazione grave di sistemi che assicurano la concorrenza in punti centrali della nostra convivenza.

VALENTINO, relatore. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VALENTINO, relatore. Signora Presidente, naturalmente gli argomenti introdotti dal senatore Caruso meritano una riflessione.
Lo spirito dell’articolo del quale discutiamo è proprio quello di consentire all’organo apicale dell’avvocatura, all’organo istituzionale dell’avvocatura, la regolamentazione di questo fenomeno nuovo per l’attività degli avvocati: la pubblicità. È ben vero che forme di pubblicità indiretta molto spesso recano vantaggi a soggetti che poi non ne hanno particolare bisogno (perché le prime pagine delle copertine, ove mai rappresentassero l’immagine di un avvocato, rappresenterebbero l’immagine di un avvocato noto e apprezzato che, appunto, si è guadagnato le prime pagine nel corso della sua carriera), però la novità dello strumento impone attenzione, rigore. Impone che vi sia un organismo che dia indicazioni. Il CNF – è questa la valutazione che è stata fatta -potrà naturalmente modificare (proprio perché è depositario di questa facoltà), nel corso dei tempi che verranno, le indicazioni di opportunità che darà in un primo momento, quando questa legge finalmente – ce lo auguriamo, professor Livi Bacci – entrerà in vigore. Inibire tale possibilità di controllo in questa fase particolare, quando non vi è dimestichezza con lo strumento, non mi parrebbe opportuno.
Vorrei ricordare all’Aula alcune singolari – chiamiamole così – ipotesi pubblicitarie che abbiamo avuto modo di notare nel momento in cui entrò in vigore la legge Bersani. Alcuni avvocati, ad esempio, si proponevano immaginando impegni economici molto più contenuti rispetto a risultati che sarebbero stati certamente conseguiti, ed altro ancora.
È opportuno che vi sia uno strumento di controllo, un organo di controllo. Ed è per questa ragione che, pur comprendendo appieno le argomentazioni sottili, intelligenti del senatore Caruso, sono costretto a mantenere il mio parere contrario.

ALBERTI CASELLATI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALBERTI CASELLATI, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signora Presidente, comprendo l’esigenza manifestata dal senatore Caruso.
Vorrei però ricordare a me stessa che il comma 3 dell’articolo 9 è stato introdotto nel corso dell’esame del provvedimento in Commissione accogliendo un emendamento, e lo abbiamo fatto in base ad un ragionamento. Ci siamo cioè posti il problema di come la pubblicità o l’informazione possa essere attuata dai vari avvocati, e ci siamo chiesti se era possibile che un Consiglio dell’Ordine ritenesse lecito un determinato comportamento secondo un’interpretazione del codice deontologico e un altro Consiglio dell’Ordine, magari di una città diversa, lo ritenesse invece illecito, sempre in base ad una interpretazione del codice deontologico.
Proprio per uniformare, o nel tentativo di uniformare, su tutto il territorio nazionale, le modalità di trasmissione della propria immagine, della pubblicità e dell’informazione, abbiamo ritenuto necessario che vi fosse un organo superiore come il CNF a dettare regole uguali per tutti. È stata questa l’esigenza avvertita.
Forse al comma 3 dell’articolo 9 si potrebbero omettere le parole «gli strumenti», lasciando «le modalità dell’informazione». Ripeto, però: l’esigenza era quella appena indicata, e a me sembra vada nella stessa direzione delineata dal senatore Caruso.

VALENTINO, relatore. Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VALENTINO, relatore. Signora Presidente, sono d’accordo con la proposta del Governo: possiamo espungere le parole «e gli strumenti». Pertanto, il comma 3 dell’articolo 9 reciterebbe nel modo seguente: «Il CNF determina i criteri concernenti le modalità dell’informazione e della comunicazione». Credo che nell’espressione «modalità» sia assorbito anche il termine «strumenti».

PRESIDENTE Senatore Caruso, le chiedo se ha ancora intenzione di ritirare l’emendamento 9.209.

CARUSO (PdL). Presidente, il mio è stato solo un ragionamento. Faccio quello che il relatore preferisce: posso ritirare l’emendamento come accettarne la modifica proposta.

ICHINO (PD). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Se ho ben capito quanto ci ha testé detto la rappresentante del Governo, c’è bisogno di ragionare un attimo sulla questione e raggiungere una soluzione che può richiedere anche una riscrittura del comma 3.
Dal momento che non siamo in una stretta temporale che ci costringe a fare a tutti i costi, in questo momento e in questa sede, un’operazione evidentemente difficile, propongo di fermarci per un momento, darci il tempo per riflettere sulla formulazione migliore. Non credo che la sospensione del voto su una questione così delicata e importante possa compromettere l’itinerario della legge.
Non facciamo pasticci. Prendiamoci il tempo necessario e voteremo nella prossima sessione dedicata a questo argomento.

[…]

BENEDETTI VALENTINI (PdL) Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

BENEDETTI VALENTINI (PdL). Signora Presidente, colleghi senatori, nell’esprimere il voto contrario sull’emendamento 9.213, approfitto per dire che nel pur lento, ma importante, progredire dell’esame di questa rilevante legge, non è tempo perduto sottolineare e solennizzare in qualche modo la conclusione dell’esame dell’articolo 9. È molto importante ed è molto emblematico, in quanto raccoglie discussioni di anni, più che di mesi, e si arriva ad una conclusione assai significativa.
Naturalmente non può essere soppresso il comma 4, che è quello che prevede la sanzione («L’inosservanza dei commi 1 e 2 comporta illecito disciplinare»), altrimenti le precedenti statuizioni non avrebbero sanzione e non avrebbero vigenza ed efficacia. Ma in questo articolo 9 finalmente si stabilisce prima di tutto, e non è questione terminologica, che non è dato fare pubblicità. È molto importante che questo concetto rimanga estraneo al mondo dell’informazione riguardo alla professione forense. Si stabilisce, sono le prime due parole del comma 1 dell’articolo, che «È consentito» – è dunque una facoltà – esercitare questa possibilità di informazione, ma non già si stabilisce un obbligo al quale sarebbe correlato un diritto degli interlocutori, di coloro che forniscono la prestazione forense.
Il principio fondamentale di questa legge e di questo articolo è il seguente: si intende che l’avvocato, che il professionista, nella sua consistenza, nella sua dignità, nella sua figura, nella sua rispettabilità acquisisca clientela in virtù di una qualità che si afferma, si dimostra, si propaga, anche si comunica, ma non in virtù di una pubblicità promozionale. È coerente da parte di coloro che hanno una visione commercialistica della professione, di una falsa liberalizzazione introdotta nella materia, sostenere la volontà di fare promotion, di acquisire clientela non tanto per il buon nome o per la dignità o la comprovata capacità o qualità del professionista, ma per lo sforzo pubblicitario. Sono gli stessi che andavano sostenendo le società di capitali e gli investimenti economici a questo riguardo, come regola fondamentale. Infatti, una società di capitali ben può investire grandemente sulla pubblicità per l’appunto, a prescindere dalla qualità, dalla dignità e dall’attendibilità professionale del professionista o dei professionisti che dovrebbero essere promossi. Lo riconosco, senatore Ichino e altri, che vi è una coerenza nel vostro atteggiamento, ma è giustamente contraria al principio informatore di questa legge.
Vedete, c’è stata un’osservazione che in effetti ha colto un fenomeno reale: si dice che sono sempre quei pochissimi avvocati che vengono invitati ai talk-show o alle trasmissioni oppure che vedono riportata la propria immagine o le proprie parole sui grandi mezzi di informazione. Lo so, questo sì, questo è vero, ma non riguarda solo la professione forense. Allora che dire del mondo della politica, in cui 15 persone sono tutte le sere sui telegiornali e le altre navigano nella onorata sconosciutezza? E così in tanti altri settori della vita pubblica, addirittura con interrelazioni tra l’uno… (Vivaci commenti dal Gruppo PD).

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia.

BENEDETTI VALENTINI (PdL). …o l’altro settore, ma di questo non dobbiamo fare carico al ceto forense o ad altro ceto professionale. Semmai ne dobbiamo far carico ai mezzi d’informazione, al sistema della comunicazione pubblica e dell’informazione, che rivendica sempre la propria libertà, ma in realtà va soggetto a regole tutt’altro che deontologiche nel disciplinare la propria attività.
L’articolo 9 è pertanto molto importante e rappresenta una tappa significativa nella riforma dell’ordinamento forense e la sintesi di un grande sforzo su un terreno di valori che non è delimitabile o disciplinabile con indici geometrici o aritmetici, ma lo è in termini di principi e di criteri. È quindi giusto che sia il CNF a disciplinare in maniera omogenea i criteri e le modalità di applicazione.
È importante che respingiamo l’emendamento 9.213, ma soprattutto che approviamo l’articolo 9 nella sua interezza. (Applausi dal Gruppo PdL. Commenti dal Gruppo PD).

ICHINO (PD). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ICHINO (PD). Signora Presidente, il Gruppo del Partito Democratico vota contro l’emendamento 9.213 per l’ovvio motivo che l’intera norma contenuta nell’articolo 9 su questa materia, se privata della sanzione disciplinare, non avrebbe più alcun senso.
Occorre però precisare che ciò che distingue la posizione del nostro Gruppo da quella della maggioranza su questa materia non è la concezione commercialistica o non commercialistica della professione forense, ma soltanto il fatto che la maggioranza ha la pretesa che si possa garantire per decreto la qualità della professione, mentre noi siamo convinti che in tutta la storia dell’economia su questo pianeta non si sia mai trovato altro sistema per garantire la qualità delle prestazioni, dei servizi, di ciò viene offerto e acquistato, per stimolarne il miglioramento, se non la libertà di circolazione delle informazioni in proposito.
Voi state limitando la libertà dell’informazione e, di conseguenza, la possibilità di miglioramento e di controllo sulla qualità delle prestazioni forensi. (Applausi dal Gruppo PD)

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